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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

LA PIÙ GRANDE BANCA TEDESCA E I TIMORI DI

CRAC –
È la notte tra sabato 13 e domenica 14 agosto e il panico comincia a correre su Twitter. Da un account che fa del tutto per sembrare l’agenzia Reuters arriva la notizia che la Deutsche Bank si appresta a chiedere alla Banca centrale europea un prestito straordinario. Altro che Lehman Brothers, qui siamo al crac di una delle prime banche mondiali, il cui bilancio abbraccia non solo la Germania, ma la grande finanza globale con filiali in ben 70 Paesi. In Italia, si colloca tra il quarto e quinto posto, dopo il disastrato Monte dei Paschi di Siena. Insomma, il timore è che lunedì 15 agosto, alla riapertura delle borse internazionali, ci sia una replica del ferale ferragosto 1971, quando il presidente Richard Nixon, messo alle strette dall’inflazione americana, fu costretto a dichiarare che il dollaro non era più convertibile in oro al tasso fisso stabilito nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods.
Passano le ore e si comincia a insinuare il dubbio che @Reuters_Bus sia fasullo, che si tratti di hackeraggio, di spionaggio industriale, di cyberwar persino. Poco dopo l’account viene cancellato e dello spaventoso rumour non c’è più traccia. Ma la bufala di mezz’estate dimostra che ormai il colosso bancario tedesco è come un orso impagliato nel tiro a segno di una fiera. Il valore del titolo dall’inizio dell’anno si è quasi dimezzato, un risultato peggiore anche a quello di Unicredit. Il 2015 ha registrato una perdita di 6,8 miliardi. Secondo le stime di Morgan Stanley, in realtà il buco arriva a nove miliardi da colmare entro il 2018. C’è da chiedersi come abbia fatto a superare gli ultimi stress test dell’autorità bancaria europea.
Alle prese con scandali finanziari costati 1,2 miliardi di spese legali (l’ultimo riguarda operazioni sospette per 10 miliardi di dollari con la sede russa), difficoltà economiche in Cina, esborsi straordinari per adeguare i requisiti patrimoniali, l’amministratore delegato, il britannico John Cryan che ha preso in mano il timone un anno fa, ha intenzione di tagliare i costi licenziando migliaia di dipendenti e chiudendo altri sportelli, oltre a cedere Postbank e altre attività all’estero. In più, vuol congelare per due anni i dividendi. Difficile che possa sfuggire a un nuovo aumento di capitale, visti anche gli attuali corsi borsistici.
Il problema è ancora maggiore di quel che appare in superficie, perché s’annida nel modello di business imboccato negli ultimi quindici anni, da quando la Deutsche Bank ha progressivamente ridotto la funzione storica di banca commerciale per potenziare al massimo la componente finanziaria. Così, oggi è gravata da un volume immenso di contratti derivati di ogni genere e valore: secondo gli ultimi dati, che risalgono ad aprile, si tratta di oltre 65 mila miliardi di euro, due terzi in più della Lehman prima del crac. Per avere un’idea, è un livello pari a 24 volte il prodotto lordo tedesco e 6 volte quello dell’intera zona euro. Naturalmente, non succederà mai che tutte le scommesse finanziarie debbano essere onorate allo stesso tempo, ma resta il fatto che la Deutsche Bank è zeppa di bond ad alto rischio, ben oltre qualsiasi altre grande concorrente mondiale. Le banche americane che prima della crisi finanziaria del 2008 erano esposte in modo pericoloso, sono parzialmente rientrate in questi anni. Il colosso tedesco, invece, ha continuato imperterrito per la sua strada.
Dunque, il cinguettio di Ferragosto era una bieca speculazione, ma nel mondo della finanza s’aggira una domanda spettrale: che succede se crolla la Deutsche Bank? A Francoforte, la Bundesbank, la banca centrale tedesca, incrocia le dita. Mario Draghi è estremamente preoccupato: la Bce, di cui è presidente, ha avviato un programma di acquisto di titoli speciali emessi da imprese private, ma riguarda società non finanziarie. L’opinione pubblica tedesca è pronta a chiedere la nazionalizzazione, in barba a Bruxelles e al divieto per gli aiuti di Stato. Ammesso che funzioni, innescherebbe una reazione a catena con costi enormi per i contribuenti, oltre a dare il colpo mortale a ogni idea di unione bancaria europea su basi di mercato. E l’impatto sull’euro? Se è bastata la crisi del debito greco a metterlo in discussione, pensate che effetto farebbe la Deutsche Bank che ha un giro d’affari sette volte più grande del prodotto lordo ellenico.