Mario Stanganelli, Il Messaggero, Laura Rio, Il Giornale 15/8/2016, 15 agosto 2016
IN MORTE DI BERNABEI – ROMA Con Ettore Bernabei, scomparso sabato notte, non muore solo uno storico direttore generale della Rai e appassionato giornalista, ma un uomo che ha lasciato la sua impronta, in un settore vitale della società italiana in anni fondamentali per la crescita del Paese
IN MORTE DI BERNABEI – ROMA Con Ettore Bernabei, scomparso sabato notte, non muore solo uno storico direttore generale della Rai e appassionato giornalista, ma un uomo che ha lasciato la sua impronta, in un settore vitale della società italiana in anni fondamentali per la crescita del Paese. Fiorentino di nascita, Bernabei ha in Toscana due fari a portata di mano per la sua formazione culturale e civile: Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, e Amintore Fanfani. Ed è proprio lo storico leader della Dc che lo chiama nel 56 a Roma a dirigere Il Popolo quotidiano del partito negli anni in cui Fanfani, alla sua prima segreteria dello Scudo Crociato costruisce, nel solco dell’insegnamento di De Gasperi, il disegno di ammodernamento del Paese che aveva già preso le mosse con il Piano casa del 49 e che doveva poi condurlo, come elemento determinante assieme a Moro, Nenni e La Malfa, alla svolta dei governi di centrosinistra. IN RIVA ALL’ARNO Ed è proprio quella stagione in riva all’Arno che rievoca Matteo Renzi nel suo ricordo dello scomparso: «Una delle figure più significative dell’Italia del dopoguerra - lo definisce il presidente del Consiglio -. Un fiorentino vero, appartenente in tutto e per tutto alla grande stagione della Firenze cattolica del secondo Novecento, legato culturalmente e spiritualmente prima ancora che politicamente a La Pira e Fanfani». Ricordata l’emozione dell’ex direttore generale Rai nel ricevere dalle sue mani di sindaco di Firenze il Fiorino d’oro, Renzi sottolinea che Bernabei «è stato qualcosa di più di un manager di Stato, avendo vissuto in prima persona alcune pagine di grande rilievo anche della politica estera del nostro Paese». Nel suo messaggio di cordoglio, Sergio Mattarella ricorda che «con Ettore Bernabei scompare una grande figura di giornalista e intellettuale. Fu protagonista - afferma il capo dello Stato - della costruzione di una radiotelevisione pubblica, sempre rispettosa del suo pubblico e impegnata con ambizione ad accompagnare lo sviluppo del Paese». A parlare con passione dell’eredità morale lasciata da Ettore Bernabei, i cui funerali si terranno martedì alle 11 nella chiesa di Sant’Eugenio a Roma, è il figlio Luca: «Il bene comune. Questa la lezione della vecchia scuola, dei suoi maestri Fanfani e La Pira, che rimarrà per sempre scolpita nella roccia». Quanto agli spettatori della tv pubblica, allora in regime di monopolio, Bernabei sosteneva che «se si propongono contenuti positivi, l’uomo tende verso le cose alte, se invece la tv punta a intercettare gli istinti più bassi finisce per assecondarli». Al fondo del suo atteggiamento, dice ancora Luca Bernabei, c’era «l’ottimismo della fede, una grande speranza nel futuro», che ha coltivato anche nella vita quotidiana fino agli ultimi giorni della sua vita. Anche Giorgio Napolitano ricorda che Bernabei «ha identificato la sua vita con il più intenso ed operoso impegno per lo sviluppo del servizio radiotelevisivo pubblico, ha ricoperto in seno ad esso responsabilità dirigenti di primo piano, e anche in altri ruoli - osserva l’ex capo dello Stato - ha dato contributi rilevanti sul piano inventivo e produttivo». «Con Ettore Bernabei - dice a sua volta Pier Ferdinando Casini - scompare uno dei grandi della nostra Repubblica. Un uomo straordinario nel suo spirito imprenditoriale, nel suo impegno culturale e nella sua vocazione di cattolico integrale». Ultima considerazione di Casini: «Rimpiangeremo a lungo, con il grande Ettore, questa stagione dell’Italia e questi suoi giganteschi protagonisti». OMOLOGO Ed è Antonio Campo Dall’Orto a cogliere, come «elemento fondativo» dell’eredita del suo omologo di oltre 