di Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 21/8/2016, 21 agosto 2016
“BASTA, NON POSSIAMO PIÙ RIMANDARE LE RIFORME” – [Intervista a Tiziano Treu] – Professore, partiamo dall’allarme della stampa e dei mercati internazionali sul referendum di ottobre
“BASTA, NON POSSIAMO PIÙ RIMANDARE LE RIFORME” – [Intervista a Tiziano Treu] – Professore, partiamo dall’allarme della stampa e dei mercati internazionali sul referendum di ottobre. Cosa ne pensa? Alcuni di questi giornali, a cominciare dal Financial Times, non hanno mai amato l’Italia e spesso tendono a vederci peggio di quello che siamo. Non c’è dubbio che noi più di altri viviamo un momento turbolento, con fattori d’instabilità terribili che sono uno degli ostacoli alla crescita. Non è solo che mancano soldi e investimenti: l’instabilità, ce lo insegnano gli economisti, è il nemico principale dello sviluppo. L’Italia, che dopo aver discusso per decenni, alla vigilia di una svolta dice “scusate, ci siamo sbagliati”, sarebbe un segno preoccupante. Ho trascorso 16 anni in Parlamento discutendo di queste cose, credo che disfare un lavoro così lungo sia un segno di pochezza e fragilità. Bisogna tenere in considerazione questo allarme, è un motivo in più per votare la riforma anche se non è perfetta. Possiamo leggere al contrario queste pressioni: per controllare meglio i Paesi, servono governi forti. È una sua illazione. Non ce l’ha detto il Financial Times di fare le riforme: a sinistra se ne parla da vent’anni. Se dovesse passare il no sarebbe un segno di scarsa serietà del nostro Paese. Quindi spero che saremo coerenti con noi stessi. Siamo realisti: tutte le cose difficili richiedono tempo. Vogliamo aspettare altri vent’anni? La semplificazione del Parlamento serve anche a ridurre i tempi decisionali. Ma davvero è il ping-pong tra le Camere a rendere lenta l’approvazione delle leggi? La legge sulle unioni civili, presentata per la prima volta alla fine degli anni 80, è stata approvata solo oggi perché mancava un accordo politico. Mica perché c’è il bicameralismo paritario. Questi discorsi valgono ceteris paribus, a parità di condizioni. È evidente che se c’è un forte consenso politico le leggi passano velocemente. Ma il nostro sistema istituzionale, a parità di condizioni, ingarbuglia le cose. Nella maggior parte dei casi – secondo la mia esperienza in Parlamento – il passaggio dall’uno all’altro ramo del Parlamento né rinforza il consenso, né tantomeno migliora la qualità del testo legislativo. Era tutto un farsi le pulci l’uno con l’altro. Non è un caso che il bicameralismo perfetto non esiste quasi da nessuna parte. Negli Stati Uniti c’è. Sì, sì: ma sono un’eccezione. La gran parte dei sistemi Ocse, a cominciare da quelli europei, hanno ritenuto di differenziare le competenze e la composizione delle due Camere. È un dato di fatto, e non è a favore del No. Torniamo alle leggi: i procedimenti si moltiplicano, alcuni costituzionalisti ne hanno contati 10, altri 7. Non è vero. I procedimenti sono essenzialmente due. Per alcune leggi resterà in vigore il bicameralismo paritario; in altri casi la Camera decide e il Senato – entro certi termini – può avere voce in capitolo emendando il testo, poi la Camera alla fine deciderà se accogliere o meno i cambiamenti. I sette sono varianti formali di questo secondo iter: ammesso anche siano troppi, sono dettagli. Questioni che si risolvono con i regolamenti o con interpretazioni. Ma mi paiono inezie rispetto alla scelta di fondo. La composizione del Senato – con 21 sindaci, 74 consiglieri regionali e 5 senatori nominati dal presente della Repubblica – e la sua non elettività diretta da parte dei cittadini sono state molto criticate. Un Senato che non rappresenta i cittadini partecipa alla revisione costituzionale e nomina da solo due giudici della Consulta. La questione della rappresentanza è stata discussa per anni. Si è a lungo discusso sul modello tedesco, in cui al Bundesrat vanno i rappresentanti dei Lander… …ma la Germania è uno Stato federale. Un modello completamente diverso. Voglio dire che si è discusso per anni del modello: ma non è che uno è democratico e l’altro no. Sono sistemi di rappresentanza, diretta o indiretta, che hanno piena legittimità in tutti gli ordinamenti moderni. Avrei preferito il sistema tedesco, si è obiettato che al momento – visto che la maggioranza delle Regioni è governata dal centrosinistra – in Senato sarebbero andati rappresentanti di quell’area politica. Si è preferito adottare il modello con la Seconda Camera formata da consiglieri regionali e sindaci. I membri del nuovo Senato non rappresentano più la Nazione, ma gli enti territoriali. Sfugge come questo possa adattarsi ai 5 nominati dal Capo dello Stato. Sono 5 su cento. Bisogna fare una valutazione complessiva. Abbiamo discusso per anni e ora non mi pare il caso di perdersi a discutere delle minuzie. In realtà quella del Senato è una rappresentanza degli enti territoriali, come avviene nei maggiori Paesi europei. Non era questa legislatura – su cui è caduta la scure della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum – che doveva arrogarsi il diritto di riformare un terzo della Costituzione. Avere migliorato il procedimento parlamentare, facilita un decorso fisiologico delle leggi. Oggi abbiamo lunghe discussioni parlamentari e poi strozzature dei tempi con i decreti legge. Con la riforma non sarà più così ed è un altro merito. Lei sposta il discorso sulla legge elettorale, come fanno in molti, ma è sbagliato. La legge elettorale si può cambiare in ogni momento. E credo si farà. Ma anche sulle leggi elettorali: ne abbiamo cambiate tre negli ultimi tempi e non a favore della stabilità. La domanda era: perché dopo la sentenza della Corte non è stata fatta immediatamente una nuova legge elettorale, che consentisse di tornare al voto in modo che ci fosse un Parlamento pienamente legittimo? La Corte è intervenuta sul Porcellum ora, ma l’impegno di rivedere la Costituzione è sul tavolo da tempo. E la legge è stata votata con una buona maggioranza. Dire che non si doveva procedere alla revisione costituzionale mi sembra ideologico. Non si ferma una cosa partita da anni e anni perché c’è una situazione di non piena correttezza. Torniamo all’Italicum. Uno dei vizi maggiori è la mancanza di una soglia per il ballottaggio. Però anche di questo abbiamo discusso per vent’anni: pensi al dibattito sulle preferenze. Io sono per prevedere primarie serie e regolate, per evitare che i capi di partito decidano tutto. Ma sarà difficile trovare un accordo sulla questione del premio da dare alla lista o alla coalizione: siamo molto litigiosi. Qualcuno dice che aumenterà il contenzioso tra Stato e Regioni. No! Quello prodotto dalla riforma del 2001 è imbattibile. Io sono stato regionalista, ma in nessuno Stato le Regioni hanno così tanti poteri, perché tutto ciò mette in pericolo la coesione nazionale. E quindi l’abolizione della legislazione concorrente e la clausola di supremazia mi sembrano misure benedette, di salute pubblica di Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 21/8/2016