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 2016  agosto 18 Giovedì calendario

Notizie tratte da: Benedetta Craveri, Gli ultimi libertini, Adelphi 2016, 620 pagine, 27 euroVedi Libro in gocce in scheda: 2367297Vedi Biblioteca in scheda: mancaIL DUCA DI LAUZUNFascino Il duca di Lauzun (Armand-Louis de Gontaut Biron) nato il 3 aprile 1747

Notizie tratte da: Benedetta Craveri, Gli ultimi libertini, Adelphi 2016, 620 pagine, 27 euro

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IL DUCA DI LAUZUN

Fascino Il duca di Lauzun (Armand-Louis de Gontaut Biron) nato il 3 aprile 1747. Tra le sue innumerevoli amanti, Izabela Czartoryska, passata poi alla storia come una delle grandi eroine dell’epopea nazionale polacca. Nei Mémoires Lauzun descrive la principessa così: «Pur non essendo molto alta», ha «una corporatura perfetta» e, nonostante la pelle del viso butterata dal vaiolo, «occhi stupendi, capelli stupendi, denti stupendi»: dotata, inoltre, «in ogni minimo gesto di una grazia inimitabile», era la dimostrazione di come si possa «essere affascinanti anche senza essere belle».

Nozze combinate Izabela Czartoryska fu destinata in sposa, appena quindicenne, a Adam Czartoryski, uno zio che aveva il doppio dei suoi anni: il matrimonio mirava a rafforzare i vincoli di parentela tra i diversi rami di una delle più potenti famiglie del paese. Non fu facile convincere il promesso sposo a condurla all’altare. Di bell’aspetto, elegante, intelligente, poliglotta, eccezionalmente colto, Adam Czartoryski provava un’autentica avversione per quella giovane parente timida e insignificante. Alla fine dovette cedere alle ingiunzioni del padre, il terribile principe August, ma non fece mistero del suo disappunto.

Editto In Francia l’editto di Enrico II di Valois del 1556, che proibiva agli uomini minori di trent’anni e alle donne sotto i venticinque di sposarsi senza l’approvazione paterna, pena l’essere diseredati, rimase in vigore fino alla rivoluzione.

Armadio Quando la principessa polacca Izabela rimase incinta di Lauzun, Czartoryski si dichiarò pronto a riconoscere il nascituro; in cambio, però, chiese a Izabela di salvare le forme e di porre fine alla relazione con Lauzun. Questo non impedì al duca di andare a trovare la principessa in Polonia in incognito e di ritornarvi una seconda volta alla vigilia del parto. Raggiunto di nascosto il «palazzo azzurro», la dimora dei Czartoryski a Varsavia, e chiuso per trentasei ore in un armadio collocato dietro il letto di Izabela, Lauzun assisté al travaglio e alla nascita del figlio.

Bienséances 1 All’epoca i rapporti extraconiugali erano solitamente di pubblico dominio e non venivano giudicati disdicevoli, ma le bienséances, diventate da tempo una sorta di morale sostitutiva, imponevano agli amanti di non lasciare in alcun modo trasparire in pubblico la natura del loro legame.

Bienséances 2 A chi gli chiedeva cosa avrebbe detto a sua moglie, che non vedeva da dieci anni, se lei gli avesse annunciato di essere in attesa di un figlio, il duca di Lauzun rispondeva: « Le scriverei: “Sono felice di apprendere che il Cielo ha finalmente benedetto la nostra unione. Abbiate cura della vostra salute, verrò a farvi la corte questa sera” ».

Nigretta Altra conquista di Lauzun, Aimée de Coigny. Figlia del conte di Coigny, fratello del favorito di Maria Antonietta, e molto presto orfana di madre, Aimée era stata allevata dall’amante del padre, la principessa di Guéménée. Soprannominata Nigretta per il colore nero corvino degli occhi e dei capelli, ed eccezionalmente bella, nel 1787 Aimée venne data in moglie, appena quindicenne, a un marito di sei mesi più giovane di lei, il marchese di Fleury, che sarebbe diventato duca l’anno dopo. Destinato all’insuccesso, il loro matrimonio consentì allo sposo, un militare di carriera che non brillava per intelligenza, di sperperare al tavolo da gioco la dote della moglie.

Scheletro La madre di Aimée de Coigny, appassionata di studi anatomici, viaggiava sempre con uno scheletro nei suoi bagagli.

Gigantesse Lauzun divideva equamente le sue attenzioni fra le dame del bel mondo e le prostitute, che frequentava sia da solo sia in compagnia di amici. I rapporti della polizia segnalavano la sua partecipazione alle orge organizzate dal duca di Chartres e l’intenso viavai di professioniste del sesso nella sua folie di Mon trouge; e anche se si trattava di abitudini ampiamente condivise da molti grandi signori del tempo, il suo sperimentalismo erotico - una volta il principe di Conti lo aveva sorpreso in compagnia di due gigantesse - riusciva a fare notizia.

IL VISCONTE DI SÉGUR

Ballerina Il visconte Joseph-Alexandre de Ségur, nato nel 1756, fece il suo debutto nella Parigi galante a ventidue anni rendendo «scandalosamente pubblico» il suo legame con una ballerina dell’Opéra.

