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 2016  agosto 14 Domenica calendario

GLI ANNI DEL DRAGONE, IL POTERE CINESE IN 182

Proprio nel giorno in cui Donald Trump ne spara un’altra delle sue promettendo di aumentare i dazi per le merci cinesi, apro Il Dragone Rampante - 182 voci del potere cinese di Francesco De Filippo, giornalista dell’agenzia Ansa oltre che scrittore di successo (Castelvecchi RX, 13,50 euro) e ci trovo subito una citazione di Barack Obama: «Se non detteremo noi le regole, lo faranno i cinesi». Agli americani, repubblicani o democratici, brucia ancora il 2014 quando l’economia cinese divenne la più grande del mondo, detronizzando quella statunitense che occupava il vertice dal 1872. Eppure la Cina è per le imprese americane un mercato irrinunciabile. Pensiamo solo a Apple che lì ha piazzato in un solo mese 7 mlioni di iPhone 6s. E questo dovrebbe farci capire come mai in piena notte siamo svegliati dal messaggio che ci avvisa del più recente aggiornamento di iOS dedicato a «miglioramenti per la lingua cinese».
Che sia America o Europa le differenze comunque non contano davanti a questa invasione che arriva dall’est e che ha colto impreparato il resto del mondo. Non è solo l’Occidente, perché, come si legge alla voce Africa nel libro ordinato alfabeticamente di De Filippo, in quel continente i cinesi sono attivi in maniera sorprendente. Acquistano risorse naturali e, più spesso, l’intera proprietà di miniere di rame e cobalto o pozzi petroliferi. E si fanno anche pagare per creare strade, aeroporti, ospedali di cui l’Africa ha fame. Impressiona sapere che una sola società, la China Civil Engineering Construction Corporation, sta portando in Africa avanti venti progetti per la costruzione di linee ferroviarie. Venti come gli uffici che l’agenzia di stampa Xinhua ha aperto in tutto il continente fornendo un’informazione alternativa a quella diffusa dai media occidentali. Il segreto di questa conquista del mondo sta nella mancanza di paura dei cinesi che vanno a fare investimenti dove noi ci penseremmo due volte. L’Albania, per esempio. Basta sentire il nome del Paese nostro dirimpettaio adriatico per veder comparire il fantasma di Agon Channel. Loro investono quasi 80 milioni di euro per una concessione decennale del Tirana International Airport. La fantascienza ha fallito. Ci parlava di un 2000 in cui avremmo pasteggiato a pillole (invece è cool curare un orto urbano sul balcone) e usato auto volanti (invece il futuro è di chi pedala). Un fallimento che ha toccato i profeti della catastrofe, quelli che hanno dimostrato un notevole strabismo quando prevedevano cavalli cosacchi che si abbeveravano nelle fontane vaticane senza accorgersi dei kamikaze islamici nei bar. Lo stesso Frate Indovino prevedeva in un suo distopico libro degli anni 70 «il mondo sotto lo stivale cinese». Ci ha quasi preso. Solo che il mondo non è finito sotto lo stivale dell’esercito maoista, ma sotto il tacco 12 della calzatura bollata come made in Italy, ma realizzata nei laboratori di Guangzhou. If you can’t beat’em, join’em, dicono gli anglosassoni. Se non puoi batterli, unisciti a loro. Così hanno fatto nel distretto della calzatura della riviera del Brenta dove oggi, spiega De Filippo, i produttori italiani «passano ai cinesi la realizzazione della produzione meno delicata». E, sempre per restare nel campo della moda, se il marchio Miss Sixtiy è già tutto cinese, Roberto Cavalli lo è per alcune quote di minoranza. Tutti ormai sanno che entrambe le grandi squadre milanesi di calcio sono in mani cinesi. Quello che non tutti sanno, -neanche l’autore Francesco De Filippo- è che «da qualche tempo, la Cina è un acquirente importante di titoli del debito pubblico italiano, ma mancano dati ufficiali attendibili». Una cortina di mistero copre spesso le attività cinesi nel mondo e quindi anche in Italia. Tutti conoscono Jack Ma, fondatore di Alibaba; nessuno conosce Wang Jianlin, il secondo uomo più ricco della Cina, ex militare dell’esercito popolare con Mao, oggi ha in mano anche i diritti tv per la Seria A italiana. E da noi il boom cinese, che alcuni vogliono già in lieve declino, inizia a creare dei nuovi Alberto Sordi. Ne ho visto uno in un ristorante, ovviamente, cinese. Descriveva nei dettagli a un amico annoiato il suo progetto di conquista. «Sarò il Marco Polo del 2000» diceva, consumando spaghetti all’intestino di maiale perché lui conosceva «la vera Cina, mica quella degli involtini primavera!» . Poi, per curare gli effetti dell’ulcera duodenale dovuta a quel piatto troppo esotico avrà preso dell’Omeplis, farmaco ormai disponibile anche in Italia e i cui principi attivi sono prodotti nello Zhejiang. Perché anche la farmaceutica ormai è made in China.