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 2016  agosto 20 Sabato calendario

COPPA D’ITALIA

Sono sorsi di speranza. Che dite: esageriamo ad affidare a un vino aromatico un recupero d’identità e anche di sobrietà? È che il Vermouth è la colonna alcolica della storia patria. E se torna di moda vuol dire che ci stiamo riappropriando - indotti forse dalla crisi - delle nostre più certe abitudini. Debuttò un secolo prima dell’Unità d’Italia, benedisse il Regno ché la corte sabauda poteva rinunciare a tutto tranne che al Vermouth, ci ha accompagnato nei due dopoguerra restituendoci vitalità - in fin dei conti era un cordiale - e ha segnato con il suo crescere in diffusione la traiettoria dell’ascensore sociale del Paese, oltre a consolidare le fortune di alcuni gruppi industriali che sono diventati dei marchi mondiali. Mirabilmente Guido Gozzano ne descrisse le atmosfere nei caffè di Torino, dove il Vermouth è stato concepito e dove oggi torna come guest star. Divenuto un must internazionale per via delle mescolanze nei cocktail, è scivolato in un soporoso oblio a meta degli ’80, quando un certo edonismo esterofilo scoprì i distillati scozzesi e giamaicani. Pensare che all’estero - a cominciare dai francesi - non hanno mai smesso di imitarlo. BERE DI CLASSE Non che il Vermouth sia fungibile rispetto al bere forte, anzi è un bere di classe, meditato, aromatico. Quasi intellettuale. Almeno così era nato, poi divenne popolarissimo. Chissà se qualcuno si ricorda: «Appuntamento yes, appuntamento con Punt e Mes», jingle che compariva nei caroselli dell’Italia del boom. Ebbene, oggi il Vermouth torna di moda e diventa selettivo, perché non è più solo uno degli ingredienti del Martini Cocktail, del Manhattan o del Negroni. Rivendica parte da solista nella commedia dell’aperitivo, e nobilita i bar. Proprio come ai tempi del debutto in società del Vermouth, che a torto - per la popolarità raggiunta attorno agli anni ’60 del secolo andato (quasi duecent’anni dopo esser stato inventato) - veniva considerato un prodotto enologico di seconda scelta, quando in realtà è un capolavoro. Forse non molti sanno che Giacomo Tachis - il maestro degli enologi italiani, recentemente scomparso, che ha firmato i vini del nostro Rinascimento internazionale in forza dei quali oggi l’Italia contende alla Francia ogni primato - ha cominciato la sua carriera come creatore di Vermouth, ed era solito ripetere: «Mi piaceva molto farlo perché significava studiare le proprietà delle erbe aromatiche, trovare la giusta combinazione tra vino, zuccheri e aromi; mi sentivo un po’ druido e un po’ alchimista, e continua a piacermi molto sorseggiarlo». L’aperitivo preferito da Tachis era Vermouth bianco con acqua gassata, una spruzzata di limone per accompagnare pane burro e acciughe! Non proprio così lo concepì nel 1786 nella sua bottega di Piazza Castello (ancora c’è e si può visitare) Benedetto Carpano, che lo aveva proposto come digestivo. Il prototipo erano i vini corretti all’assenzio (il nome deriva da quello tedesco della pianata di Artemisia), ai quali Carpano aggiunse altre erbe aromatiche e lo zucchero per renderlo più amabile. Dall’esperienza di Carpano nacquero le altre grandi marche piemontesi: Cinzano, Cora, Martini & Rossi, Gancia. Il vantaggio era di poter utilizzare il Moscato di Canelli come base per fare il Vermouth, che è ancora codificato dalla ricetta d’inizio Novecento del grande enologo piemontese Arnaldo Strucchi, ma che ora ha bisogno di ritrovare interamente le sue origini. Così a Torino si stanno dando da fare per certificare l’auten-ticità del Vermouth di Torino. Ci lavora in particolare Giustino Ballato, e ha convinto anche un colosso come la Martini. Lo scorso anno in Italia se ne sono consumati 27 milioni di litri e sono rinate ben 25 marche un tempo famosissime. Tra le prime è stata proprio quella resuscitata da Ballato con Davide Pinto, Luca Pineider e Carlo Milano, la famosa etichetta Anselmo. Sono tornate sul mercato griffes come Cocchi (fa il Vermouth rosso e quello amaro) e poi un bartrender come Giancarlo Mancino ha firmato il suo Vermouth, così ha fatto Carlo Quaglia, uno dei maestri distillatori del Piemonte, che in accordo con la mecca dei bar - il Jerry Thomas Speakeasy di Roma - si è messo a produrre il Vermouth del Professore Bianco e Rosso. E un bar storico come Mulassano a Torino ha di nuovo la sua etichetta. SERATE E DEGUSTAZIONI Un progetto ambizioso è quello di Oscar Quagliarini - il più acclamato barman italiano - che in collaborazione con Stefano Di Dio ha prodotto Oscar 697, linea di Vermouth molto trendy anche nella confezione, e lo stesso progetto è sostanzialmente quello della pratese Gusteria che ha resuscitato il Vermouth bianco di Prato, una produzione che cominciò con Firenze Capitale. E a Milano il Vermouth è diventato protagonista di due locali: il Vermù e Gin012, e a questo vino fortificato (i gradi devono essere compresi tra 14,5 e 21,5: le tipologie vanno dal dolce all’extradry e possono essere bianco, rosso e rosato ivi compreso l’Americano che ha aggiunta di scorze di arancio amaro) sono ormai dedicate serate di degustazione. Per scoprire i Vermouth artigianali: dal Bordiga alla Riserva Carlo Alberto passando per il Vermouth di Sardegna. In fin dei conti i Savoia brindarono all’unità d’Italia con l’invenzione del signor Carpano!