Macchinazione Nel 1780, il visconte Joseph-Alexandre de Ségur entrò a far parte della cerchia degli intimi di Maria Antonietta. Tra le dame preferite dalla regina, ad attrarre la sua attenzione fu la marchesa di Bréhan, nove anni più vecchia di lui. Per legarla a sé il visconte ordì allora una macchinazione raccontata una trentina d’anni dopo dalla duchessa d’Abrantès. La marchesa, accortasi che l’uomo che lei amava, « il bel Durfort », l’amava un po’ meno di prima, aveva «pianto in silenzio». Il visconte di Ségur, «uomo brillante ma malvagio», non la perdeva di vista e si accorse della sua tristezza. Le rivelò di conoscerne il motivo e, dopo averle offerto il proprio amichevole sostegno, le promise di darle una prova tangibile di quanto l’oggetto del suo amore fosse indegno delle sue lacrime. Convinse la nuova amante di Étienne de Durfort, Adélaïde Filleul, che per strappare definitivamente Durfort a Madame de Bréhan doveva esigere che questi, contravvenendo a tutte le regole della cavalleria, le consegnasse, assieme alle lettere, il ritratto e l’anello donatigli dalla marchesa. E quando il tutto fu nelle mani di Ségur, questi «sorrise con la stessa gioia infernale che fa sorridere Satana», esclamando: «Adesso è mia!». Ma si sbagliava. «Quando ebbe la prova dell’infedeltà del solo uomo che avesse mai amato», la marchesa di Bréhan ne rimase così sconvolta che, ritiratasi nella sua camera da letto, ingerì del veleno. Non riuscì a morire, ma non si liberò mai più dal tremito nervoso che l’aveva colpita al momento della rivelazione.

Doni Gli esponenti della buona società avevano l’abitudine di festeggiare l’arrivo dell’Anno Nuovo scambiandosi piccoli doni, spesso accompagnati da messaggi poetici in rima sull’aria delle canzoni alla moda.

Vendette Il 1° gennaio 1783 Ségur ebbe l’idea di regalare alle dame di sua conoscenza dei dolcetti accompagnati da brevi motti da lui ideati per l’occasione. Il conte Henri-Charles de Thiard, che aveva anche lui offerto dei dolciumi, esibì le proprie doti di versificatore rimproverando scherzosamente il visconte, più giovane e più fortunato in amore di lui, di fargli una concorrenza sleale: « Voi che alle belle donne andate a raccontare / del l’amante infedele croci, delizie e pene, /ma che bisogno avete, / Ségur, per farvi amare, / di mettervi a rubare di un Pastor Fido il bene| / Che ne sarà dei miei buoni dolcini, / dei miei biscotti, dei miei cuoricini| / Chi mai spez zerà i miei cari amaretti / per andarvi a cercare i miei detti|». L’epigramma, che si chiudeva su una burlesca richiesta di risarcimento, dispiacque al visconte,
che per vendetta decise di sedurre l’amante del versisicatore, la contessa di Séran. Ségur trovò dunque il modo di farsi mandare con la sua guarnigione non lontano dal feudo avito dei Séran, in Normandia, e si consacrò alla conquista della contessa. «Recitò perfettamente la sua parte» racconta Madame de Boigne «finse una passione delirante e, dopo un corteggiamento assiduo durato alcuni mesi, ottenne quel che voleva». Quando però, non molto tempo dopo, lei gli confessò di essere incinta, Ségur «le rispose di aver raggiunto il suo scopo, e che di lei non gli era mai importato nulla ... Aveva soltanto voluto vendicarsi del sarcasmo di Monsieur de Thiard». Dopodiché, annunciandole che «non avrebbe mai più sentito parlare di lui», partì per Parigi, dove «raccontò la vicenda a destra e a manca».

IL DUCA DI BRISSAC

Privilegi Il duca di Brissac (Louis-Hercule-Timoléon ) deteneva per tradizione familiare il privilegio di occupare alte cariche militari alle dirette dipendenze del sovrano. Di tutte, la più prestigiosa era quella di governatore della città, già ricoperta da suo padre. Benché ormai di carattere essenzialmente simbolico, la carica consentiva di ricevere ordini soltanto dal re e conferiva il diritto di sedere in Parlamento in qualità di consigliere d’onore. Come i principi del sangue e i pari laici, il governatore poteva inoltre sfoggiare in Parlamento «un abito di drappo d’oro, o di velluto, o nero, un mantello corto, un cappello di velluto guarnito di piume », nonché di portare la spada e di essere scortato da guardie e paggi.

Moglie Nato nel 1735, secondogenito del maresciallo di Brissac, Louis-Hercule-Timoléon era una sorta di gigante, forte e vigoroso, formato sin da giovane al mestiere delle armi. Nel 1759, alla morte del fratello maggiore, fu investito del ruolo di primogenito, e subito si provvide a dargli una moglie di condizione adeguata: un anno dopo egli portò dunque all’altare Adélaïde-Diane-Hortense-Délie Mancini-Mazarini. Un’unione prestigiosa, sia sul piano patrimoniale che su quello sociale: il padre della sposa, il duca di Nivernais, era pronipote di Mazzarino, duca e pari di Francia, grande di Spagna, principe del Sacro Romano Impero e ambasciatore di Luigi XV. Educata alla scuola paterna, la giovane duchessa di Cossé era graziosa ed estremamente vivace. Si innamorò subito del marito che la famiglia aveva scelto per lei e non ne fece mistero. Pur essendo un donnaiolo impenitente Louis-Hercule-Timoléon si prodigò in attenzioni per la giovane sposa e la coppia conobbe anni felici. Dall’unione nacquero un figlio e una figlia e molti anni dopo, al momento di redigere il suo testamento, Brissac avrebbe ricordato a quest’ultima l’affetto che nutriva per la moglie, da cui viveva da tempo separato.

Funerale Un cronista dell’epoca ci descrive il duca di Brissac intento a occhieggiare sfacciatamente le signore durante il funerale del padre.

L’Ange Nell’autunno del 1771, proprio quando la famiglia festeggiava la nascita di un erede maschio, si avvertirono, stando alle testimonianze dei contemporanei, i primi segni della crisi coniugale: Brissac appariva totalmente soggiogato dalla nuova favorita reale, Jeanne Bécu, giovane cortigiana nota negli ambienti della prostituzione d’alto bordo con il soprannome l’Ange.

Filantropia Filantropo convinto, il duca alla morte del padre intraprese a proprie spese, e con metodi all’avanguardia, la bonifica di un vasto acquitrino che da secoli minava la salute degli abitanti di Brissac e del territorio circostante. E poiché nella regione nessuno ignorava quanto il duca avesse il cuore tenero, più di un neonato veniva abbandonato bene in vista ai piedi di uno dei grandi alberi del suo parco: puntualmente lui se ne faceva carico sino a quando il trovatello, imparato un mestiere, non era in grado di provvedere a se stesso.

