di Ettore Boffano, il Fatto Quotidiano 15/8/2016, 15 agosto 2016
L’ANGELO DEGLI SCANDALI CHE HA SFIDATO L’OMOFOBIA
Com’è cambiata la Storia. Quella del mondo e dell’Italia e quella di Angelo Pezzana che, nel 1971, diede un pugno nello stomaco allo Stivale perbenista e fondò il “Fuori!”, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano.
La libreria torinese di piazza Carignano, la “Rosa Luxemburg”, adesso è passata ai suoi commessi, anche se gli hanno conservato il vecchio ufficio con la scrivania alla J.F.Kennedy, nel retro di un’esposizione di scaffali che sembra tolta dalla “The Strand Bookstore” di Broadway, con appese ai muri la bandiera d’Israele e le foto degli happening torinesi con Allen Ginsberg e Fernanda Pivano. Lui ci va ancora, due o tre volte alla settimana, quando torna a Torino dai suoi viaggi frequenti a Gerusalemme, di cui ha preso la cittadinanza.
Della Storia con la esse maiuscola, invece, parla ogni tanto solo in qualche intervista, come è accaduto quando le unioni civili sono entrate nella legislazione italiana: la fine di una battaglia che, negli ultimi vent’anni, Pezzana non ha più frequentato, ma che ha le sue radici in quella prima rivolta gay esplosa a Torino all’ombra del Partito Radicale di Marco Pannella. Raccontata tante volte ai giornalisti e, nel 1996, nella sua autobiografia “Dentro e Fuori” (Sperling & Kupfer).
Tutto cominciò una mattina a Sanremo e dall’incontro con un suo cliente affezionato, un giornalista de La Stampa che frequentava la “Hellas”, la prima libreria aperta da Pezzana a Torino. “Era il 1972 ed eravamo entrambi lì, davanti all’ingresso del Casinò di Sanremo. Lui era un inviato venuto a seguire il primo congresso italiano di psichiatria dedicato proprio all’omosessualità, e io distribuivo i volantini del Fuori! Strabuzzò gli occhi, e poi borbottò: Ma come, dottore, anche lei è un invertito? Sì, proprio così, un invertito, uno dell’altra sponda, come si scriveva sui giornali d’allora. Non ci vidi più e gli gridai: Omosessuale, si dice omosessuale e, mi raccomando, lo scriva…”.
Racconti di un uomo contro, di un diverso, “di un frocio, di uno dell’altra sponda, appunto”, di tanti borghesi sbalorditi e scandalizzati, di liti furibonde, di grandi disillusioni come l’incontro fugace e senza dialogo con Pier Paolo Pasolini, nel 1973 (“Mi apostrofò soltanto: No, guardi, il vostro Fuori! non mi dice niente. Il sesso per me è un fatto del tutto privato, nascosto”), persino di un arresto nella Mosca sovietica per aver chiesto la liberazione dal Gulag del regista omosessuale Serghiei Paradjanov. Ma anche discorsi sull’amore e sugli amori, su quella difficoltà a rivelarsi (“Sino ai 22-23 anni, mi sono portato dietro un senso di colpa terribile, la sensazione di essere sbagliato…”), con molti amici morti, magari di Aids, qualcuno ormai lontano e forse nemico, qualcuno infine che vuol dimenticare quelle scelte e di cui è onesto e gentile tacere il nome.
Gli esordi di questa vicenda? Personali, profondi, accanto a quelli più banali di una gioventù nella provincia piemontese, con i tabù e le pulsioni contrastanti, i sogni della carriera diplomatica o nell’editoria e un padre commerciante di cereali che consigliava prudenza: “Lascia perdere, apri un negozio. Magari una libreria, ma un negozio”. E proprio un libro sarà la pietra dello scandalo. “Era il 1971 e la Feltrinelli pubblicò un saggio dello psicologo Giacomo Daquino. Si intitolava Diario di un omosessuale. Un volume lacrimoso, nel quale Daquino sosteneva di aver curato un facoltoso signore torinese che, alla fine, vergognandosi del suo stato, aveva trovato la donna della sua vita e si era sposato. Per me fu un colpo tremendo. Possibile che alla Feltrinelli nessuno avesse letto Freud? Eppure le sue opere circolavano da 70 anni… Come poteva, un editore che si definiva progressista, pubblicare nel 1971 un volume imperniato sulla demonizzazione e l’annientamento delle sessualità? Del resto, per la sinistra di allora, l’omosessualità non era altro che un vizio decadente e morboso”.
