Carlo Laurenzi, Corriere della Sera 14/8/2016, 14 agosto 2016
1963 LA NOSTRA STORIA D’ESTATE IL BUON GUSTO STA NELLE COSE SUPERATE
Sui vantaggi della villeggiatura, reclamizzati fino a renderci insonni, non mette conto dilungarci; però, sintetizzando tutta una serie di indagini, nessuno negherà che le vacanze accrescano in maniera determinante le manifestazioni del cattivo gusto.
Atteniamoci a un catalogo rapidissimo, allusivo e forzatamente incompleto. Consideriamo: come si veste la gente; l’arroganza e il fragore della circolazione; la sciocca americanizzazione di molti giovani; la cattiva musica che impera; i gerghi che corrono fra i membri dei clan balneari; l’abitudine di schiamazzare a notte alta; le squallide tendopoli tedesche; l’autostop; l’invasione petulante di certi turisti francesi; la boria di coloro che posseggono motoscafi; la convinzione, tipicamente estiva, che i romanzi polizieschi, o i settimanali in rotocalco, o addirittura la tv incrementino la cultura.
Tutto ciò può anche essere per il bene, per quanto sia lecito dubitarne: in altri campi i malefici della villeggiatura sono palesi. Si pensi a come la villeggiatura aggredisce e viola il paesaggio. Ho riveduto la Versilia, una delle scorse domeniche, e non so convertirmi all’ottimismo. Tra Viareggio e Forte dei Marmi la sete di lucro si scaglia sempre di più contro la pineta devastandola, e contro il lungomare, gremendolo di una fitta, implacabile linea di cabine di cemento. La zona è disseminata di costruzioni goffe: a tanto è scaduta la Versilia, fino a vent’anni or sono una pura, misteriosa fascia italiana.
Pareva persino legittimo che il barocchismo di D’Annunzio la immaginasse popolata di centauri e di ninfe. La spiaggia di Undulna dal piè d’ala è ora fatta simile a una sorda periferia cittadina. Il premio Carducci, concesso annualmente «al poeta che meglio sappia dar vita con moderno cuore all’imperituro retaggio del vate di Valdicastello», viene assegnato in un dancing. È questo lo specchio dell’Italia estiva, un esempio fra molti. A Forte dei Marmi, dove ormai anche le grigie e rosee Apuane incombono con un orrido da oleografia, non si vive che attorno ai dancing, appunto, e alla pista dei go-kart, affannosi simulacri (...).
Una letteratura deteriore insiste nel dipingerci gli abitanti di Capri, di Positano, o di Portofino, o delle Dolomiti, o dell’Elba, come uomini felici e semplici, degni di Rousseau. Al contrario, dobbiamo pensare a loro con molta pena. La consuetudine e la semi-familiarità con ospiti ricchi rendono quegli uomini accomodanti fino al servilismo (...).
Malgrado tutto, è preferibile Roma, questa capitale dello scirocco: Roma come città d’estate. Se teniamo conto dei duecentomila che ogni domenica assaltano il Lido o dei gruppi familiari che si accampano alle Acque Albule sulla strada di Tivoli, potremo finanche cedere alla tentazione di definirla ville d’eau . Gli stranieri, che un tempo sceglievano la Pasqua o l’autunno per il loro itinerario romano, vengono adesso compatti fra luglio e settembre. Le vie sono affollate di visitatori in panama e bretelle, di visitatori in sandali ma non senza calzini.
I caffè di porta Pinciana non hanno tavoli liberi dalle otto di sera. I pullman fanno siepe ai parcheggi della stazione Termini (...). I cinema, pochissimi dei quali dispongono di aria condizionata, restano inabbordabili (...). Ci sono, in compenso, le feste rionali a Trastevere, le corse verso la campagna, gli esodi degli scamiciati nei giorni di festa, le fanfare in piazza, le gite in barca nel fiume. Resta il fatto che nel corso complessivo dell’estate, Roma (...) probabilmente, è la città balneare più cospicua e più fitta d’Italia. Ma non la più irritante città estiva d’Italia, come parrebbe inevitabile che fosse. Sarà giusto piuttosto evocare le sieste notturne sui bordi delle fontane, il fresco del lago di Castelgandolfo, il grido dei venditori di cocomero, il vino giallo sui tavoli di marmo delle osterie. (...) C’è qualcosa di buono in queste vecchie, superatissime cose.