Caccia Rinunciando allo svago aristocratico per eccellenza, non praticava la caccia perché non sopportava l’idea di uccidere i cervi, i daini, i caprioli, la cui bellezza lo incantava, né voleva che altri lo facessero sulle sue terre; preferiva lasciare che la selvaggina danneggiasse le colture e ripagarne i contadini.

Quadri Aveva una collezione di quadri che comprendeva anche due ritratti di Rembrandt.

Collezioni Come la maggior parte dei grandi collezionisti del tempo, Brissac non si interessava soltanto alla pittura. Le sue raccolte andavano dalla statuaria antica e moderna alle armi d’epoca, ai mobili, agli oggetti preziosi, alle porcellane.

IL CONTE DI NARBONNE

Infanzia Louis de Narbonne fu allevato a Versailles, dove la madre, la contessa di Narbonne, dirigeva con pugno di ferro la casa di Madame Adélaïde e di Madame Victoire. Adorato dalle due principesse, visse un’infanzia felice in intimo contatto con la famiglia reale. Il Delfino si interessò ai suoi studi, il futuro Luigi XVI e i suoi fratelli, il conte di Provenza e il conte d’Artois, gli furono compagni di giochi, e la madre provvide a fargli impartire un’educazione fuori dal comune, «l’educazione di un giovane principe».

Colonnello Nell’agosto del 1778, a ventitré anni, venne nominato colonnello in seconda del reggimento di fanteria d’Angoumois.

Demi-louis Girava voce che Louis de Narbonne fosse figlio di Luigi XV. In età adulta la sua somiglianza con il re era diventata così evidente che gli era stato affibbiato il soprannome di «demi-louis». Del sovrano il conte aveva i tratti regolari del volto, il colore ambrato della carnagione, il naso marcato tipico dei Borbone, gli occhi e i capelli scuri, e quel portamento fiero della testa che tanto aveva colpito Casanova quando aveva incontrato Luigi XV.

Figli Luigi XV non aveva voluto riconoscere i figli nati dai suoi molti amori, a eccezione di quello avuto nel 1762 da Mademoiselle de Romans, che era stato iscritto nel registro parrocchiale di Chaillot con il nome di Louis-Aimé de Bourbon e subito destinato alla Chiesa.

Moglie ricca Nel 1782, stanche di pagare i suoi debiti, Madame de Narbonne e Madame Adélaïde provvidero a trovare a Narbonne una moglie ricca. La scelta cadde su Marie-Adélaïde de Montholon, figlia unica del presidente del Parlamento di Rouen, erede di un ingente patrimonio che includeva anche grandi proprietà a Santo Domingo. Quando Louis la portò all’altare, Marie-Adélaïde era una graziosa, timida quattordicenne, che ci mise quattro anni per dare alla luce la prima di due figlie.

Louise Tra le amanti di Narbonne l’attrice Louise Contat. A ventisei anni, assai bella, con «il più incantevole dei sorrisi» e all’apice del successo, Louise catturò l’attenzione di Narbonne, che non tardò a subentrare al conte d’Artois nei suoi «dispendiosi favori». La Contat non era una semplice cortigiana: era una grande artista, universalmente acclamata, e il teatro era la sua prima ragione di vita. Se si aspettava che i suoi amanti spendessero per lei somme ragguardevoli, era perché ciò le pareva un attestato dei propri meriti: e quando, all’inizio della loro relazione, il conte d’Artois si era visto restituire con sdegno un omaggio in denaro giudicato troppo modesto, l’aveva soprannominata «principessa da retroscena». Quella con il «beau Narbonne» fu però, in primo luogo, una storia d’amore. Sposato da soli quattro anni, Louis non fece mistero della sua relazione con l’attrice, la portò con sé in un viaggio di studi in Inghilterra, e nel settembre del 1788 riconobbe la bambina nata dalla loro unione, la fece tenere a battesimo dal proprio fratello, le impose il nome di Louise-Amalrique-Bathilde-Isidore e le assicurò un vitalizio.

Attrici Nella buona società parigina avere per amante un’attrice e mantenerla nel lusso era per molti giovani signori, celibi o sposati che fossero, un requisito irrinunciabile.

Rosa Narbonne tentò a lungo e invano di sedurre pure la marchesa di Coigny, che non lo volle mai nel suo letto. E rischiò di morire a causa sua. Monsieur d’Houdetot, anch’egli innamorato della marchesa, vedendo un giorno Narbonne uscire dalla camera della donna con una rosa in mano, si era infatti precipitato su di lui impugnando la spada. Per sguainare la propria il conte aveva stretto il fiore tra le labbra, ma nella foga del duello la rosa gli era caduta di bocca e, chinatosi per raccoglierla, aveva schivato per un soffio la spada dell’avversario, infilzandolo subito dopo.

IL CAVALIERE DI BOUFFLERS

Regali «Mi avete fatto un gran regalo, nel 1738; non so come io abbia potuto meritare tanta bontà da parte vostra, né quale generoso mortale abbia perorato la mia causa inducendovi ad avere per me attenzioni di cui ero indegno » (così nel 1762 Stanislas-Jean de Boufflers ringraziava la madre per aver avuto, ventiquattro anni prima, la cortesia di concepirlo con la complicità dell’amante del momento).

Carrozza La nascita di Stanislas-Jean era avvenuta nel bel mezzo di un viaggio: Madame de Boufflers era stata colta dalle doglie sulla strada per Nancy e, fatta fermare la carrozza, lo aveva messo al mondo assistita dal cocchiere.

Azzardo 1 Sebbene vietato dalla legge, il gioco d’azzardo era assai praticato a Versailles: anche Maria Antonietta era una giocatrice accanita.

