Marco Gasperetti, Corriere della Sera 14/8/2016, 14 agosto 2016
ASOR ROSA E I RIFUGIATI A CAPALBIO: PRENDIAMONE UN NUMERO SOPPORTABILE – «Sto festeggiando i miei primi quarant’anni trascorsi a Capalbio»
ASOR ROSA E I RIFUGIATI A CAPALBIO: PRENDIAMONE UN NUMERO SOPPORTABILE – «Sto festeggiando i miei primi quarant’anni trascorsi a Capalbio». Come sono stati, professor Alberto Asor Rosa? «Di quiete e beata solitudine, soprattutto all’inizio» E di polemiche. L’ultima sull’arrivo di cinquanta profughi… «Guardi credo che la collocazione di migranti non sia una questione capalbiese, ma italiana. Ogni giorno leggiamo che la presenza dei migranti costituisce un problema». Anche a Capalbio? «Non vedo perché Capalbio debba essere dispensata dall’offrire ospitalità a un numero sopportabile di migranti. Non può esserci un’opposizione di principio nel nome del turismo. Se così fosse tutti i migranti dovrebbero essere espulsi dall’Italia. La loro presenza va metabolizzata. Molto dipende dai criteri di collocazione. Non so dire se i cinquanta in arrivo siano troppi, ma sono fiducioso nell’autorevolezza delle istituzioni e della loro valutazione». Però si dice che a Capalbio ci sia una lobby formata da intellettuali e politici che tutto vede e comanda. Che ne pensa? «Penso che non ci sia mai stata la lobby dei capalbiesi. Grandi amicizie, sì, non c’è dubbio. Personaggi illustri, rappresentanti delle istituzioni, politici, l’hanno frequentata e la frequentano ancora. Ma mai ho avuto la percezione di un’associazione più o meno segreta (sorride, ndr ) capace di imporre i propri voleri. Ognuno ha sempre espresso la propria opinione e la cosiddetta intellighenzia si è molto divisa. Pensi all’autostrada Tirrenica, per esempio: i pareri sono stati discordanti, le prese di posizioni trasversali. C’è molta differenza tra il ruolo di opinionisti autorevoli e di grido e la presenza di una lobby organizzata». Ma se non ci fosse stata questa intellighenzia, per alcuni simbolo di una certa sinistra radical chic, falce e secchiello, certe battaglie a Capalbio sarebbero state vinte? «Direi che i forestieri hanno svolto un ruolo importante con le loro idee. Io sono però abituato a non enfatizzare il ruolo di questi signori intellettuali. Forse hanno limitato il danno — penso agli scempi urbanistici degli anni Ottanta e Novanta — anche se non l’ hanno impedito completamente». Eppure in tanti sono arrivati a Capalbio anche perché è un luogo simbolo di un certo potere… «La visione che hanno i media è di un’esagerazione infinita. Chi arriva per il potere resta deluso». Lei quando è sbarcato nella «Piccola Atene» e perché? «Nel il 1976. Credo di essere stato il primo intellettuale forestiero arrivato in questo paese allora ai più sconosciuto. Lo trovai un concentrato di bellezza, solitudine e silenzio e decisi di acquistare da Elvio, il mio amico calzolaio, una casa nel centro storico. Tre stanze accanto alla chiesa con mansarda che guarda il campanile e ne subisce i contraccolpi sonori. I rintocchi si manifestano tutte le ore e le mezze ore dalle otto di mattina alle otto di sera. Con tanto di feste e musichette religiose». Sembra un po’ la storia della poesia l’Ora di Barga del Pascoli... «Il clima non doveva essere diverso. E lo è tuttora nella Piccola Atene, definizione auto-derisoria, che detti a Capalbio qualche anno fa. Quando vado a passeggiare sulla spiaggia, tra dune e macchia mediterranea, il panorama diventa selvaggio e probabilmente tra i più intatti d’Italia. Sa perché qui c’è un’alta percentuale di intellettuali? Perché c’è la possibilità di avere un alto grado di concentrazione». E d’ispirazione letteraria. Scriverà un libro su Capalbio? «Mi ha dato un’idea. Lo scriverò». E i profughi? «Li aspetterò con assoluta serenità».