Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 21 Domenica calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 104 (Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca OTRANTO E LA STRAGE DEL 1480 – Sultano

LIBRO IN GOCCE NUMERO 104 (Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca OTRANTO E LA STRAGE DEL 1480 – Sultano. Il sultano Mehmet/Maometto II, meglio noto come Fatih, Il Conquistatore, che nel 1453, poco più che ventenne, s’era impadronito di Costantinopoli facendone la capitale dell’impero turco-ottomano, nel 1480 aveva deciso di conquistare Otranto. Gotta. Il sultano di regola avrebbe dovuto scandire la sua settimana in quattro giorni di incombenze politiche, due di piaceri carnali con giovinetti e fanciulle dell’harem, e uno di riposo nei giardini del serraglio. Afflitto dalla gotta, aveva fortemente diradato le sue apparizioni ufficiali. Collo. Si racconta che una volta, dissertando su un dipinto raffigurante San Giovanni decollato, avesse avuto da ridire circa le dimensioni del collo tranciato, giudicandolo oltremodo lungo rispetto alla fisiologica ritrazione provocata dal taglio della cervice; sicché, a scanso di equivoci, ad avallo della propria teoria, non aveva esitato a imbandire immediatamente un esperimento pratico di decapitazione, con sommo sconcerto del pittore Gentile Bellini. Fratelli. Il sultano, avendo tre figli, aveva emanato nel 1477 la cosiddetta «legge del fratricidio» , una norma in base alla quale ciascun nuovo sovrano turco doveva far morire immediatamente i propri fratelli, per scongiurare conflitti o spartizioni che avrebbero minato l’unità e la stabilità dell’impero. Peste. Al primo caldo del 1480, la peste aveva avvolto gli approdi di Brindisi, Trani e Valona, l’area dell’imminente belligeranza, il fulcro del programmato attacco ottomano al regno aragonese. La popolazione brindisina e tranese aveva cominciato a disperdersi nelle campagne circostanzi. In Albania, la devastazione era stata ancora più feroce. Re Ferrante s’era convinto che la pandemia sarebbe stata un deterrente, che avrebbe inibito le propensioni turche a investire il litorale. E il comandante ottomano aveva escogitato un astuto diversivo: aveva fatto circolare la voce che la sua armata fosse andata via da Valona a causa della peste. Nave. All’alba del 28 luglio 1480 i primi Otrantini che s’erano svegliati avvistarono, nell’orizzonte, una schiera di navi che si ingrossava, minacciosa, mostruosa, man mano che si avvicinava alla riva. Prima dieci, poi quaranta, settanta, novanta: fino a centocinquanta ne contarono. Resa. Gli otrantini, cui Gedik Ahmed Pascià offrì la resa, si riunirono in cattedrale per decidere il da farsi. Nessuno avvisò il popolo che, se la città fosse caduta, si sarebbe salvato soltanto chi avesse avuto abbastanza denaro per pagarsi un riscatto. Per il resto della popolazione ci sarebbe stata, nella migliore delle ipotesi, la schiavitù. Nella peggiore, lo sterminio. Bombarda. Il capitano Francesco Zurlo aveva sdegnosamente rifiutato le profferte del sangiacco e si era spinto a replicargli con un colpo di bombarda, «la quale hebbe a fare mal servitio». Gedik Ahmed Pascià si era allontanato schiumante di rabbia, stizzito dall’insolenza, giacché le ambascerie, le tregue, le richieste di trattative rappresentavano una ritualità sacra per i Turchi. Una pioggia di proiettili si era abbattuta quindi sulla città. Fu l’inizio di una carneficina fra le più crudeli. Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 21/8/2016