Azzardo 2 Come segnalavano le cronache dell’epoca, al pari dei giocatori di professione, maestri nel truccare i dadi e le carte, i principi del sangue e le dame del più alto rango avevano l’abitudine di barare «con tranquilla audacia», approfittando dell’impunità conferita loro dalla posizione sociale.

Seminario Nel 1760 Madame de Boufflers decise che Stanislas-Jean doveva entrare in seminario per abbracciare la carriera ecclesiastica. A niente valse la sua disperazione. La marchesa non aveva scrupoli religiosi, e il fatto che il figlio non sentisse la minima vocazione le sembrava del tutto irrilevante: non era necessario credere in Dio per diventare un principe della Chiesa, e Stanislas-Jean aveva il dovere di tenere alto il prestigio dei Boufflers e dei Beauvau-Craon nel primo dei tre ordini della società. Senza contare che le condizioni economiche della famiglia non consentivano altra scelta. Nel dicembre del 1760, dunque, con il nome di abate di Longeville, Boufflers vide richiudersi dietro di sé le porte dell’austero seminario di Saint-Sulpice. Ma non ci sarebbe rimasto a lungo.

Preti «Che il Signore mi danni / se rivesto quei panni. / Proprio così, / che male ci trovate| / Proprio così, / chi vuole faccia il prete. / Preferisco l’Annetta / alla nera berretta, / all’abito talare, / alle facciole rare. / Proprio così, / che male ci trovate| / Proprio così, / chi vuole faccia il prete » (i versi scritti da Stanislas-
Jean, subito dopo aver lasciato il seminario, per celebrare la gioia della libertà ritrovata).

Vestaglia Stanislao, re di Polonia, morto nel febbraio del 1766 per via della vestaglia che gli prese fuoco mentre, solo, nella sua camera da letto, stava accendendo il camino.

Folletto Stanislas-Jean non era bello ed elegante e non aveva maniere impeccabili. Gli capitava di essere distratto, brusco, collerico; eppure piaceva molto alle donne. Nella descrizione che ne fa, il principe di Ligne ne mette in luce una serie di caratteristiche contraddittorie. Aveva, ad esempio, «una risata infantile e una certa goffaggine» e se ne stava spesso a testa bassa, «rigirandosi i pollici» o «cincischiando i guanti». Negli occhi gli si leggeva un’espressione di bontà, e «in tutta la persona c’era un che di ingenuo e dimesso». Ma questa apparenza di indolente bonomia cedeva rapidamente il passo a un’estrema agilità fisica e mentale. Il cavaliere «era come una scimmia, o un folletto, poteva essere leggero, profondo, irrequieto, spensierato».

Piacere fisico Il cavaliere dichiarava che l’amore non era per lui un gioco di società, ma puro piacere fisico e, contrariamente ai libertini alla moda, non sentiva l’esigenza di ostentare i suoi successi con il gentil sesso.

A cavallo Perennemente indebitato e senza fissa dimora, passava buona parte del suo tempo a cavallo, solo, senza seguito e senza bagagli, fermandosi dove gli suggeriva l’ispirazione del momento, accolto, dovunque andasse, con la perfetta buona grazia che imponevano le regole dell’ospitalità mondana. Il conte di Cheverny racconta, per esempio, che una sera gli fu annunciato l’arrivo, del tutto inaspettato, del cavaliere: egli non solo fu lieto di invitarlo a cena seduta stante, ma lo ospitò per alcuni giorni, felice di poter godere del piacere della sua conversazione.

Natura Dell’infanzia trascorsa nel castello dei nonni paterni a Haroué aveva conservato l’amore per gli alberi, le piante, gli animali. Aveva sviluppato verso il mondo della natura «sentimenti materni»; e le pecore che pascolavano dentro un recinto non gli parevano poi così diverse dagli uomini, «che si credono liberi perché non vedono le proprie catene». Fu anche tra i primi a capire che la natura era un patrimonio che andava preservato e nel 1790, in piena rivoluzione, inviterà l’Assemblea nazionale a promulgare una legge di salvaguardia per le foreste espropriate alla nobiltà e al clero che rischiavano di finire nelle mani di speculatori senza scrupoli.

Pennelli Nei suoi spostamenti portava sempre con sé i pennelli e si fermava a dipingere ciò che più lo colpiva.

Viaggi Anche sua madre, la contessa di Boufflers, era una viaggiatrice appassionata. Conosceva tre lingue e fu la prima, a Parigi, a ricevere i visitatori stranieri, mentre il suo viaggio in Inghilterra nel 1763 – «il primo dopo duecento anni compiuto come semplice viaggiatrice da una francese di rango» – fece epoca, lanciando la moda dell’anglomania.

Blasfemo Per una marchesa ottuagenaria che aveva voluto metterlo alla prova il cavaliere improvvisò dei versi blasfemi, che piacquero a Diderot al punto che ne fece menzione in una lettera a Sophie Volland: «Sotto cotta e talare, figlio di Benedetto, / il cilicio cristiano ti piace avere in petto. / Tu musulmano, invece, secondo il tuo costume, / beviti pure l’acqua, / io preferisco Bacco. / I vostri gran discorsi li metto sotto il tacco, / perché non temo affatto / quel grande mare di zolfo e di bitume / ove i sapienti vostri hanno costume / di annegare con Tito tutti i re del Marocco. / Quale che sia il vostro bell’allocco, / che lo chiamiate papa o gran muftì, / né culo né ciabatta bacerò a quello lì... ».

Uomo 1 Pochi anni prima, il cavaliere aveva dedicato alla madre un elogio che ne esaltava apertamente la libertà di costumi: «Rinnegate il Signore, bruciate pur gli altari, / teologi e patroni vi sian solo gli amori: / e se è vero che Cristo un uomo è stato, / ogni cosa vi avrà già perdonato ».

Uomo 2 Il principe di Ligne racconta di aver sentito Boufflers dire alla madre, la quale si lamentava di non riuscire ad amare Dio, di essere sicuro che se Dio fosse ridiventato uomo lei lo avrebbe amato come tutti gli altri.

