Carlo Valentini, ItaliaOggi 20/8/2016, 20 agosto 2016
IBERNATO DA OTTO ANNI A BOLZANO
La giustizia è lenta. E la salma giace da otto anni in una cella frigorifera. In attesa di una sentenza. È una storia di ordinaria burocrazia giudiziaria quella che ha per teatro Bolzano, con un cadavere ospitato dal 2008 in una cella frigorifera dell’ospedale, in attesa di eventi che non arrivano. Incredibile ma vero. E il tutto per un’eredità.
Il defunto «ibernato» è Luigi Gatti, armonicista di talento, morto nel 2008 e ancora non seppellito. Gli aspiranti eredi si bisticciano e, di tanto in tanto, gli avvocati degli uni e degli altri chiedono l’esame del Dna per approfondire le valutazioni dei testimoni e degli esperti di turno. Così la diatriba si trascina e il caro estinto rimane in frigorifero.
«Il problema – spiega il primario anatomopatologo Guido Mazzoleni – consiste nel fatto che ogni nuovo perito coinvolto nella causa ha la facoltà di fare prelevare i reperti per l’esame del Dna e così la salma non può avere sepoltura». All’ospedale si sono ormai rassegnati e aspettano che la giustizia faccia il suo corso. Sperano che la Cassazione (che si dovrà pronunciare) metterà fine alla singolare situazione. Se invece dovesse rinviare gli atti a qualche tribunale, chissà quando potrà avvenire la sepoltura. Insomma, per ora requiescant non in pace.
La cospicua eredità non è quella dell’armonicista bensì quella lasciata da Vittorio Cini, conte di Monselice, politico e imprenditore nato nel 1885 e deceduto (a Venezia) nel 1977.
Di famiglia benestante, gestì i vasti poderi di proprietà e compì importanti opere di bonifica. Poi fu l’ideatore del porto industriale di Marghera. Divenne ministro per le Comunicazioni nel febbraio 1943 (ultimo governo Mussolini) ma lasciò presto l’incarico per profonde divergenze col capo del governo. Dopo l’8 settembre venne catturato dai tedeschi ed internato a Dachau, da dove il figlio Giorgio (che aveva ricavato del denaro vendendo tutti i gioielli della madre, l’attrice Lyda Borelli) riuscì a farlo evadere corrompendo le SS.
Nel 1949 il figlio morì in un incidente di volo e Vittorio Cini dedicò da allora la sua vita a opere di filantropia, costituendo la Fondazione Giorgio Cini, centro d’arte e di cultura, con sede a Venezia.
Dalla prima moglie, oltre all’erede Giorgio, ebbe anche le figlie Minna e le gemelle Ylda, e Yana, in seconde nozze si sposò con la marchesa Maria Cristina Dal Pozzo di Annone. Nella sua vita personale potrebbe però avere avuto un ruolo anche la madre di Luigi Gatti, che a suo tempo (prima di morire) sostenne che il padre era Vittorio Cini. L’armonicista (vinse anche un concorso televisivo, Primo applauso, presentato da Enzo Tortora) in vita non ha mai reclamato nulla. L’istanza per ottenere il riconoscimento della paternità e quindi entrare in possesso di una parte dei beni di Vittorio Cini è partita dalla moglie di Gatti. Una richiesta alla quale si sono opposti coloro che ritengono di essere gli unici legittimi discendenti del conte.
Più volte sono stati prelevati campioni dei tessuti molli e delle ossa del defunto: i risultati tenderebbero a escludere la parentela. Ma il ping-pong nelle aule giudiziarie si trascina di udienza in udienza.
A Luigi Gatti sembra importasse (relativamente) poco conoscere l’identità del padre. Il suo principale interesse era la musica. Esordì al teatro Verdi di Bolzano. Poi una parodia di Lili Marlene contro la guerra imminente gli costò dapprima un arresto e un interrogatorio da parte della polizia fascista, in seguito la tortura dei nazisti.
Nel 1944 fu arrestato e internato nel lager di Bolzano con l’accusa di diserzione. Scampato fortunosamente alla deportazione riprese la sua attività musicale dopo la guerra, esibendosi anche all’estero. Riusciva a suonare armoniche lunghe anche solo sette centimetri. Tenne il suo ultimo concerto nel 2007, a 87 anni.
In realtà si chiamava Alois Steneck. La madre, austriaca, sposò a Bolzano Rino Gatti quando Alois aveva quattro anni. E all’anagrafe divenne Luigi Gatti. Nella biografia ufficiale, sulla base delle dichiarazioni della madre, è scritto che il padre era un conte, di stanza a Bolzano durante la guerra. Ciò che rende ora i suoi discendenti sicuri che quel conte fosse Vittorio Cini.
Davvero una situazione intricata. Racconta un giornalista (è stato in Rai per 40 anni), Ettore Frangipane, che lo conosceva bene: «Due anni fa andai nel cimitero di Fiè alla ricerca di una tomba di un pilota della Luftwaffe. Volevo scrivere un articolo. Vidi per caso la tomba di Cianci (era il soprannome di Gatti). È strano incontrare casualmente la tomba di un amico: dà una sensazione insieme di gioia e di tristezza. Ma Cianci, ancora una volta, m’aveva fatto uno scherzo. Lui non era là, a Fiè. Attendeva invece ancora a Bolzano. E attende tuttora».
Infatti i parenti gli hanno preparato la tomba, con tanto di lapide e foto. Qualcuno, ogni tanto, depone un fiore. Ma il corpo non c’è. È a Bolzano, in frigorifero.
Tra l’altro, la singolare (e macabra) vicenda sta sollevando interrogativi amministrativi. Chi paga i costi di questa «ibernazione»? Il primario, ovviamente, non vuole che essi siano addebitati al budget del proprio reparto e aggiunge che i posti sono pochi rispetto alle necessità e l’occupazione di una cella frigorifera per tanto tempo causa disservizi. Sono i litiganti a dovere mettere mano al portafoglio? Per ora non hanno sborsato una lira. Qualche dubbio sul protrarsi di questa situazione è avanzato dal procuratore capo di Bolzano, Guido Rispoli: «Se tutte le prove necessarie sono state realmente acquisite ed ogni dubbio giuridico è stato chiarito, a mio avviso si tratta di una procedura assolutamente incomprensibile». Ma il corpo è ancora lì e l’8 maggio ha compiuto gli otto anni di refrigerazione in attesa che la giustizia si decida.
Il fatto è che si continua ad analizzare il Dna. L’anatomopatologo Guido Mazzoleni ogni tanto deve adempiere alla richiesta di prelevare particelle del corpo. «E prima di me – dice – è toccato all’ex-primario Egarter Vigl». Al medico è stato detto che il corpo deve rimanere a disposizione per continuare ad avere la possibilità di prelevare campioni allo scopo di stabilire con esattezza il Dna e poterlo confrontare con quello del presunto padre. Un confronto piuttosto complesso se in otto anni non se n’è venuto a capo nonostante i corposi fascicoli giudiziari e l’opinione del procuratore capo.
Per fortuna la Fondazione Giorgio Cini, tuttora tra le più illustri istituzioni culturali veneziane, presieduta (dal 2001) da Giovanni Bazoli, vive di vita propria grazie ai lasciti del fondatore e non è coinvolta in questa querelle di «ibernazione all’italiana».
di Carlo Valentini, ItaliaOggi 20/8/2016