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 2016  agosto 14 Domenica calendario

IL MESTIERE DI DIRETTORE E IL «CARATTERE ITALIANO»

Abito a Londra, giro per tutto il mondo e trascorro lunghi periodi a Roma.
Ma è solo nei panorami ruvidi, nelle campagne bruciate dominate dal giallo e dal bruno della terra dei miei genitori che penso di essere veramente a casa.
Nasco a Epping, nella contea di Essex in Inghilterra, dove i miei genitori nel 1958 si trasferirono da Castelfranco di Miscano, in provincia di Benevento.
Ho ereditato la passione per la musica da mio padre, che aveva studiato canto con Ettore Campogalliani e a sua volta impartiva lezioni ai cantanti.
Da bambino non volevo studiare, volevo giocare a pallone. Però vedendo mio padre suonare, cominciai a incuriosirmi e a dieci anni ero già in grado di accompagnare i suoi allievi. D’altra parte a casa si ascoltava sempre musica, musica italiana, anzi, napoletana e la mia relazione con questo mondo è iniziata proprio con canzoni come Core ’ngrato, Torna a Surriento, O’ surdato ’nnamurato.
Nel ’73 mi sono trasferito con i miei genitori nel Connecticut. E ancora la musica, naturalmente. Lì ho studiato pianoforte con Norma Verilli, alla quale devo tanto. È lei che mi ha formato come musicista, mi ha insegnato a saper suonare di tutto; infatti suonavo nei matrimoni, ai ricevimenti, facevo musica d’ambiente, suonavo a prima vista tutti i tipi di musica: per me questa è stata una palestra importantissima. Come importantissimo è stato Gustav Meier. Da lui ho imparato il gesto direttoriale, l’economia del gesto, cosa che ancora oggi mi è difficile gestire: ho l’impressione di muovermi troppo, devo pensare continuamente ai movimenti che faccio sul podio. Quando sei lì su, devi avere un centro, un controllo non solo fuori, ma soprattutto dentro di te. L’incontro che ha segnato la mia vita, è stato quello con Daniel Barenboim. Ho deciso di andare in Germania perché volevo imparare il tedesco a tutti i costi per poter un giorno interpretare Wagner. Il Festival di Bayreuth mi chiamò per accompagnare una cantante in un’audizione con Barenboim. Alla fine prese il soprano, ma volle tenere anche me. Un italiano a Bayreuth! Essere in Germania, con la musica di Wagner a Bayreuth, con un grande maestro come Barenboim è stata un’opportunità unica. Da lui ho imparato davvero tante cose: ho “imparato a imparare”, a nutrire la curiosità interiore. Non solo. Ho imparato ad avere la padronanza della partitura e soprattutto a gestire a livello psicologico tutte le persone che hai davanti, l’orchestra, il coro, i solisti e soprattutto te stesso. Un direttore deve pianificare ogni giorno il proprio lavoro. Ma prima di tutto deve avere un entusiasmo inesauribile, deve amare la musica, la deve conoscere nel suo ritmo esteriore e interiore. Ma è necessario che la sappia comunicare, che crei una cornice dove tutti si possano ritrovare nello stesso quadro. Io non credo nel direttore dittatore. Lui è lì per suggerire, guidare e convincere. A volte il compositore ha scritto sulla partitura tante informazioni ma a volte pochissime, allora devi creare tutto, inventare tutto, restando sempre fedele a quello che voleva dire: è più facile con Mahler che ha scritto tante indicazioni, più difficile con Bach che scriveva solo le note e poco più.
Nel 1992 sono diventato Direttore Musicale del Théâtre de la Monnaie di Bruxelles dove sono rimasto per dieci anni e poi dal 2002 sono Direttore Musicale della Royal Opera House Covent Garden di Londra. Ma avevo ancora l’Italia nel cuore, la terra dei miei genitori, i miei punti di riferimento più importanti in assoluto. Nel 2005 la nomina di direttore musicale dell’Accademia di Santa Cecilia per me è stata un ritorno a casa, un bisogno di stringere il mio legame con la cultura musicale italiana.
Ancora oggi molti mi chiedono se mi senta più italiano o più inglese o americano; all’inizio della mia carriera ho pensato che avendo un cognome italiano rischiavo di essere etichettato come un musicista unicamente per la musica italiana. Allora mi sono dedicato subito alla musica francese, tedesca, italiana, inglese, americana e avere una vita musicale così varia, lo considero un privilegio. Appartengo a tre paesi e a nessuno, perché quando si viaggia molto e si lavora in posti diversi si diventa un po’ camaleonti; amo il cosmopolitismo ma sono sempre attento a trovare un suono particolare per ogni orchestra che dirigo. È una questione molto delicata per un direttore, perché si rischia di avere un suono unico, stereotipato, che non riflette il proprio carattere; oggi le orchestre sono composte da musicisti di tante nazionalità ma si rischia di avere un suono uguale, omogeneo, uno stile standardizzato, abbastanza noioso.
A Santa Cecilia, oltre ad avere padronanza del grande repertorio, dobbiamo avere qualcosa di personale e questa ricerca è la cosa più bella: il cosiddetto “carattere italiano”.
Questa ricerca di un “carattere” particolare credo che derivi anche dalla mia passione per le lingue: sono cresciuto con l’amore per le lingue e le culture diverse e ancora oggi mi appassionano; specialmente i dialetti, ne sono affascinato, mi mettono di buon umore. Appena qualcuno in Italia parla in modo un po’ speciale, gli chiedo di farmi decifrare la sua provenienza: mi interessa indagare il nesso tra musica e suoni delle lingue. Quando vado a trovare mia madre nel Connecticut e ci mettiamo a parlare, quello che esce fuori è un buffo “patois” che mescola inglese, italiano e castelfranchese! Devo confessare che nel profondo mi sento italiano. E come italiano penso che in questo meraviglioso paese dobbiamo arrivare a un nuovo Rinascimento, a quel periodo in cui l’Italia seppe dare al mondo intero la più grande innovazione culturale di ogni tempo. Non dobbiamo avere paura di investire nella cultura. Anzi, la cultura è un investimento dagli orizzonti lunghi, fa quadrare l’economia e nello stesso tempo fa raggiungere risultati straordinari in tanti campi. In particolare si deve investire di più nella musica, senza la musica un paese è più povero; abbiamo bisogno di qualcuno che parli della musica, che la spieghi, perché la musica è vita, è una cosa preziosa, che dà emozioni profonde. A prima vista può sembrare complicata, con una profondità difficile da comprendere, a differenza delle arti visive, ma non dobbiamo avere paura, basta spiegare un po’ le cose, dare un’idea, una chiave di lettura a tutti, che apra la porta della curiosità e della bellezza. In assoluto.
Antonio Pappano è Direttore Musicale
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano, Il Sole 24 Ore 14/8/2016