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 2016  agosto 20 Sabato calendario

RAGAZZE, DATEMI RETTA: L’IMPERFEZIONE È SEXY


Se a 19 anni sei bionda – il colore che tante rincorreranno per tutta la vita – e invece diventi rossa, hai già detto parecchio di te. «Mah… Ero in una “terra di mezzo” e cercavo di evolvermi. O, forse, avevo solo voglia di essere notata, sentendomi invisibile». Tormenti e “rododendri” che oggi Veronica Scopelliti, in arte Noemi («Il nome che aveva scelto mia madre, papà si oppose»), si è lasciata alle spalle. Appena applaudita al Festival Gaber di Camaiore, sarà guest star a Il Tempo delle Donne, l’iniziativa di Corriere della Sera e Io donna alla Triennale di Milano dal 9 all’11 settembre.
«Ho messo l’anima in pace perché è stata in guerra per troppo tempo», canta in Amen. Come ci è riuscita?
«Sono sempre stata battagliera e coraggiosa, ho preso certi muri a 200 all’ora… Poi ho capito che bisogna lasciare scorrere la vita, non fare-fare-fare. Mi ero annullata in questo mestiere e ho sentito il bisogno di mettere una distanza non esclusivamente psicologica: mi sono traferita per un periodo in Inghilterra».
Ha funzionato.
«Mi sono riscoperta. E mi sono liberata dalla sindrome da controllo, che non ha senso: oggi si vive con estrema velocità e si butta via in fretta, non puoi ingabbiare nulla. Meglio un atteggiamento distaccato. Mi guardo con occhi più benevoli: combatto combatto e non arrivano frutti? Bene: significa che non è ancora il momento. Mi perdono i punti deboli, le mancanze».
A cosa sta pensando?
«Sul lavoro, al fatto che fatico a “fissarmi” in un disco. Troppo cangiante, eclettica…».
Contiene moltitudini, per citare Walt Whitman?
«Eh sì, dentro di me è affollatino (ride). C’è quella che scrive e quella che disegna, quella che ama il giardinaggio e quella che preferisce la meditazione, quella pasticciona che aspirerebbe a essere precisa però dopo si rimprovera: “Ah, non mi rilasso mai…”. Ormai basta paranoie!».
Ne aveva altre?
«Sì, come questa specie di obbligo a essere in forma. Negli ultimi tre-quattro anni ho preso qualche chilo. I primi tempi non riuscivo neppure a guardare le mie foto, adesso chissenefrega. Non posso diventare gigante (ne risentirebbe la salute), ma così mi vado bene. Incredibile!».
E comunque già nel 2011, con Vuoto a perdere, aveva avuto il coraggio di parlare di cellulite.
«La prima volta che ho ascoltato il testo non è stato semplice: con i milioni di parole che ci sono al mondo, perché Vasco Rossi ci aveva ficcato proprio “cellulite”?!? Poi mi ha spiegato che il tema è “scabroso” soltanto per noi donne».
Soltanto per noi?
«Gli uomini – assicura – non l’hanno mai vista… Sono felice di avergli dato retta: mi piacciono gli atti che spostano il limite più avanti. Trovo pericolosa l’attuale ossessione per la perfezione e soffro a vedere queste ragazzine che non escono di casa se non sono truccate, impeccabili».
Soffre… Perché mai?
«È una specie di maschera, la loro, che rivela un’insicurezza bestiale: dietro c’è sofferenza. Io ho avuto un’adolescenza solitaria, ero chiusa e la musica era un rifugio: all’università – quando ho cominciato a esprimermi, accettando i miei limiti – la gente si è avvicinata. L’imperfezione è sexy, ti rende simpatica».
Elogio dell’imperfezione, quindi.
«Mamma mia, certo! C’è bisogno di verità. Perfezione significa pure omologazione: se togli i difetti, siamo tutti uguali. Per non parlare dell’omologazione del pensiero, in questa società dove vorrebbero che non ci si esponesse affatto. E io, come Gramsci, odio gli indifferenti».
Accidenti, Gramsci non lo cita più nessuno. L’ha letto all’università?
«No, ho frequentato il Dams, ho studiato cinema… Mi hanno regalato i suoi libri».
Anche l’essere cattolica nell’ambiente della musica è piuttosto originale.
«Pensare che nulla abbia senso e sia un correre vano per me è intollerabile… Mi sono divorata Pape Satàn Aleppe (il saggio postumo di Umberto Eco, ndr) e c’è una riflessione bellissima sul perché Facebook stia avendo successo: prima si usavano espressioni tipo “solo Dio lo sa”, percepivamo che almeno qualcuno ci tenesse presenti. Oggi – quasi tutti atei – sentiamo l’esigenza che altri, guardandoci, ci “legittimino a esistere”».
Va in chiesa?
«Sì. E faccio i fioretti. Non ho mangiato il tiramisù per cinque anni: è stato orribile. Però ha funzionato!».