di Francesco Musolino, il Fatto Quotidiano 18/8/2016, 18 agosto 2016
SACCO A PELO E POCHI SOLDI: LONELY PLANET, COSÌ COMINCIÒ
Un tempo si viaggiava in sacco a pelo, alla scoperta dell’ignoto, verso Capo Nord o la mitica Patagonia sulle orme di Chatwin. Oggi i viaggiatori prenotano tutto in rete, conservano le prenotazioni sul cloud e postano foto su Instagram. Eppure le guide turistiche sono ancora un oggetto cult da mettere nello zaino. La più celebre di tutte è la Lonely Planet, fondata nel 1972 in Australia e acquistata nel 2013 dal miliardario americano Brad Kelley per 75 milioni di dollari. Eppure tutto ebbe inizio all’insegna della parsimonia. Difatti i coniugi britannici Maureen e Tony Wheeler – fondatori della LP – seguirono la cosiddetta “rotta degli hippies”, andando dalla Turchia sino in Nepal via terra e nel 1973 decisero di scrivere Across Asia on the cheap (letteralmente, Attraverso l’Asia con pochi soldi), una guida che segnalava sistemazioni economiche e cibo a buon mercato lungo la via. E vendettero ben ottomila copia.
Con le Lonely Planet avvenne una vera e propria rivoluzione delle guide di viaggio e oggi la Edt – partner italiano del colosso Lonely Planet – compie quarant’anni, con il merito d’aver lanciato anche prodotti originali nel mercato editoriale. Nell’89 c’erano già 70 titoli in catalogo e la LP selezionava autori-viaggiatori che spediva in giro per il mondo. “L’idea folgorante – spiega Luca Iaccarino, responsabile della collana di narrativa di viaggio Allacarta, edita da Edt – fu quella di raccontare il paese con gli occhi del narratore. La LP non è una semplice guida e gli autori sono interamente spesati, perché devono essere indipendenti. Le guide di viaggio che mandano gli autori allo sbando sono destinate a deludere gli utenti”. Ma non è tutto. Chi viaggia può essere preparatissimo sulla teoria ma è necessario anche farsi comprendere. Così, accanto alle guide classiche, le cosiddette shoestring (dedicate ad un intero continente) e ai travel survival kit (rivolte ad un solo Paese), la LP ebbe l’intuizione di pubblicare anche i phrasesbook, con ampio spazio agli usi locali e ai costumi in voga. Insomma, va benissimo andare alla scoperta del mondo, ma cerchiamo di non fare inutili gaffe.
Il passaggio epocale avvenne negli anni ’90, quando le LP si aprono ad un pubblico diverso. Inizialmente erano guide rivolte ai backpackers – ovvero i viaggiatori in sacco a pelo – ricche di informazioni su possibili passaggi in autostop e sistemazioni a basso costo. Ma dai duri e puri, lo sguardo passò ai viaggiatori più facoltosi – o semplicemente desiderosi di un tetto sopra la testa e di una doccia calda – e oggi le guide Pocket sono centrate sulle capitali, contemplando anche alberghi di lusso, ristoranti stellati e un ampio corredo fotografico.
“La Edt ha dato un grande contributo alla letteratura di viaggio – spiega l’antropologo culturale Marco Aime, autore di numerosi libri fra cui Le radici nella sabbia. Viaggio in Mali e Burkina Faso (Edt, 2013) – per costruire una vera e propria cultura legata al viaggio. I viaggiatori giovani oggi sono diversi rispetto ad un tempo, desiderano meno l’avventura e la scoperta del sud del mondo, forse per via di internet e sicuramente a causa delle avverse condizioni economiche”.
Eppure, nonostante la rete, le guide cartacee esercitano ancora un grande fascino. “Sì – prosegue Aime – soprattutto grazie dell’autorevolezza dell’autore e alla casa editrice. La rete ci facilita la vita e fornisce informazioni di ogni tipo, ma una guida cartacea è ancora un oggetto necessario per il vero viaggiatore”. E in questo mutare di prospettive, il concetto stesso di guida si può ampliare puntando alla trasmissione di una vera e propria esperienza di vita, declinata narrativamente. Accade così nella collana Allacarta, cui ha partecipato lo scrittore torinese Fabio Geda, autore di Itadakimasu – Umilmente ricevo in dono (Edt, 2014). “Ho avuto il piacere di poter raccontare Tokyo attraverso il cibo ma non con l’intento di essere un gourmet. Anzi, era l’unica cosa che non dovevo fare – afferma Geda – non volevano un classico reportage ma una strada nuova. Ho sempre amato la cultura nipponica e ho attinto alla letteratura per creare la mia storia, immergendomi dentro Tokyo per 27 giorni. Volevo lasciarmi attraversare dalla città, giocando con i cliché”.
Ma nel 2016 servono ancora le guide? “Mi aspetto consigli utili – dice Fabio Geda – ma devono anche essere scritte bene. Le Lonely Planet offrono lo sguardo del viaggiatore, senza rinunciare ad un pizzico di ironia”.
di Francesco Musolino, il Fatto Quotidiano 18/8/2016