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 2016  agosto 15 Lunedì calendario

LA RETE

Milano Moaz Fezzani è il punto di congiunzione tra presente e passato della jihad milanese. Ha conosciuto il periodo della lotta per la Bosnia, è finito nelle organizzazioni estremiste, ha frequentato ambienti radicali ed è poi passato con l’Isis.
In una testimonianza raccolta dai magistrati nel febbraio 2010 il militante ricorda come abbia deciso di andare a combattere nei Balcani dopo aver ascoltato i sermoni dell’egiziano Anwar Shaaban nella moschea di viale Jenner a Milano. Lo sheikh, per i suoi seguaci carismatico e con grande visione, sarà infatti il punto di riferimento per gli islamisti di casa a Milano ma con legami internazionali impressionanti. Sarà lui a guidare il Battaglione Mujaheddin contro i serbi, sarà lui a tessere rapporti con esponenti integralisti di prima grandezza. Una missione condotta fintanto che non verrà ucciso in un’imboscata tesa dai croati. Oggi Fezzani è considerato dai servizi segreti libici — cosa nota anche ai nostri 007 — uno dei capi dell’esercito del Califfo in Libia e uno dei possibili collegamenti con l’area milanese. Non si conoscono le sue sorti dopo i bombardamenti degli ultimi giorni, si dice sia riparato in Sudan.

Il capoluogo lombardo, da sempre, è come un crocevia che regge più assi. La prima rotta porta verso il Nord Europa, in particolare Belgio e Francia. Un secondo asse ha condotto volontari molto più lontano, fino in Afghanistan, e un terzo ha avuto come sponda il Nord Africa. Nella città si sono alternati referenti e arruolatori. Da Abdelkader Es Sayed, il terrorista morto due volte, al «monaco», così soprannominato per il suo stile di vita ascetico e misterioso. Reclutatori in grado di muovere miliziani, di dare riferimenti utili nei campi d’addestramento. E questa tradizione, iniziata con il conflitto afghano e nei Balcani, non morirà, ma si trasformerà. Gli islamisti eviteranno i luoghi di culto, però continueranno a cercare proseliti. Invieranno aspiranti kamikaze in Iraq, poi in Siria, quindi in Libia, unendo veterani a nuove leve. E le rivolte in Tunisia e Libia offriranno a molti la possibilità di trovare una nuova causa e altri compagni, la comparsa del Califfo restituirà motivazioni a chi pensava di aver perduto tutto con la morte di Osama Bin Laden.

Se il ruolo di Fezzani, alias Abu Nassim, è stato certamente di primo piano nel conflitto libico, oggi l’antiterrorismo italiano guarda soprattutto alla rete degli ex uomini di al Qaeda a Milano attivi fino all’inizio degli anni Duemila. Fezzani era il capo della cellula in Pakistan. In Afghanistan la rete dei «milanesi» poteva contare su Riadh Nasri. Noto con il nome di Abou Doujana, Nasri sarebbe morto insieme a un altro affiliato milanese, Riabi Zied, nell’aprile 2007 in attentati kamikaze ad Algeri. Sono invece vivi e vegeti, e uniti all’esercito Isis (secondo l ’Espresso sarebbero i responsabili della sicurezza dello sceicco Abu Iyad, il leader del gruppo salafita «Ansar Al Sharia»), altri due nomi decisivi della rete qaedista lombarda. Ben Khemais Essid Sami alla fine degli anni Novanta era il referente dei «tunisini» in partenza da Milano verso il jihad. È stato espulso (tra le polemiche) nel 2008 dopo la condanna per terrorismo. Con lui Mehdi Kammoun, un altro tunisino che viveva a Gallarate (Varese) e fu arrestato nel 2001. L’unico assolto del gruppo è Habib Ignaoua, balzato di recente alle cronache per aver intentato una battaglia legale per rientrare in Gran Bretagna dove è considerato un sospetto terrorista.

È recente la traccia lasciata da un altro tunisino, Said Cherif (ora espulso) che, dal carcere dove era rinchiuso per terrorismo, nel 2011 ha contattato il reclutatore della moschea di viale Jenner Mullah Fuad arrestato un anno fa dalla Procura di Bari. Usando una cartolina con l’immagine della fontana del Castello Sforzesco, Cherif chiedeva l’indirizzo di Raphael Gendron, altro jihadista che morirà in Siria. In Iraq, nel 2003 si compirà il destino suicida (autobomba) di un altro uomo di Fezzani, Lotfi Rihani, 26 anni, a lungo ospite del covo milanese di al Qaeda in viale Bligny 42. Fedal Nassim, 24 anni, si farà invece esplodere davanti alla sede Onu di Bagdad. Il kamikaze era il fratello di Saadi Nassim, oggi 42enne. Saadi è stato rimpatriato dopo essere stato assolto dalle accuse di terrorismo e per quella espulsione l’Italia è stata condannata dalla Corte europea. Viveva ad Arluno, alle porte di Milano, dove ha lasciato la moglie e il figlio. Oggi lavora come guida turistica, ma secondo il Ros dei carabinieri non ha abbandonato il jihad.