40 anni fa, la visione di una Rai come «rappresentazione dell’identità collettiva, luogo inclusivo in grado di raccogliere tutti». «Per noi - afferma l’attuale dg di viale Mazzini - è fondamentale, oggi come ieri anche se in forme diverse, essere servizio pubblico, una tv in grado di servire il Paese nel momento attuale: è questa la prima lezione che resta dell’esperienza di Bernabei». Al direttore generale fa eco la presidente della Rai, Monica Maggioni, che così sintetizza la lezione di Bernabei: «La capacità di visione, l’impegno per la costruzione della cittadinanza e dell’identità del Paese, il ruolo della Rai come guida e punto di riferimento certo di fronte alla frammentazione delle fonti di informazione». Mario Stanganelli «MIO SUOCERO BERNABEI? POTERE, FANTASIA E FEDE» [Intervista a Giovanni Minoli] – Giovanni Minoli ha conosciuto Ettore Bernabei molto da vicino sia professionalmente sia umanamente: è suo genero, avendo sposato la figlia Matilde e, come il suocero, è un pezzo importante della storia della televisione italiana. Minoli, perché Bernabei è stato così importante per la Rai? «Basta guardare a quello che ci sta accadendo intorno, alla questione mondiale delle guerre di religione. E pensare che Bernabei, con una visione incredibile, aveva realizzato con la Lux Vide (la sua casa di produzione) il progetto Bibbia in accordo con cristiani, ebrei e musulmani. Un’operazione culturale di grande servizio pubblico, presentata alla Casa Bianca a Clinton e venduta in tutto il mondo». Come era l’uomo pubblico? «Un grande maestro, un uomo di fede e di passioni, un grandissimo educatore. Fantasia, concretezza e speranza erano le sue doti. Un uomo mentalmente aperto e laico pur essendo un grande cristiano. Ricordiamoci che, tra le altre cose, nominò Enzo Biagi direttore del Tg1». E com’era l’uomo privato? «Una persona molto attenta, ma mai invadente, con rispetto delle autonomie individuali: non si è mai infilato nelle dinamiche familiari dei suoi figli. È stato per me un grande interlocutore e devo dire che averlo come suocero mi ha dato più vantaggi che svantaggi. Avevamo idee diverse, anche sulla televisione, e ci siamo confrontati anche duramente ma serenamente». Su di lui i pareri sono divergenti. C’è chi lo considera l’innovatore della televisione italiana, quello che l’ha portata nel mondo moderno... «Ed è così: ha insegnato l’italiano agli italiani, ha unificato l’Italia con la lingua, ha reinventato il teleromanzo con la rilettura dei grandi romanzi, da Tolstoj a Manzoni, ha reso popolare opere come l’Iliade e l’Odissea facendo una vera e propria opera di educazione». E c’è invece chi lo ricorda come il primo lottizzatore della Rai, fedele al potere di allora incarnato dalla Dc di Fanfani. «È vero tutto e il contrario di tutto. Gli azionisti della Rai erano i partiti. Un direttore può rappresentare gli interessi e i valori che si riconoscono in una parte politica scegliendo però lì dentro il meglio delle professionalità. Lottizzazione vuol dire anche pluralismo perché Dc, Psi e Pc insieme rappresentavano l’80 per cento del paese. Non dimentichiamoci che sotto il governo Fanfani aprì le tribune politiche alle opposizioni». Però rispose al potere quando, per esempio, censurò e costrinse Dario Fo e Franca Rame a lasciare Canzonissima e la Rai. «Ma non si può fermarsi su un episodio di fronte alla storia di una vita. E poi bisogna inquadrare i fatti nella loro epoca e non giudicarli con i parametri di oggi. Non era un censore per natura e non aveva paura di circondarsi di persone che considerava più brave. Non dimentichiamoci che valorizzò grandi nomi: tra gli altri Zavoli, Camilleri, Fabiano Fabiani, Furio Colombo. E che portò una ventata di novità con gli show più moderni, pur tenendo ovviamente conto delle sensibilità di tutti gli italiani, come nel caso delle gemelle Kessler». La Rai lo sta ricordando con molti servizi e vecchie interviste. «Ecco appunto, guardiamoci TecheTecheTè e rendiamoci conto che il futuro è il passato... più le luci di Mtv...» Laura Rio