Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 19 Venerdì calendario

NEI LAGER-PRIGIONE DI ASSAD

Le urla delle guardie, a chi arriva incappucciato e con gli occhi bendati, il saluto. Quando entri nel carcere militare di Saydnaya, la prigione nelle montagne una trentina di chilometri a nord di Damasco, senti subito l’«odore della tortura», è qualcosa di specifico, «un misto di umidità, sangue e sudore», ricorda Salam, avvocato di Aleppo che vi ha trascorso due anni della sua vita.
Il nome di Saydnaya per i detenuti evoca il terrore già durante il tragitto, e appena vi si giunge inizia l’“haflet al-istiqbal”, la festa di benvenuto.
«Aperte le porte ogni guardia ha preso un prigioniero. Ci battevano ovunque con bastoni anche sulla testa. Poi, con la faccia sul pavimento, siamo stati costretti ad assumere posizioni umilianti», racconta Salam Othman, nel video con le testimonianze di ex prigionieri e la ricostruzione in 3D del carcere della morte siriano (https://saydnaya.amnesty.org) a corredo del rapporto «Ti spezza l’umanità. Tortura, ma-lattie e morte nelle prigioni della Siria», presentato ieri da Amnesty International.
Una denuncia dei crimini contro l’umanità commessi dalle forze governative di Damasco che ricostruisce, attraverso le testimonianze di 65 sopravvissuti alla tortura, l’esperienza di migliaia di detenuti. Un «campionario di orrori» che descrive «le violenze da incubo inflitte ai detenuti sin dal momento dell’arresto e poi durante gli interrogatori, svolti a porte chiuse all’interno dei famigerati centri di detenzione dei servizi di sicurezza siriani: un incubo che spesso termina con la morte, che può arrivare in ogni fase della detenzione», ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di AI. E dopo la festa d’inizio i «controlli di sicurezza»: aggressioni sessuali e stupri per le donne, mentre sono prassi quotidiana le torture per ottenere “confessioni”, oppure semplicemente come punizione. Le chiamano «dulab», (pneumatico), il corpo della vittima viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico o «falaqa», la bastonatura delle piante dei piedi, oppure gli aguzzini ricorrono alle scariche elettriche, all’estirpazione delle unghie delle mani o dei piedi, alle ustioni con acqua bollente e alle bruciature con sigarette. Samer al-Ahmed racconta di essere stato rinchiuso in una gabbia di legno, con uno sportello per far uscire la testa all’esterno: «La guardia ha iniziato a saltare sulla mia testa che sporgeva: c’era sangue ovunque e sono rimasto quasi esanime per ore», conclude.
«Da decenni le forze governative siriane usano la tortura per stroncare gli oppositori. Oggi viene usata nell’ambito di attacchi sistematici contro chiunque, nella popolazione civile, sia sospettato di non stare dalla parte del governo», denuncia a nome di Amnesty Philip Luther. «Crimini contro l’umanità», consumati oltre che con la violenza dal sovraffollamento, la mancanza di cibo e di cure mediche e insufficienza di servizi igienico-sanitari che costituiscono un trattamento crudele e degradante. «Ci avevano dato, dopo tre giorni senza bere, una brocca d’acqua per nove persone. Ci sorvegliavamo a vicenda nel bere, ma quando per errore è caduta in terra, ci siamo messi a leccare il pavimento per dissetarci. Altre volte ho bevuto l’acqua dello scarico del water, per non morire di sete», racconta Jamal Abdou.
Amnesty International diffonde le nuove statistiche di Hrdag: tra marzo 2011 e dicembre 2015 nelle prigioni siriane sono morte 17.723 persone, oltre 300 al mese. Nei decenni precedenti il 2011, Amnesty International aveva riscontrato una media di 45 decessi in carcere all’anno, ossia tre o quattro al mese. La quotidianità, a Saydnay, era di dormire in celle sovraffollate, e scoprire al mattino di aver avuto a fianco un cadavere. «Umidità, sudore e sangue», l’odore della tortura respirato a fondo da molti degli 11 milioni di profughi siriani in fuga. Un odore acre, che i grandi della terra fingono di non riconoscere.