Frustate Nella Correspondance secrète Boufflers racconta che una «bella marchesa», della cui infedeltà si era vendicato con un feroce epigramma, lo aveva invitato ad andare a casa sua «per una franca riconciliazione». «Il cavaliere, che conosceva troppo bene le donne per non diffidarne, si recò all’appuntamento armato di pistola». Precauzione che si dimostrò opportuna: appena giunto in casa della marchesa, infatti, fu afferrato da quattro uomini, steso sul letto e spogliato quanto bastava a somministrargli cinquanta colpi di verga. Terminata la cerimonia, il cavaliere si rialza, si ricompone e, minacciando i quattro con la pistola, li costringe non solo a frustare la marchesa (la cui «pelle di seta fu lacerata senza pietà»), ma anche a frustarsi a vicenda. Non contento,
prendendo congedo dalla signora le assicura che non si periterà di raccontare in giro «la piacevole avventura».

IL CONTE LOUIS-PHILIPPE DE SÉGUR

Armi Figlio primogenito del maresciallo di Ségur, Louis-Philippe era cresciuto nel culto dell’eroismo paterno e aveva abbracciato, come era d’obbligo nella sua famiglia, la carriera delle armi. Quali che fossero le sue attitudini e i suoi meriti, fu fatto avanzare rapidamente di grado: luogotenente di cavalleria a sedici anni, capitano a diciotto, a ventidue il giovane Ségur ottenne il comando del reggimento Orléans dragons. Ma a soli quattordici anni, prima ancora che sui campi di battaglia, Louis-Philippe aveva avuto l’onore, solitamente riservato ai grandi del regno, di servire il re a tavola. Recatosi a Compiègne per assistere alle manovre militari, Luigi XV aveva infatti accettato l’invito a cena del marchese di Ségur e spinto la compiacenza fino a chiedergli di sedersi al suo fianco. Ad assicurare il suo servizio di tavola, aveva detto il re, sarebbe stato il giovane Ségur.

Fuochi d’artificio A diciott’anni Louis-Philippe era andato ad assistere ai grandiosi fuochi d’artificio offerti dalla città di Parigi per il matrimonio del Delfino con Maria Antonietta. Le misure di sicurezza si erano però rivelate insufficienti: sotto la spinta della folla, presa dal panico, molta gente era precipitata in un grande fossato lasciato aperto per lavori in corso e la festa si era trasformata in una tragedia con più di un migliaio di morti. In quella stessa place Louis XV, ribattezzata place de la Révolution, sarebbero cadute, ventiquattro anni dopo, anche le teste dei due sposi.

Vecchi Maria Antonietta, che amava circondarsi di persone della sua età, si stupiva che ci si presentasse a corte passati i trent’anni.

Potëmkin Grigorij Aleksandrovic Potëmkin, principe dell’impero russo e del Sacro Romano Impero, ministro della Guerra, capo della flotta e delle forze armate, fu l’amante dell’imperatrice Caterina.

Piccioncino «Amore mio caro, labbra dolcissime, vita mia, gioia mia, mio adorato, piccioncino mio, mio fagiano d’oro, vi amo con tutto il cuore» (l’imperatrice a Potëmkin, all’epoca della loro passione)

Amanti Da quando la passione tra Caterina e Potëmkin era finita, era lui a scegliere gli amanti che si avvicendavano nel letto di lei.

San Pietroburgo Durante la carriera diplomatica il conte di Segur fu inviato a San Pietroburgo.

Crimea Segur seguì Caterina in Crimea, annessa alla Russia e subito ribattezzata con l’antico nome di Tauride. La prima parte della spedizione si svolse sotto la regia di Caterina, con l’esibizione senza uguali di uomini e mezzi. La seconda parte, da Kiev fino alla Crimea, fu invece di competenza di Potëmkin: stava a lui, principe della Tauride e governatore generale della Russia del Sud, fare gli onori di casa all’imperatrice.

Corteo Ségur, Fitzherbert e Cobenzl, i tre ambasciatori invitati al seguito di Caterina, furono molto stupiti dal corteo di quattordici carrozze, grandi e confortevoli come case, montate su slitte trascinate ciascuna da otto cavalli, e seguite da una lunga fila di slitte di dimensioni più modeste, che scivolavano sulla neve simili «a flottiglie di imbarcazioni leggere» e «attraversavano a una velocità incredibile quelle immense distese che avevano l’aspetto di un mare ghiacciato».

Carrozze La zarina viaggiava nella prima carrozza con la sua dama di compagnia, il conte Dmitriev-Mamonov – il favorito del momento –, l’ambasciatore austriaco, il conte di Cobenzl, il Gran Ciambellano Šuvalov e il Gran Scudiero Naryškin. Ségur seguiva nella seconda carrozza.

Luce Enormi cataste di tronchi di abeti, cipressi, betulle venivano date alle fiamme, a breve distanza l’una dall’altra, sul l’intero percorso: «Così, nelle notti più oscure, la fiera autocrate del Nord voleva e ordinava che la luce fosse». I viaggiatori si facevano vicendevolmente visita, la sera si fermavano per pernottare nelle dimore apprestate per loro lungo il cammino. Bandita ogni etichetta, Caterina si univa ai suoi ospiti per cenare in un clima di grande cordialità.

Galere Con l’arrivo della primavera, il disgelo rese navigabili le acque del Boristene – l’attuale Dnepr – e, il 1° maggio 1787, Caterina poté imbarcarsi sulla sua galera, «seguita dalla flotta più fastosa che un grande fiume abbia mai trasportato». Lo straordinario corteo acquatico era costituito da sette immense galere, vere dimore galleggianti arredate con sfarzo inaudito, seguite da un’ottantina di imbarcazioni con tremila uomini d’equipaggio. La prima galera era dunque occupata da Caterina, dal suo favorito e dalla sua dama di compagnia.

