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 2016  agosto 20 Sabato calendario

“BASTA CARCERI PRIVATE” OBAMA LANCIA LA CROCIATA PER LA SUA SECONDA VITA

NEW YORK.
Basta carceri private: sono «più pericolose, più disumane, e anche più costose». Lo ha deciso l’Amministrazione Obama. L’America volta pagina dopo 35 anni di privatizzazione del sistema penitenziario. La svolta storica conferma l’impegno di questo presidente, deciso a fare della riforma del sistema penale una delle sue eredità più importanti, e anche una missione personale per la sua vita dopo la Casa Bianca. Il tema della giustizia – legato alla questione razziale – sta diventando la nuova priorità per molti progressisti, politici o intellettuali. È un vasto movimento, alleato con BlackLivesMatter nella denuncia degli abusi contro i diritti umani. Tra i protagonisti c’è The Marshall Project, non-profit dedicata al giornalismo investigativo nel mondo delle carceri e dei tribunali, a cui partecipa l’ex direttore del New York Times Bill Keller.
La bocciatura delle carceri private è in una direttiva scritta dalla viceministra della Giustizia, Sally Yates: «Non offrono lo stesso livello di programmi riabilitativi; non garantiscono lo stesso livello di sicurezza » rispetto ai penitenziari federali. Di qui la decisione di «ridurre in modo sostanziale» i contratti di appalto a società private, via via che vengono a scadenza, fino a eliminarli del tutto. È un dietrofront visto che a partire dal 1980 il sistema penale aveva seguito una strada opposta: sentenze sempre più pesanti, e ricorso massiccio alle prigioni private, avevano fatto esplodere la popolazione carceraria dell’800%. Le indagini compiute dal Dipartimento di Giustizia rivelano un quadro disastroso delle carceri private: la violenza regna, sia da parte delle guardie che fra i detenuti stessi, più che nei penitenziari pubblici; le rivolte sono più frequenti; gli abusi contro i diritti dei carcerati sono sistematici; le condizioni materiali sono disastrose a cominciare dall’assistenza medica e dal cibo. I privati che gestiscono questi penitenziari risparmiano su tutto, e non sono affatto efficienti.
L’annuncio per ora si applica solo al sistema delle carceri sotto diretta gestione federale, che non sono la maggioranza. Questa svolta riguarda 22.000 detenuti, in 13 penitenziari privati gestiti in base a contratti federali. Gli istituti in questione, che saranno progressivamente chiusi, si trovano in sette Stati Usa tra cui i due maggiori, la California e il Texas. Molti dei carcerati lì sono stranieri che scontano una condanna in attesa di espulsione. La nuova politica non si applica subito agli altri 170.000 detenuti che dipendono da altri rami dell’Amministrazione federale, non direttamente controllati dal Dipartimento di Giustizia. Né si applica alle prigioni dei singoli Stati, dove ben 90.000 detenuti si trovano in centri gestiti da società private. Ma le stesse organizzazioni per la tutela dei diritti civili salutano la decisione di Obama come un precedente decisivo, un’inversione di tendenza. «È una pietra miliare, un rovesciamento delle politiche seguite negli ultimi decenni » ha commentato l’American Civil Liberties Union. Molti Stati Usa in effetti tendono a seguire l’esempio del Dipartimento di Giustizia anche perché dipendono da finanziamenti federali. Non a caso l’annuncio ha fatto crollare in Borsa i titoli delle società che gestiscono le carceri private, come la Corrections Corporation of America e il Geo Group.
Tra le organizzazioni che hanno avuto un ruolo essenziale per la denuncia degli abusi nelle carceri, un posto speciale speciale al Marshall Project. Nata nel 2013, questa non-profit pubblica reportage investigativi sul proprio sito, e li offre anche ai giornali. Ha avuto un boom di visibilità quando a dirigerla è arrivato Keller dopo anni alla guida del New York Times. Tra gli ultimi tragici scoop del Marshall Project: la storia di un detenuto morto per soffocamento mentre veniva trasportato verso il carcere, in un furgone cellulare simile a un carro bestiame. Gestito, anche quello, da una società privata. A dare visibilità alla morte si è aggiunto il fatto che non si trattava del “solito ragazzo nero”, come accade troppo spesso, bensì di un uomo bianco di mezza età, condannato per un banale ritardo nel pagamento degli alimenti alla ex moglie. L’impegno per raddrizzare un sistema penale iniquo – e sistematicamente razzista – sarà con ogni probabilità la “seconda vita” di Obama. Il presidente si è già segnalato per diversi atti in questa direzione, per esempio la messa al bando del carcere di massimo isolamento per i detenuti minorenni. Quando lascerà la Casa Bianca, avrà meno potere ma più libertà di espressione per affrontare in modo esplicito i due pesi e due misure della giustizia americana, che condanna in modo sproporzionato i giovani maschi neri e ispanici.
Federico Rampini, la Repubblica 20/8/2016