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 2016  agosto 20 Sabato calendario

PIÙ REGOLE O SCELTE LIBERE QUEL DIVARIO CULTURALE COL MONDO ANGLOSASSONE

«Non ti fanno attraversare il giardino della Casa Bianca da solo. Ti verrà a prendere ai controlli di sicurezza la mia assistente: Rumana». Come? Umana? «Rumana». Non avevo capito il nome: quello pronunciato dal vicecapo del Consiglio per la sicurezza nazionale non somigliava a nessuno di quelli che ero abituato a sentire. Il perché l’ho capito quando, qualche giorno dopo, sono arrivato al 1600 di Pennsylvania Avenue per intervistare Ben Rhodes: ad aspettarmi c’era Rumana Ahmed, il capo coperto da un velo. L’assistente dell’uomo che ha influenzato la politica estera di Obama è una musulmana osservante: una delle sei che lavorano alla Casa Bianca. Con responsabilità importanti e accesso a documenti top secret.
Impensabile in Francia e, probabilmente, in molte altre capitali europee. Ordinaria amministrazione negli Stati Uniti. Dove la maggior fiducia in una comunità islamica sicuramente meno numerosa e più integrata di quelle di molti Paesi del Vecchio continente è accompagnata anche da una maggiore tolleranza delle manifestazioni esteriori di appartenenza a una religione.
È curioso vedere come due Paesi come Francia e Stati Uniti che due secoli fa hanno combattuto rivoluzioni in nome di una libertà tuttora venerata, due democrazie costruite sul principio della separazione tra Stato e Chiesa, abbiano assunto atteggiamenti tanto diversi, oggi, sulle questioni dell’uso dell’ hijab e del burqa da parte delle donne islamiche. Dietro il divieto di andare in spiaggia col burkini spuntato in diverse località balneari francesi non c’è solo la scelta politica di sindaci conservatori che cavalcano rabbia e paure dei francesi o i timori elettorali del premier, il socialista Valls, per il quale il velo è «un simbolo di schiavitù incompatibile coi valori della Francia».
C’è anche una cultura di sinistra, dalla leader femminista Elisabeth Badinter a Regis Debray, che chiede regole più severe per proteggere il secolarismo dello Stato da manifestazioni che intaccano quel principio di laicità considerato l’unica garanzia della libertà di coscienza. E qui l’esibizione del velo, vista come manifestazione di sottomissione della donna a una cultura maschilista, oltre che come espressione religiosa, viene spesso equiparato ad altre realtà come quella del panettiere arabo che fa delle baguette squisite, ma si rifiuta di usarle per fare panini al prosciutto.
L’onda di ostilità nei confronti del velo e del burkini che monta in Francia in questa estate 2016, 12 anni dopo la creazione dell’indumento, e si va estendendo anche in altri Paesi europei, dalla Germania a qualche spiaggia spagnola, non ha per ora contagiato il mondo anglosassone. Qui, anzi, la cultura dominante è quella della totale libertà di ogni espressione religiosa. Lo testimoniano le reazioni tanto della stampa americana quanto di quella inglese, concordi nel condannare un Paese, la Francia, amico e alleato, ma stavolta accusato di cedere a manifestazione di isteria islamofobica.
In un editoriale della direzione, il New York Times condanna il divieto di burkini anche per la pretesa dello Stato francese di proteggere le donne musulmane da una presunta schiavitù indotta dai capi d’abbigliamento che indossano. Quanto alla Gran Bretagna, le critiche vengono tanto dal conservatore Daily Telegraph che distingue tra i siriani liberati dal giogo dell’Isis che rinunciano volontariamente a barbe e veli e l’imposizione dei sindaci francesi «sciocco atto di fanatismo» quanto dai progressisti del Guardian . Il quale pubblica l’immagine di una donna islamica che ostenta orgogliosamente l’ hijab e un cartello: «Un velo sugli occhi è più pericoloso di quello sui capelli».
Alla radice dei due diversi atteggiamenti, la diversa visione del ruolo dello Stato che in Francia è centrale e plasma un sistema fortemente regolamentato, mentre nel liberalismo anglosassone tutto ciò che non è espressamente proibito è legittimo. A Parigi la rigidità nei confronti delle manifestazioni religiose nasce dalla legge varata nel 1905 per proteggere lo Stato dalle ingerenze della Chiesa cattolica. La norma ha funzionato per un secolo, ma con l’emergere delle tensioni col mondo musulmano è stata usata sempre più, oltre che come strumento per proteggere la macchina amministrativa da infiltrazioni religiose, anche come «arma impropria» contro il diffondersi dei costumi islamici.
Un problema che il liberalismo americano non ha fin qui avuto, anche se alcune reazioni viscerali dopo gli attentati di San Bernardino e Orlando hanno spinto Obama a ricordare a tutti la storia preziosa dell’integrazione dei musulmani d’America nel tessuto sociale del Paese. Meno vulnerabile della Francia dal lato del culto estremo del secolarismo, l’America è comunque a rischio per quanto riguarda altri integralismi: dalla difesa a oltranza del diritto di armarsi alla libertà d’espressione senza limiti, anche quando si rischia di alimentare i crimini d’odio.