Incontri Il re di Polonia, recatosi a incontrare Caterina a Kaniv, una cittadina ucraina che si affacciava sul Dnepr, non aveva badato a spese per renderle omaggio, immolando «tre mesi e tre milioni per vedere l’imperatrice per tre ore». Il momento culminante dei festeggiamenti erano stati dei fuochi d’artificio che simulavano l’eruzione del Vesuvio.

In incognito L’imperatore Giuseppe II, solito viaggiare in incognito con il nome di conte di Falkenstein.

Omaggi Alla fine del soggiorno in Crimea, uscendo dal palazzo dove era alloggiata l’imperatrice, Ségur ebbe la visione di una giovane donna, vestita all’orientale, identica a sua moglie, e per un attimo credette che fosse realmente lei. Avendo notato il suo stupore, Potëmkin gliene chiese la ragione e quando la apprese scoppiò a ridere, promettendogli di fargli dono della giovane una volta tornati a San Pietroburgo. Al che il conte fu costretto a spiegargli che un tale omaggio rischiava di apparire bizzarro a Madame de Ségur ma, pur di non offenderlo, accettò invece un bambino calmucco.

IL CONTE DI VAUDREUIL

Enchanteur Joseph-Hyacinthe-François de Paule de Rigaud, conte di Vaudreuil, soprannominato Enchanteur in virtù delle sue feste splendide e della sua estrema capacità di piacere.

Ritratto Un bel ritratto di Drouais del 1758 ce lo mostra diciottenne, al momento di fare il suo ingresso in società: un giovane aristocratico slanciato e flessuoso, vestito con estrema eleganza – collo e polsini di pizzo bianco, giustacuore di velluto azzurro, gilet ricamato in oro, scarpe con fibbia d’argento e tacchi rossi – e con i capelli incipriati raccolti dietro la nuca. Il viso, dai tratti regolari e di una bellezza quasi femminea (fronte alta, naso dritto, bocca rossa e carnosa, mento graziosamente arrotondato), è illuminato da due profondi occhi scuri. Con la mano destra il giovane Vaudreuil tiene una grande carta geografica e con la sinistra indica le sue proprietà di Santo Domingo, mentre l’armatura ai suoi piedi ricorda che egli ha abbracciato la carriera delle armi e ha preso parte, agli ordini del principe di Soubise, alla Guerra dei Sette Anni.

Attore Nato nel 1740 nella colonia francese di Santo Domingo, Joseph-Hyacinthe-François discendeva da una delle più antiche famiglie della Linguadoca. Era un magnifico attore e lo dimostrò rivaleggiando con i maggiori professionisti della scena nei teatri privati dei più grandi signori del tempo – a Bagnolet dal duca d’Orléans, a Petit-Bourg dalla duchessa di Bourbon, a Berny dal conte di Clermont. La «Correspondance littéraire» lo segnalerà ai propri lettori come il migliore attore dilettante della sua epoca.

Cugina Per più di vent’anni fu legato sentimentalmente a una sua lontana cugina, Gabrielle-Yolande de Polastron, che nel 1767 era andata in sposa al conte Armand-Jules-François de Polignac. Secondo una leggenda familiare, si era pensato a un possibile matrimonio fra Vaudreuil e Mademoiselle de Polastron, ma la giovane educanda di cui il conte aveva preso fugacemente visione nel parlatorio del convento dove riceveva la sua formazione, non aveva trovato grazia agli occhi del cugino. Quando, qualche anno dopo, egli la rivide, ormai moglie del conte di Polignac, era diventata così bella che stentò a riconoscerla. La figura aveva qualche difetto ma era flessuosa ed elegante e aveva un collo da cigno. Una cascata di riccioli scuri le incorniciava il viso dai tratti minuti, con il nasino all’insù, una piccola bocca vermiglia dai denti bianchissimi e due grandi occhi azzurri. Se ne innamorò e fu da lei ricambiato.

Ménage à trois La morale aristocratica si mostrava indulgente verso gli amori extraconiugali, soprattutto quando obbedivano alle ragioni del cuore e rispettavano le forme consacrate della galanteria. Il loro protrarsi negli anni equivaleva poi a una vera e propria legittimazione sociale. «Che Madame de Polignac avesse Vaudreuil era un fatto acquisito. Il che comportava che una padrona di casa che invitava a cena la duchessa di Polignac invitasse anche Vaudreuil; altrimenti sarebbe venuta meno all’educazione e al buongusto, e nessuna donna del gran mondo l’avrebbe fatto». Il conte di Polignac, «più amico che amante di sua moglie, si accontentò sempre del primo di questi due titoli, e sopportò tranquillamente di non averne un altro», ed è certo che, a partire dai primi anni Settanta, lui, sua moglie e Vaudreuil formarono un affiatato ménage à trois, condividendo felicemente abitudini, svaghi, amicizie, interessi. E se, per riguardo alla donna amata, l’Enchanteur rinunciò a sposarsi, in compenso l’intero clan Polastron-Polignac lo accolse come un membro della famiglia.

Limitata Non molto intelligente – diverse le testimonianze a riguardo –, Gabrielle-Yolande aveva un campo di interessi assai limitato ed era pronta a riconoscerlo. «Non ebbe mai alcuna presunzione, e spesso rispondeva in tutta sincerità: “Quello che mi dite è al di sopra della mia portata”». Amante del quieto vivere, pigra e priva di ambizioni personali, lasciava alla brutta ma intelligente cognata Diane il compito di intrigare per la famiglia e, da quando era diventata l’amante di Vaudreuil, demandava a lui quello di indicarle il comportamento da tenere.

Gran Falconiere Vaudreuil, nominato Gran Falconiere. La caccia al volo era caduta in disuso da tempo e le funzioni di Gran Falconiere, carica estremamente onorifica, ormai consistevano solo nel ricevere solennemente i girifalchi d’Islanda, dono del re di Danimarca, o i falchi provenienti da Malta.

