Marco Mensurati, la Repubblica 14/8/2016, 14 agosto 2016
ITALIA BUM BUM. L’INFALLIBILE ROSSETTI BATTE ANCHE IL PADRE
Se due giorni fa era stata la vittoria delle mamme, oggi è stato il trionfo di un figlio: Gabriele Rossetti, ventuno anni, è il nuovo campione olimpico di skeet, disciplina nella quale 26 anni fa, a Barcellona, suo padre Bruno prese una medaglia di bronzo.
La dolcezza e la tenacia di Diana Bacosi e Chiara Cainero, si fanno da parte e lasciano il posto alla spregiudicatezza e all’ambizione di questo ragazzino dall’orizzonte che ora sembra infinito: «Adesso devo vincere i mondiali e la coppa del mondo, poi le prossime olimpiadi e Roma 2024 e poi anche oltre», dice ebbro di gioia dopo aver cantato l’inno di Mameli come neanche Buffon agli Europei.
La cerimonia di premiazione è finita da pochi secondi. Lui prende la medaglia e la fa splendere contro il sole di Rio. Un fotografo gli chiede di morderla. Lui se lo guarda come se gli avesse chiesto di buttarla via: «Macché sei matto? Al massimo la bacio, l’ho desiderata così tanto...».
Arriva un signore con i capelli bianchi e la faccia stravolta. Gli passa una bottiglietta d’acqua e gli dice qualcosa di confuso a riguardo dell’idratazione, lui la prende ma non beve. Allora quello gli mette la bandierona tricolore sulle spalle e se lo bacia. È Andrea Benelli, leggendario ct della nazionale italiana e anche lui olimpionico (bronzo a Barcellona ‘96 e oro ad Atene 2004). C’è la sua mano dietro questa messe di medaglie dell’Italia del tiro.
«A queste olimpiadi sono arrivato con due papà», si giustifica Rossetti con i giornalisti assiepati dietro le transenne. «Uno è il mio, Bruno, l’altro è questo, Benelli: è grazie a lui che sono migliorato tanto ed è grazie alla sua esperienza e alla sua capacità di trasmettermela che oggi sono riuscito a fare quello che ho fatto».
E cioè una giornata perfetta. Da quando ha tirato fuori il fucile dalla custodia a quando l’ha sollevato al cielo in segno di trionfo, Rossetti non ha sbagliato nulla: non un solo piattello ha avuto la grazia di planare intatto a terra. Nuvolette rosa si sono susseguite a nuvolette rosa, per tutto il giorno, in qualunque fase della gara, qualificazione, spareggio, finale, duello.
Poveri piattelli, nessuna pietà: «Ho ragionato come dovevo: colpo a colpo e sono entrati tutti». E poveri avversari: demoliti come i piattelli. Nessuno ha potuto fare nulla. Non il kuwaitiano Abdullah Al Rashidi (bronzo), il falconiere dello sceicco, che correva sotto la bandiera del Cio, per via della squalifica del suo paese. Un tipo strano, questo Abdullah, dinoccolato e dimesso, gareggiava con la maglietta dell’Arsenal e si è inspiegabilmente trovato a essere l’idolo del poligono che lo aveva scambiato per uno della nazionale dei rifugiati (anche loro gareggiano sotto la bandiera del Cio); e lui dopo il secondo boato ha cominciato a comportarsi come una popstar alimentando l’equivoco e creando una confusione molto divertente. Ma inutile.
E non ha potuto fare nulla nemmeno il più ortodosso avversario svedese Marcus Svensson (argento) che ha provato a tenere il passo prima di schiantarsi contro il sedicesimo piattello consecutivo preso da Rossetti. Che alla fine ha voluto ringraziare anche l’altro papà di questa medaglia, il vecchio Bruno, che poco più in là, commosso, lotta come un vietcong contro se stesso per impedirsi di piangere.
Non è stata una giornata facile per lui. Da qualche anno la Francia lo ha scelto come commissario tecnico della nazionale (ha il passaporto francese) e lui qui a Rio aveva portato due bravissimi atleti, che per giunta durante l’anno si allenano spesso con Gabriele, in Toscana.
E, insomma, non sapeva per chi tifare: almeno fino a quando, in semifinale,il figlio non glieli ha eliminati tutti e due. «Tecnicamente è stato un dolore — dice ora ancora stravolto dalle troppe emozioni — Ma, come papà, che gioia. Gabriele ha un talento più aggressivo del mio. Ha vendicato il mio bronzo. Gli ho dato qualche consiglio, il resto lo hanno fatto Benelli e lui. E lo hanno fatto davvero bene». Poi la diga crolla, e piange.