Alberto Bonanno, la Repubblica 20/8/2016, 20 agosto 2016
COSÌ SI PREVENGONO I PERICOLI “MA IL VERO RISCHIO È IL PANICO”
La subacquea nonostante le apparenze resta uno degli sport più sicuri. A patto che siano rispettate alcune condizioni di base che spesso, in un’immersione effettuata durante una vacanza, si tende a sottovalutare. Sott’acqua i rischi sono molti, ma chi scende deve sapere come affrontare e risolvere le emergenze che si possono presentare.
Così come per la patente di guida, immergersi richiede una serie di abilità crescenti certificate da corsi e da test effettuati da istruttori affiliati a organizzazioni internazionali (Nase, Padi, Cmas) secondo precisi standard. Un brevetto iniziale come l’Open water diver consente di immergersi in sicurezza fino a 18 metri, l’Advanced fino a 30, il Deep e i brevetti “tecnici” oltre. Ma i corsi non servono a diventare più temerari, al contrario illustrano le difficoltà che si possono presentare con l’aumentare della profondità e insegnano a gestirle.
Regola aurea è quella di non tentare mai di superarsi: «Immergersi ed entrare in una grotta di una certa difficoltà – dice Tatjana Geloso, sommozzatrice e istruttrice Nase attiva a Ustica e Linosa – impone non solo un addestramento specifico dell’istruttore e dei sub, ma anche una configurazione “speleo” dell’attrezzatura e l’adozione di procedure specifiche. Oltre a un’assistenza dedicata al gruppo che si immerge in grotta. Purtroppo alla base di questi incidenti c’è sempre un errore umano che riguarda il mancato rispetto di uno o più di questi fattori. Cosa che può degenerare in una crisi di panico e nell’incidente».
Per chi pratica abitualmente il diving è fondamentale effettuare almeno una specifica visita medico sportiva completa all’anno (con elettrocardiogramma dopo prova di sforzo, spirometria, saturimetria, misurazione della glicemia e test audiometrico). Esistono patologie cardiache senza sintomi, come il “forame ovale pervio”, che sott’acqua possono risultare fatali. E basta un malore in profondità per generare una catena che coinvolge altri sub e, nel migliore dei casi, rischiare la vita e farla rischiare ad altri.
Non occorre essere atleti per immergersi anche a profondità importanti (come 50 o 60 metri), ma è necessario essere allenati. Più si scende più veloce è il consumo dell’aria, più ridotto il volume dei polmoni, più complesso mantenere l’assetto “neutro” che consente di spostarsi in acqua fluidamente, con il minimo sforzo e il massimo rendimento. Condizioni difficili che si possono affrontare solo con movimenti e respirazione perfettamente controllati grazie all’allenamento. Entrando in una grotta fuori allenamento basta una pinneggiata scorretta per sollevare il fondo sabbioso e trasformare la grotta stessa in una potenziale trappola mortale.
Spesso chi si immerge in vacanza non ha con sé l’attrezzatura con cui si immerge abitualmente e finisce per prenderla a noleggio. Alcuni componenti – erogatore, giubbotto ad assetto variabile, persino la semplice maschera – possono mettere in difficoltà anche il sub più esperto se non sa gestirli alla perfezione. Sempre meglio allora effettuare una prima immersione “facile” con la stessa attrezzatura che poi si prenderà a noleggio per immersioni più impegnative, diffidando di attrezzature troppo vecchie o usurate.
Sono le due condizioni patologiche subacquee più insidiose e pericolose: la prima avviene quando l’azoto nel sangue provoca una sorta di ubriacatura che rende inconsapevoli e alla lunga incoscienti; la seconda può avvenire per una improvvisa claustrofobia, per la reazione incontrollata a un guasto dell’attrezzatura o a una difficoltà. Ma qui l’unico rimedio è l’efficienza e la prudenza delle guide subacquee, che devono essere capaci di individuare ebbrezza e panico ai primi sintomi e aiutare i sub a fronteggiarli adeguatamente.
Alberto Bonanno, la Repubblica 20/8/2016