1789

Bastiglia Martedì 14 luglio 1789 il duca di La Rochefoucauld-Liancourt, arrivato a Versailles in tarda serata, informò Luigi XVI della caduta della Bastiglia e della terribile fine del marchese di Launay e del prevosto dei mercanti, le cui teste erano state portate in trionfo su delle picche. Fu sempre il duca – cui si attribuisce la celebre frase: «Maestà, non è una sommossa, è una rivoluzione » – a convincere il re a recarsi il giorno dopo, accompagnato dai fratelli, all’Assemblea nazionale, per annunciare il ritiro delle truppe che erano state stanziate nelle vicinanze della capitale.

Viva il re Il 17 luglio il re si recò di persona a Parigi per riconciliarsi con i suoi abitanti. Come voleva la tradizione, il neosindaco Bailly lo aspettava alla Porte de Chaillot per offrirgli le chiavi della città. Le stesse, egli ebbecura di precisare, che erano state consegnate a Enrico IV quando aveva conquistato Parigi. Ora, invece, era stata Parigi a conquistare il suo re. Dopo essersi sentito ricordare, sia pure sotto forma di omaggio, che la sua visita altro non era che una resa alla volontà popolare, il sovrano raggiunse il municipio passando sotto le spade incrociate della Guardia nazionale di cui La Fayette aveva preso il comando, e lasciò che Bailly gli appuntasse sul cappello la coccarda tricolore. Solo allora la folla gridò all’unisono: «Viva il re!». Per Luigi XVI, ricorderà Norvins, quella visita a Parigi «fu la prima stazione del suo calvario. Tornò a Versailles con il segno della sua morte dinastica sul cappello».

Emigrati Da quel momento in avanti, e fino al termine del Terrore, circa centocinquantamila persone lasciarono la Francia per cercare rifugio negli altri paesi d’Europa e negli Stati Uniti. L’émigré – un neologismo di quegli anni – diventò una figura chiave dell’epoca rivoluzionaria. Le partenze ebbero luogo a ondate successive e non riguardarono solo l’aristocrazia e il clero: sotto la spinta della «grande paura», oltre ai nobili e ai ricchi possidenti borghesi, emigrarono, anche se in misura minore, esponenti della piccola borghesia, artigiani, operai, contadini.

Châtelet 1 Dopo la presa della Bastiglia il barone di Besenval partì alla volta di Berna. L’ingrata missione militare da lui svolta nella capitale (comandava una soldatesca di Svizzeri e aveva ricevuto l’incarico di organizzare la difesa di Parigi) lo aveva esposto all’odio della popolazione. Fermato prima di raggiungere la frontiera e trattenuto sotto sorveglianza nella cittadina di Villenauxe rimase tre mesi nella fortezza di Brie-Comte-Robert, a una trentina di chilometri dalla capitale. Benché desiderosa di tutelare il rispetto della legalità, l’Assemblea procedeva infatti con estrema cautela, nel timore che la decisione di scarcerare Besenval provocasse la reazione della piazza, inducendo il popolo a farsi giustizia da solo. Si decise infine di incaricare dell’istruzione del processo – l’accusa era quella di lesa nazione – il tribunale dello Châtelet, formato da magistrati di vecchio stampo. Trasferito nella notte del 7 novembre allo Châtelet, Besenval si sentì rinascere. Dopo tre mesi drammatici, passati in isolamento e alla mercé degli umori popolari, godette di un sistema carcerario molto più mite e poté riabbracciare il visconte di Ségur, la sua vecchia amante, Madame de La Suze, ritrovare gli amici e concertare la difesa con i suoi avvocati.

Châtelet 2 Nei tre mesi che il barone trascorse allo Châtelet, la sua cella, nonostante la folla che manifestava davanti al carcere chiedendo che fosse mandato a morte, fu invasa dagli ospiti, mentre il suo cameriere la riempiva dei fiori della serra di rue de Grenelle e ordinava i pasti dai migliori traiteurs parigini. Durante il processo l’abilità del suo avvocato, Raymond de Sèze, fu determinante. Assolto da ogni imputazione, Besenval fece ritorno, scortato dalla Guardia nazionale, in rue de Grenelle, dove lo aspettavano gli amici in festa; ed è su questo epilogo felice che egli conclude le sue memorie: « In quel momento provai un’emozione che non avevo sperimentato in nessun’altra circostanza della vita».

Ritratto Tornato in rue de Grenelle, Besenval volle farsi ritrarre nel salotto di casa, in mezzo ai suoi quadri e alle sue porcellane preziose, poiché voleva essere ricordato come collezionista e amateur, e non come militare.

Fantasma La sera del 2 giugno 1791 il barone di Besenval aveva invitato a cena la famiglia Ségur al completo, suo cugino, il barone di Roll, venuto a trovarlo dalla Svizzera, e alcuni colleghi della Guardia svizzera. Non sentendosi bene, era rimasto in camera ma, al termine della cena, fece la sua comparsa avvolto in un lenzuolo bianco e proclamando con voce sepolcrale: «Chi viene a farvi visita è il fantasma del Commendatore». Poi, soddisfatto del suo scherzo, salutò gli ospiti e se ne tornò a letto. Un’ora dopo, cessò di vivere.

Palle di carta Joseph-Alexandre de Ségur fu debitore della sua salvezza a un attore fallito. A Port-Libre, l’ex monastero di Port-Royal, che passava per essere il carcere più aristocratico di Parigi, il visconte trascorse gli ultimi mesi del Terrore. La legge del 10 giugno 1794 aveva legalizzato le esecuzioni di massa ed egli vedeva quotidianamente partire per la ghigliottina amici e conoscenti, senza che toccasse mai a lui: non poteva certo immaginare di avere un santo protettore fra gli impiegati del Comitato di salute pubblica. Proprio lì, infatti, e più precisamente all’Ufficio dei detenuti, era entrato come copista all’inizio della primavera Charles de La Bussière, che conosceva il visconte e lo ammirava. Il compito di La Bussière era quello di numerare e registrare i documenti che il Comitato di salute pubblica raccoglieva su tutti coloro che erano in attesa di giudizio, per poi passarli al Tribunale rivoluzionario. Egli si era presto reso conto che l’intera procedura si svolgeva in modo quanto mai disordinato e approssimativo: i documenti venivano trasmessi senza ricevuta, i nomi degli imputati storpiati, e spesso le accuse apparivano chiaramente pretestuose. Ai primi di maggio La Bussière cominciò a sottrarre qualche incartamento riguardante persone di sua conoscenza; poi si fece più audace: di giorno nascondeva i fascicoli che aveva selezionato in un cassetto, dopodiché, imitando lo zelo dei suoi superiori che lavoravano fino all’alba, la sera tornava nel suo ufficio e macerava i fogli in un secchio d’acqua facendone delle palle che si infilava in tasca. Poi, la mattina presto, si recava ai bagni pubblici, dove trattava ulteriormente la carta, ricavandone delle palline più piccole che gettava nella Senna. Grazie anche alla tacita complicità dei suoi colleghi, La Bussière salvò centinaia di persone, privilegiando gli esponenti del bel mondo che aveva incrociato nei teatri e gli attori che più aveva ammirato sulla scena.

