di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 18/8/2016, 18 agosto 2016
PROBLEMI DI STIMOLO
Noi, lo diciamo senz’ombra di ironia, seguiamo sempre Federico Rampini con spasmodico interesse e una punta d’invidia per le innumerevoli qualità che egli possiede e a noi invece difettano: la padronanza dell’economia globale, la familiarità con i mercati internazionali, la dimestichezza con le lingue straniere e soprattutto le bretelle dai colori sgargianti e dalle dimensioni ragguardevoli. Extralarge. A due piazze. Chi vuole arguire l’andamento della finanza mondiale, non ha che da notare le nuances delle bretelle di Rampini, che variano a seconda dell’indice Mibtel: un po’ come la casula del prete, bianca nei periodi liturgici della letizia, viola in quelli della penitenza, rossa in quello pentecostale e così via. Ieri Rampini ha indossato le bretelle viola per vergare su Repubblica il classico pezzo quaresimale che annuncia tempesta. Già il titolo – “Il rischio-Brexit sul referendum” – induce a barricarsi in casa o, dovendo proprio uscire per impegni urgenti, ad aprire l’ombrello. Ma lui non ne può niente: si limita a riportare il parere del Wall Street Journal, che definisce il nostro referendum “più importante di Brexit”. Un’“analisi preoccupata – osserva Rampini – che “s’inserisce in un crescendo d’attenzione sulla scadenza di novembre: anche New York Times e Financial Times hanno lanciato segnali simili, additando nell’Italia l’anello debole della crescita europea (vedi dati di venerdì)”.
I dati di venerdì indicano la crescita zero dell’Italia, possibile “epicentro di un nuovo shock politico che indebolirebbe la già traballante Ue”. Lo scrive anche El Pais e lo dicono pure “gli uomini di George Soros” e i “top manager della Silicon Valley”. Bene, ma che ci azzecca la riforma costituzionale? Niente, infatti nessun giornale al mondo né gli uomini di Soros e i top manager della Silicon Valley captati dalle cimici nascoste nelle bretelle di Rampini fanno il minimo cenno al ddl Boschi-Verdini: già è difficile capirlo in italiano, figurarsi tradotto in inglese (sempreché si trovi un decrittatore all’altezza). Per due anni ci è stato assicurato che la riforma la chiedeva l’Europa, i mercati la reclamavano, l’attendevano ansiose le Borse, e ora si scopre che oltre la frontiera di Chiasso non frega niente a nessuno. Che gli italiani la approvino o la respingano, non cambia nulla. Tutti sanno che la crescita sarebbe a zero anche se il Senato non fosse più eletto ma imbottito di sindaci e consiglieri regionali con l’immunità, e financo se fosse abolito il Cnel (la cui esistenza in vita, pur discutibile, non pare turbare il resto del pianeta).
Però Rampini spiega, sulla scorta del WSJ, il vero timore dei “mercati”: “il rischio che una bocciatura degli elettori travolga Renzi”, nel qual caso – non potendo purtroppo abrogare gli elettori – “l’economia resterebbe inchiodata alla stagnazione di lungo termine, rendendo più difficile la soluzione di tanti problemi: dal debito pubblico alle sofferenze bancarie”. Non sappiamo nel ramo finanza, che ci è piuttosto ignoto, ma nel ramo tuffi questo si chiama triplo salto mortale carpiato con avvitamento. La stagnazione si registra col governo Renzi, il debito pubblico è aumentato in tre mesi di 70 miliardi sotto il governo Renzi, le sofferenze bancarie sono esplose sotto il governo Renzi: dunque in che senso l’eventuale caduta di Renzi impedirebbe la soluzione dei problemi emersi con Renzi? Sfugge il nesso di causalità. Tantopiù che il FT riconosce che il governo Renzi è “sempre più impopolare”, proprio perché non ha risolto i problemi, avendo preferito seguire gli amorevoli consigli dei mercati e dei giornaloni succitati. Ma ecco giungere, dal duo Reuters-New York Times, la risposta al dilemma. Se Renzi perde il referendum e si dimette da premier, è la fine del mondo: “Il Senato sopravvive. Il sistema elettorale si converte in una proporzionale che rende ancora più difficile capire chi comanda. Nuove elezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioranze diverse”.
Ora, chi s’è messo in testa di cambiare la Costituzione contro le opposizioni parlamentari che rappresentano i 2/3 degli italiani? Renzi. Chi ha fatto una legge elettorale buona solo per la Camera, lasciandone sprovvisto il Senato che non vuole più elettivo? Renzi. Chi ha detto che, se perde il referendum, cade il governo? Renzi. Chi ha innescato queste tre bombe a orologeria sotto il percorso della legislatura, minando la stabilità del suo stesso governo? Renzi. Ma, secondo i giornaloni internazionali e italiani al seguito, la colpa dell’instabilità non sarebbe sua, ma di chi osa bocciare la sua boiata costituzionale. Quindi, se un domani Hollande e la Merkel impazzissero e si mettessero a riscrivere le rispettive Costituzioni per autoproclamarsi Imperatore e Fuhrer, minacciando dimissioni in caso di bocciatura, WSJ, FT, NYT, Reuters, Soros Boys, Silicon Valley e Repubblica inviterebbero i francesi e i tedeschi ad approvare il Terzo Impero e il Quarto Reich in nome della stabilità? Così, per sapere. A questo punto il presidente della Repubblica, casomai esistesse, potrebbe ricordare a lorsignori che Renzi può restare anche se salta la Riforma Sticazzi; che comunque, morto un governo, se ne fa sempre un altro; e in ogni caso con la Brexit il Regno Unito esce per sempre dall’Ue, mentre con la Renxit esce soltanto – con tutto il rispetto – Renzi da Palazzo Chigi. Per fortuna il finale di Rampini riporta tutti al buonumore: il WSJ esorta Renzi a “un potente stimolo fiscale” e il FT “un’offensiva per lo stimolo”. Ecco cos’era: un problemino di prostata. Chissà che credevamo. A saperlo subito, stavamo più sereni. Una capsula di Prostamol al giorno e non hai più scuse.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 18/8/2016