Di quel libro appare una recensione su La Stampa, e gli omosessuali erano descritti come persone narcisiste e infelici: “Raccogliemmo trenta firme, gente della casa editrice Einaudi, professori universitari, psicologi, e mandammo una lettera al giornale. Ma non la pubblicarono: “Il direttore pensa che si sia già parlato fin troppo di questo argomento”, ci fecero sapere. Fu l’ultima rabbia che fece nascere quella sigla, il Fuori!, e un gruppo pronto a scatenarsi lungo le strade d’Italia e nelle notti dell’omosessualità nascosta.
“Eravamo come suffragette rompiscatole, cercavamo chi si sbatteva, per dargli il nostro mensile”. Tra chi fonda il movimento, lo scrittore milanese Mario Mieli, il cantante Alberto Cohen, il filosofo Gianni Vattimo, ma anche operai e impiegati alle prese con le beffe dei colleghi di lavoro, la vergogna dei familiari, la dissimulazione in matrimoni di comodo. Una lunga storia segnata anche da risse, ostracismi, discriminazioni e incomprensioni. Uno dei capitoli più impegnativi è il rapporto con la sinistra italiana (Pezzana militava al fianco di Pannella e dei radicali). Ecco una raccolta di fondi per Il Manifesto, fatta tra omosessuali, che sul giornale diventa di “un gruppo di torinesi”; ecco il dirigente di Lotta Continua che, a Torino, partecipa a un convegno del Fuori! ed è redarguito dalla sua organizzazione. Poi, gli screzi furibondi con il Pci, le lettere sdegnate e sprezzanti di Antonello Trombadori al quale “Angelo degli scandali” aveva proposto di organizzare un seminario sui gay alle Frattocchie. E quell’esperienza di 12 ore in una cella del carcere di Mosca: “Ciò che stupiva di più la polizia sovietica era il mio voler parlare di un vizio borghese in una società sana, socialista e virile”.
Infine, l’unico tentativo di approccio con la Chiesa Cattolica. Ancora a Torino, con l’allora arcivescovo Anastasio Ballestrero. Pezzana cercò di spiegare: “Lui però mi replicò che la Chiesa non condannava la persona, ma la pratica omosessuale. Gli replicai che era come obbligare chi non ha scelto la verginità a vivere in una castità permanente. Non rispose e levò gli occhi al cielo…”.
Non solo polemiche, però, non solo rabbia. Qui e là momenti di gioia, di “orgoglio omosessuale”. Il primo numero del giornale del Fuori! reca un titolo-choc che ricordava il frasario de “La Torre di Guardia”, la pubblicazione dei Testimoni di Geova: “Siete pronti per quel che vogliamo dirvi?” Si organizzano anche partite di calcio tra etero e gay (“Vincevano sempre gli etero, però, e il più perplesso di tutti era l’arbitro”), feste di quartiere a Milano, Torino, Modena, Parma, Genova: ragazze gay con stelline d’argento sul viso, le brigate Saffo, musica, nudità e i film dell’underground omosex statunitense, performance gay per strada. Épater les bourgeois. Una cosa che Pezzana non ha mai smesso di fare neppure oggi, lasciati gli scaffali della sua libreria e, da molto più tempo, la militanza radicale e le polemiche. E a chi gli chiede dell’omosessualità, replica da anni sempre così: “Rifarei tutto, sempre cercando di dare un taglio positivo, tentando di creare. Forse è la mia mancata paternità che mi spinge ad essere creativo. Ma non vorrei essere descritto come un eroe. Ho avuto un lavoro autonomo, sono un po’ un privilegiato. Anche se nel mondo, di privilegiati che stanno zitti ce ne sono molti. Pensate ai parrucchieri per signora omosessuali: hanno usato a lungo la loro diversità per fare soldi…”.
di Ettore Boffano, il Fatto Quotidiano 15/8/2016