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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

L’ESEMPIO DEL GIAPPONE E LA SICUREZZA POSSIBILE

Spesso non sono i terremoti a uccidere gli uomini, ma le strutture costruite male dall’uomo. Da questa amara constatazione bisogna ripartire ogni volta che un sisma miete vittime nel nostro paese. Cioè ogni pochissimi anni, visto che siamo un paese interessato da forti rischi sismici, regolarmente studiati e censiti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La zona del Lazio, Umbria e Marche colpita ieri dal terremoto di magnitudo 6 rientra nella zona 1 della classificazione sismica, la più alta. Eppure, a ogni schiera di morti è come se la lezione non l’avessimo mai imparata.
Come ha detto ieri il sismologo Massimo Cocco dell’INVG, in una zona di rischio 1 «tutti gli edifici nuovi devono essere costruiti seguendo regole adeguate, e quelli più vecchi devono essere messi in sicurezza». In questo paese abbiamo perseguito penalmente i sismologi per non aver saputo predire il terremoto dell’Aquila in un processo che ha fatto ridere il mondo, ma alle cose serie documentate da decenni dalla comunità scientifica italiana no, continuiamo a non dare retta.
L’INSOFFERENZA
Oltre al dolore per le vittime e alla solidarietà per tutti i colpiti, ieri la prima reazione è stata appunto quella dell’insofferenza, nel pensare che paesi del mondo interessati da analoghi rischi tellurici da decenni hanno messo in atto una vera rivoluzione nell’edilizia, mentre da noi ci si continua ad affidare al fato.
Facciamo un solo esempio, di quanto amara possa essere la conseguenza del nostro incredibile atteggiamento nazionale. Tra il 14 e il 16 aprile scorso la prefettura di Kumamoto in Giappone è stata colpita da un terrificante sciame di scosse telluriche, oltre mille, con le due punte massime a 6,2 e 7 gradi di magnitudo. La prima delle due è del tutto paragonabile a quella che ieri ha devastato Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto. Una magnitudo 6 equivale, nella scala Richter, all’energia sprigionata dall’esplosione entro 100 km di un milione di tonnellate di tritolo, e per capirci la bomba di Hiroshima equivaleva solo a 13mila tonnellate.
LE SCALE
Una magnitudo 7, poiché le scale sono logaritmiche, equivale invece all’esplosione di 31,6 milioni di tonnellate. Di scosse di magnitudo 6, come quella che ha colpito il centro Italia ieri, se ne registrano in media 120 l’anno sul nostro pianeta. Di magnitudo 7, solo 18.
L’area interessata dal sisma giapponese ad aprile ha oltre 2 milioni di abitanti, di cui 800mila nel solo capoluogo Kumamoto. Eppure, malgrado l’alta densità antropica e un sisma tanto più potente di quello che ha colpito l’Italia ieri, le vittime giapponesi furono solo 49. Mentre da noi quando scriviamo si parla di almeno 120 vittime: in un’area in cui i residenti complessivi sono poche decine di migliaia, non milioni come in Giappone.
LA RIPROVAZIONE
Eppure ieri è bastato dirlo, che dovremmo fare anche noi col nostro patrimonio edilizio quel che da decenni fanno Giappone e California, per scatenare un’ondata di riprovazione.
Poi rintuzzata dal parere accreditato di geologi e sismologi, che naturalmente hanno battuto sullo stesso punto. Ma, in generale, la convinzione diffusa resta che no, noi non possiamo credere di poter fare come altri paesi, perché noi abbiamo centri storici e piccoli paesi che sono il frutto di un’evoluzione bimillenaria, mica possiamo radere al suolo e ricostruire come fanno gli altri.
E’ una convinzione sbagliata. L’alternativa irrazionale è tra radere al suolo e morire sfidando il fato. Quella razionale è tra il mettere finalmente mano a un enorme piano pluriennale di messa in sicurezza del patrimonio esistente sì, anche quello storico, di edifici che hanno uno, due, tre o quattro secoli e di radicale ottemperanza ai criteri antisismici per le costruzioni nuove. In caso contrario, ricordarsi bene che la colpa delle vittime è nostra.
Anche perché poi non è affatto vero che a crollare e a far vittime siano solo gli edifici in pietra secca. Nei terremoti italiani ogni volta se ne scendono a pezzi i palazzi dello Stato edificati pochi anni o al massimo 2-3 decenni fa.
LA STRAGE
Ricordate la strage di San Giuliano di Puglia, il 31 ottobre 2002, quando sotto i mattoni della scuola completamente distrutta da una scossa di magnitudo 6 morirono 27 bambini e una maestra? Non vi è tornato in mente, osservando ieri le immagini devastate dell’ospedale di Amatrice, inagibile per le scosse malgrado risalga alla fine degli anni Settanta? E malgrado sia stato destinatario di fondi anche per la messa in sicurezza dopo il sisma dell’Aquila del 2009, fondi naturalmente non spesi e dunque senza realizzare le opere di consolidamento previste?
La strage di San Giuliano ha visto condannati fino alla Cassazione i responsabili: non la natura aspra e matrigna coi suoi terremoti, ma i costruttori e progettisti, il tecnico comunale e il sindaco dell’epoca, che di quella scuola non a norma portavano la colpa. Da allora, c’è stata una radiografia dell’intero sistema di edifici pubblici sanitari, svolta dalla Commissione che ha consegnato i lavori a febbraio 2016, da cui abbiamo appreso che il 75% degli oltre mille presidi sanitari italiani corre il rischio di crollare, in presenza di scosse come quella di ieri. L’ordine dei geologi a ogni inizio anno scolastico ricorda che nel nostro paese sono 24mila le scuole ad alto rischio sismico. Ma nell’osservatorio per l’edilizia scolastica, che esiste da 20 anni, i geologi non ci sono.
L’ordine di grandezza dei danni patiti dall’Italia per eventi sismici e idrogeologici dal dopoguerra a oggi sisma di ieri escluso, ovviamente - è di 250miliardi di euro, e sono sempre i geologi a stimarla. Con oltre 4500 vittime se solo ci limitiamo agli ultimi 40 anni, dal terremoto del Friuli a quello dell’Irpinia, fino all’Aquila nel 2009 e all’Emilia nel 2012.
E’ verissimo. Per lo Stato la messa in sicurezza di decine di migliaia di propri edifici comporterebbe costi elevati. Molto più elevati ancora i costi poi per l’intervento sul patrimonio immobiliare privato, intervento che dovrebbe essere incentivato da potentissimi sgravi fiscali. Interventi che dovrebbero essere realizzati anche evitando l’azzeramento del valore in portafoglio alle famiglie, e da una politica ossessivamente volta all’assicurazione degli immobili contro il rischio sismico e idrogeologico. Ma quando si ha alle spalle un bilancio di sangue e finanziario così disastroso per non averlo fatto, continuare a non farlo è da imbecilli.
I TEMPI
Nessuno può immaginare che ci vogliano pochi mesi o un paio d’anni. Dev’essere una scelta decennale, da presentare in Europa come una priorità assoluta. E del resto, l’Unione Europea per prima s’inventò nel 2002 il FSUE, il fondo di solidarietà contro le calamità naturali, a seguito delle inondazioni che allora avevano colpito il centro Europa. E noi, come paese più sismico e a rischio idrogeologico della UE, dobbiamo provarci seriamente, a convincere i partner del fatto che non possiamo continuare a morire per colpa nostra. Il punto è crederci, volerlo intensamente, metterlo al centro dell’agenda nazionale. Non commettiamo ancora una volta l’errore di affidarci ai tarocchi.
Oscar Giannino
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