Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 04 Giovedì calendario

L’ALGORITMO PER ESSERE GENTILI

Nel film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1968), gli astronauti perdono il controllo del computer HAL e non capiscono più quel che fa. Schema narrativo, ripreso in molte storie, in cui computer e robot diventano avversari della specie umana. Anche in Automata di Ibáñez (2014) i robot fanno di testa loro e i poliziotti decidono di distruggerli. Il protagonista del film, però, si accorge che i robot, autonomizzandosi, hanno imparato a essere gentili. Egli allora si ribella ai poliziotti: «Voi siete delle scimmie violente, io sento di appartenere alla specie dei robot!».
Come mai gli uomini (e i robot della storia di Ibáñez) hanno questa capacità spontanea di dare e ricambiare? Non si tratta di baratti simultanei di utilità reciproche perché la gentilezza verrà ricompensata, eventualmente, in un secondo tempo.
Michael Tomasello e altre tre studiose affrontano la questione servendosi di una sorta di biliardo che elargisce ai giocatori dolciumi o frutti. Coppie di bambini dai 3 ai 5 anni e coppie di scimpanzé dai 6 ai 35 anni di età vengono addestrate a questo esperimento/gioco. Per ottenere il premio bisogna dapprima fare in modo che l’ottenga l’altro, muovendo delle cordicelle attaccate al biliardo. Il partner, poi, può ricambiare. I bambini di cinque anni imparano subito: un premio a te, poi uno a me, e avanti così. Al contrario non vi riescono né i bambini più piccoli né gli scimpanzé di qualsiasi età. Si mostra così che gli uomini possono imparare tali forme di collaborazione solo a un certo punto dello sviluppo. Come mai? In fondo sembra una strategia banale, conveniente per entrambi.
In un famoso esperimento di Walter Mischel, i bambini di quattro anni si fidano della promessa dell’insegnante e aspettano senza mangiare il dolce messo di fronte a loro, ottenendone alla fine due. Non tutti sanno resistere alla tentazione. Nell’esperimento di Tomasello bisogna saper aspettare, ma anche essere gentili con un estraneo. Nel 1968 il nome HAL era stato costruito con le iniziali di «heuristics» (H) e di «algorytms» (AL).
L’algoritmo è un calcolo che, date certe informazioni, produce automaticamente determinate risposte. Le euristiche sono invece regole che funzionano approssimativamente e che si usano in mondi caratterizzati da incertezza e imprevisti. Molte specie animali, tra cui l’uomo, nascono già dotate di algoritmi di cui nessuno suppone l’esistenza, neppure da adulti, a meno di non scovarle in laboratorio.
Per esempio l’attenzione visiva sembra un meccanismo ovvio e immediato, e invece funziona grazie a meccanismi complessi e nascosti. Basti dire che il 90% del cervello è al servizio di tali meccanismi. Al contrario euristiche semplici come «uno a te e uno a me» devono venire apprese. Specie animali che incorporano algoritmi automatici per la visione non riescono a impararle. Euristiche semplici, ma per altri irraggiungibili: la quintessenza della nostra umanità.

A. Melis, P. Grocke, J. Kalbitz, M. Tomasello, One for You, One for Me: Humans’ Unique Turn-Taking Skills , Psychological Science Online, 14 luglio 2016

Paolo Legrenzi, Domenicale – Il Sole 24 Ore 4/8/2016