Testamento Brissac, relegato in una cella dell’ex convento dei Minimi a Orléans, aveva fatto installare a sue spese nel refettorio in rovina un gioco di volano a beneficio di tutti i prigionieri, e passava il tempo leggendo e facendo collage. La notizia dell’invasione delle Tuileries e quella della fine della monarchia, il 10 agosto, non gli lasciarono dubbi sulla sorte che lo attendeva. L’11 agosto fece testamento: nominava la figlia erede universale, ma aggiungeva un codicillo che riguardava una persona a lui cara, che l’epoca calamitosa rischiava di mettere «in grandissima difficoltà». Il codicillo si riferiva naturalmente a Madame du Barry, a cui il duca assicurava un vitalizio di ventiquattromila lire all’anno, «quale modesta testimonianza dei [suoi] sentimenti e della [sua] riconoscenza». Alla contessa scrisse un’ultima lettera: «Sì, sarete il mio ultimo pensiero. Ignoriamo tutti i dettagli. Ah, cuore mio! Potessi essere con voi in un luogo solitario! Poiché mi è toccata in sorte Orléans, dove è molto sgradevole stare, vi bacio mille e mille volte. Addio, cuore mio».

Trasferimento Il processo contro Brissac e gli altri cinquantanove detenuti in attesa di giudizio era ancora in alto mare quando le sezioni e i club giacobini della capitale fecero pressione sull’Assemblea e sulla Comune perché gli imputati venissero giudicati a Parigi visto che l’Alta Corte di Giustizia di Orléans, rea di averne assolti quattro e di averne lasciato evadere uno, era diventata anch’essa sospetta. Il 2 settembre, giorno in cui si dava inizio al massacro delle prigioni, l’Assemblea ordinò il trasferimento dei prigionieri da Orléans al castello di Saumur.

Cuore A Versailles, dove i detenuti fecero il loro ingresso il 9 settembre, le forze dell’ordine non riuscirono a mantenere il controllo della situazione. Una folla minacciosa, aizzata dai sanculotti accorsi da Parigi, li aspettava in prossimità del castello. Brissac ebbe solo il tempo di passare davanti alla casa dove abitava Madame du Barry all’epoca in cui lui l’aveva conosciuta, e arrivare all’altezza del proprio palazzo prima che una moltitudine di uomini armati di sciabole, picche e baionette prendesse d’assalto il convoglio. La Guardia nazionale si eclissò, abbandonando i prigionieri alla mercé degli assassini. Brissac si trovava sul terzo carro, «seduto sulla paglia con il cappello in mano» e facilmente identificabile dall’abito azzurro con i bottoni gialli, «i capelli arricciati, raccolti in una coda, e gli stivali». Insieme all’ex ministro degli Affari esteri, Lessart, era il più importante dei prigionieri, e gli assalitori lo presero subito di mira. Così – sulla base della testimonianza di due domestici – racconterà la sua fine un discendente della famiglia: «Di fronte alla prospettiva di una morte atroce, Brissac strappa un coltello, poi un bastone, e colpisce gli assalitori, che lo feriscono gravemente al naso, alla bocca e alla fronte. L’abito azzurro è a brandelli, la parrucca una spugna purpurea. Lui è accecato dal proprio sangue, non è più che un rosso gigante cieco che, ancora in piedi, fa volteggiare il suo terribile bastone. A quel cruento hallalì mette fine un colpo di sciabola mortale, seguito dal festino dei segugi. Gli assassini gli strappano il cuore e lo portano in giro per Versailles dicendo: “Questo è il cuore di Brissac, che ha combattuto come una furia, ma è crepato come gli altri”».

Testa Corse anche voce che, dopo essere stata infilzata su una picca e portata in trionfo per le strade di Versailles, la testa di Brissac venisse poi gettata nel giardino di Louveciennes.

Patibolo 1 A meno di due mesi dall’esecuzione capitale di Maria Antonietta, anche Madame du Barry fu arrestata. Era accusata di aver cospirato contro la Repubblica francese e finanziato la lotta armata dei suoi nemici. Il 7 dicembre, quando i giudici rientrarono in aula e venne letta la sentenza che la condannava a essere giustiziata dodici ore dopo, emise un flebile lamento e svenne. Quando la fecero salire sulla carretta dove l’aspettavano i tre Vendenyver, gridò di essere vittima di un errore, e per tutto il tragitto continuò a urlare e a piangere, e si rifiutò di salire sul patibolo, dove dovettero issarla a forza.

Patibolo 2 « Fra le tante donne che quei giorni terribili hanno visto perire, fu l’unica che non riuscì a sostenere con fermezza la vista del patibolo. Urlò, implorò la grazia della folla orrenda che la circondava, e quella folla si commosse al punto che il boia si affrettò a mettere fine al suo supplizio» (Élisabeth Vigée Le Brun a proposito di Madame du Barry).

Epitaffio «Amici miei, immaginate che dorma» (epitaffio dettato dal cavaliere di Boufflers per la sua tomba al Père-Lachaise).