Francesco Bei, La Stampa 15/8/2016, 15 agosto 2016
SIGARETTE, RISOTTO E PLATONE LA VITA IN CELLA DI GRAMAZIO JR
Carcere di Rebibbia, braccio G 12 Alta Sicurezza. Le porte blindate si aprono e si richiudono con un ronzio metallico alle spalle dei visitatori, le vecchie chiavi di ferro in questo penitenziario modello, dove sono rinchiusi pericolosi criminali da 41 bis, le hanno abolite da tempo. In quella che sembra un’aula scolastica, con la lavagna e le sedioline di legno da scuola media, un ragazzone alto e magro arriva inquieto e sospettoso. Un tempo, nemmeno un anno e mezzo fa, era il capogruppo del Pdl nel consiglio regionale del Lazio, il più votato a Roma e provincia. Figlio ed erede politico di un altro potente della destra missina: Domenico Gramazio detto er Pinguino. Oggi Luca Gramazio, 35 anni, è solo un detenuto come gli altri, in custodia cautelare dal quell’alba del 5 giugno 2015, quando lo misero dentro per Mafia Capitale. Soldi e assunzioni in cambio di appalti per le cooperative di Buzzi e Carminati, dai campi nomadi alle piste ciclabili di Roma.
È questa l’accusa, era a libro paga del mondo di mezzo. «Riceveva costantemente erogazioni di denaro da parte di Salvatore Buzzi, che agiva di concerto con Massimo Carminati. 98 mila euro in contanti e 15 mila con bonifico - scrisse il Gip Flavia Costantini - per un finanziamento al comitato Gramazio, più l’assunzione di dieci persone». Gramazio si è difeso in aula: «Le assunzioni sono state 5-6 e le persone sono state mandate a casa dopo pochi mesi. Non sono le 24 di cui si parla in un’intercettazione». Nessun pranzo con Carminati. «Quel giorno ero in consiglio regionale a votare, lo ricordo bene perché era il mio compleanno. Sarebbe bastato controllare i verbali della seduta».
Ha parlato in aula, non ha più cariche, ma resta dentro. Fino a ieri, la visita del senatore di Forza Italia Francesco Giro, per oltre un anno nessuno lo è andato a trovare. Si capisce che sia all’inizio un po’ sospettoso. Dimagrito - dai 105 chili è sceso in un anno di prigione a 84 -, capelli corti e barba curata, Gramazio non si mostra sorpreso di essere stato «dimenticato». Gli fa piacere tuttavia sapere che sui social, grazie anche al pressing di Francesco Storace, è scattata una mobilitazione per fargli avere, almeno, i domiciliari. Ma non si fa illusioni. «Resterò qui dentro fino alla sentenza». Una sigaretta tira l’altra, il posacenere ricavato da una scatoletta di tonno Mareblù si riempie subito.
Le giornate in galera non passano mai, il tempo è fin troppo. Per questo Gramazio legge, come forse non aveva mai fatto prima. Era conosciuto per il suo carattere rude, uno da cortei, vicino a Casapound, non un intellettuale. Prima si è fatto fuori tutta la collezione di Francesco Alberoni che ha trovato nella biblioteca di Rebibbia, poi è passato a qualcosa di più impegnato: la Politica di Aristotele, i Dialoghi di Platone.
Dopo qualche mese di carcerazione, finalmente lo scorso novembre è iniziato il processo. E Gramazio Jr non si è perso un’udienza. «Dal lunedì al giovedì c’è il processo, udienza la mattina e il pomeriggio. Poi venerdì sabato e domenica mi butto sulle carte. Sono decine di migliaia, ordinanze, intercettazioni, faldoni interi. C’è così tanto da studiare. Il dibattimento è ben condotto, ho molta fiducia nei giudici». Certo, dentro non è una passeggiata. Il cibo all’inizio è respingente. «Ma in cella, dove sto con altri tre romani, c’è per fortuna un compagno che chiamiamo Masterchef. Noi gli facciamo la spesa allo spaccio interno e lui cucina: ieri c’ha preparato in cella un risotto alla provola e salmone, squisito». Quando non è in cella o nell’ora d’aria, dove una volta ha incrociato Marcello Dell’Utri, trasferito a Rebibbia dal supercarcere di Parma, Gramazio si tiene in forma come può. Palestra, si è iscritto al torneo di calcetto e ha pure vinto. Quando lo racconta sorride e sorridono pure l’ispettore della Penitenziaria Luigi Giannelli e la dirigente del carcere Ida Passaretti, due professionisti che provano a rendere questa istituzione più umana possibile.
Sembra quasi una normale conversazione in un caffè, distesa. Salvo quando, sul finire, Giro accenna al figlio Valerio. Il volto di Gramazio si indurisce, lo sguardo si perde altrove. La moglie era al nono mese quando i carabinieri lo vennero a prendere. Valerio è nato 20 giorni dopo, ha poco più di un anno, l’età della detenzione del padre. Ma Luca Gramazio non lo ha mai voluto vedere, ha chiesto a Patrizia e ai nonni di non portarlo in visita. «Lo abbraccerò soltanto da uomo libero». Se le cose vanno così, visto che siamo ancora al primo grado, gli avvocati dicono che non se ne parlerà prima del 2019.
Francesco Bei, La Stampa 15/8/2016