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 2016  agosto 14 Domenica calendario

IL DEPILATORE

Chi, come il sottoscritto, non è proprio un asso (per usare un eufemismo) in economia e finanza, segue con un misto di attenzione e apprensione le cronache e le analisi dei giornali sulla materia, sempre nella speranza di capirci qualcosa. Ieri, per esempio, c’era un dato che a un occhio profano poteva apparire un filino allarmante e che nemmeno la gioiosa macchina da censura allestita da Palazzo Chigi ha potuto nascondere: la crescita zero nel secondo trimestre 2016, che parrebbe lievemente contraddire due anni di annunci governativi su “l’Italia che riparte, “il ritorno del segno più”, “le grandi riforme che si fanno sentire” e la tanto attesa scomparsa degli “zero virgola” così giustamente aborriti dal premier quando parla dei predecessori (Monti e Letta, peraltro sostenuti dal suo partito). Ora che, sempre nella nostra dilettantesca percezione, è sparita anche la virgola ed è rimasto lo zero, c’era forse da attendersi un suo discorso alla Nazione, del tipo: “Scusateci, abbiamo sbagliato tutto: abbiamo gettato dalla finestra 4 miliardi abolendo la Tasi, 10 miliardi con gli 80 euro, 12 miliardi con gli incentivi del Jobs Act, 20 miliardi con gli sgravi fiscali a pioggia e abbiamo pure previsto un +1,2 del Pil mentre se arriviamo a +0,8 sarà un miracolo. E se nella Stabilità evitiamo l’aumento dell’Iva per 15 miliardi, accendiamo un cero alla Madonna. Ergo scordatevi le promesse su pensioni, contratto degli statali, taglio di Irpef e Ires, sgravi per assunzioni e investimenti, e naturalmente i 500 milioni risparmiati con la riforma costituzionale da girare ai poveri (erano una mia invenzione in un attimo di disperazione). Ma ora cambiamo registro: faremo il contrario di ciò che abbiamo fatto finora”.
Invece no. Quelli che ci capiscono, e infatti siedono al ministero dell’Economia, da Padoan in giù, assicurano che non c’è da preoccuparsi, era tutto previsto, i conti sono sotto controllo (falsi, ma controllati) e comunque il governo non ha colpe. Ben altri sono i responsabili: Brexit, immigrazione e terrorismo. Meno male, chissà che avevamo capito. Mentre rifiatiamo sollevati e felici, ci sorge soltanto un dubbio: che il consigliere più ascoltato da Renzi e Padoan sia Luciano Moggi, quello che quando la Juventus perse lo scudetto in una piovosa trasferta contro il Perugia, se la prese con l’arbitro Collina per non averla sospesa, sostenendo che il campo inzuppato d’acqua aveva danneggiato solo i bianconeri, mentre i perugini giocavano in stato di levitazione, a qualche centimetro dal prato.
In che senso infatti Brexit, immigrazione e terrorismo colpirebbero solo l’economia italiana e risparmierebbero quelle del resto d’Europa? Mentre la nostra si fermava, quella dell’Eurozona avanzava dello 0,3%, con picchi di +0,6 nel Regno Unito e di +0,4 in Germania. E dire che la Brexit (peraltro votata il 23 giugno, 7 giorni prima della fine del trimestre) è uguale per tutti, mentre il terrorismo ha colpito un po’ dappertutto fuorché in Italia, che subisce – è vero – più immigrazione di altri, ma non della Germania, che in un anno ha inglobato un milione e mezzo di migranti. Infatti l’Istat, noto covo di gufi, attribuisce la crescita zero (che poi sarebbe sottozero senza contare nel Pil l’economia criminale, dove andiamo fortissimo) ai precipizi di industria, consumi e investimenti. Tutta roba nostrana. Niente a che vedere con la “congiuntura internazionale”, solita supercazzola per disperati, che anzi è stata favorevole (per chi ha saputo profittarne), col petrolio basso e l’euro svalutato. Sarà un caso, ma da due giorni il Grande Twittatore s’è inceppato. Non cinguetta più. Lo sostituiscono provvisoriamente i giornali amici, buttando la palla in tribuna, cioè in Europa.
Tralasciando quelli comici, tipo l’Unità (“La ripresa rallenta: Pil a 0,7. Ma frena tutta la zona euro”: uahahahahah), vediamo Repubblica: “Allarme Pil, è crescita zero. Pressing di Renzi sull’Europa”. Segue dichiarazione medianica, del premier silente “determinato all’offensiva con l’Europa” per “una manovra espansiva”: già, perché “non saranno dei vincoli europei a mandare l’Italia per la terza volta in recessione” (vincoli regolarmente sottoscritti dalla stessa Italia) e poi a Bruxelles son tutti terrorizzati da una Renxit referendaria e da – orrore – “un governo, magari grillino, antieuro capace di far traballare la moneta unica” e di non ripetere i trionfi attuali. Ma ecco La Stampa: “L’Italia non cresce, appello all’Europa”. E Il Messaggero: “Renzi chiederà più flessibilità a Bruxelles”. Che ideona: fare altro debito pubblico (cresciuto di altri 70 miliardi fino al nuovo record di 2.248,8) invece di combattere sprechi, evasione e corruzione. Come se non facessimo così da sempre, con i risultati a tutti noti. Meravigliosa, nell’inesauribile scusario nazionale, la new entry del ministro del presunto Sviluppo, Carlo Calenda: “Gareggiamo con le mani legate dietro la schiena: le Regioni bloccano le infrastrutture strategiche”: sono le regioni governate quasi tutte dal Pd, ma ora arriva il referendum e le mettiamo in riga. Sono 15 anni che i governi (con le eccezioni di Prodi nel 2006-‘07 e di B. nel 2010) sballano le stime sul Pil. Come pure Bankitalia, Ue, Fmi e Ocse. Per non parlare di Confindustria, che ha benedetto (e ci mancherebbe: le ha scritte lei) le principali “riforme” degli ultimi anni, giurando che ci avrebbero regalato la mitica “crescita”. Ma niente paura: il Tesoro vanta “indicazioni confortanti per i prossimi trimestri”. Non dice quali, ma deve riferirsi all’ultimo semestre dell’anno. Soprattutto se il Grande Depilatore perde il referendum e va a casa.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 14/8/2016