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 2016  agosto 14 Domenica calendario

UN CONTAINER DALL’ASIA COSTA OTTOCENTO DOLLARI

Nel 2008, con il commercio mondiale la crisi economica aveva abbattuto anche il traffico via mare. È stato uno choc per i porti e per l’intero comparto marittimo. Da allora, però, le navi hanno ripreso a sbarcare merci a tassi di crescita del 4% per cento all’anno.
«Ormai spedire un container dalla Cina costa solo 800 dollari. Dalle materie prime ai manufatti, il trasporto via mare è sempre più conveniente», spiegano all’Agenzia delle dogane. Anche perché i porti europei si fanno concorrenza abbattendo tempi e costi di sdoganamento. «In ogni settore merceologico, Spagna, Slovenia e Grecia (il porto del Pireo mercoledì scorso è passato ufficialmente sotto il controllo della cinese Cosco, ndr) sottraggono quote crescenti di mercato agli scali italiani - sottolineano gli analisti dell’Agenzia- Per convincere i grandi spedizionieri asiatici e americani a cambiare le loro rotte, si velocizzano le procedure di sbarco, a scapito della sicurezza dei flussi». Sui cascami e avanzi di plastica, negli ultimi quattro anni la Slovenia ha doppiato l’Italia nel business con la Cina. Il vicepresidente vicario di Assoporti, Francesco Mariani va all’origine del fenomeno: «Dove va il contenitore lo decide il mercato – afferma -. Nel 2015 c’è stato un aumento del 3,7% nelle merci in transito nei porti italiani, nonostante tipologie di traffico siano azzerate». C’è da chiedersi, però, quale scalo utilizzerà in futuro lo spedizioniere cinese che lo scorso marzo si è visto sequestrare a Genova 62mila lampade al led pericolose per la salute. «Sicuramente non sarà un porto italiano». Lo shipping (ossia il «cluster marittimo») è sempre più un pilastro dell’economia italiana. Secondo l’ultima ricerca del Censis, il settore vale 32,6 miliardi di euro: di questi, 25,8 miliardi riguardano le attività manifatturiere, 2,2 miliardi il turismo. In totale, il Censis stima in 392mila gli occupati diretti dell’economia marittima. A Genova, città stremata da un processo di deindustrializzazione che ha causato la perdita di più di 200mila abitanti in vent’anni, il porto è l’unico polmone in grado di sostenere lo sviluppo del territorio. Le banchine danno lavoro, secondo un recente dossier Prometeia-Nomisma, a 40mila persone (28mila dirette) per un giro d’affari superiore ai 9 miliardi. Dai traffici marittimi che transitano a Genova dipendono anche 13mila posti di lavoro in Piemonte. Il mancato coordinamento delle attività di controllo non è l’unico gap che allontana l’Italia dall’Europa.
Le carenze infrastrutturali rappresentano la prima causa dell’impennata dei costi. Trasportare un container da un porto italiano alla località di destinazione, così come da quella di partenza a un porto, in molti casi non è conveniente per lo spedizioniere. E così la merce sceglie scali stranieri.
Gli analisti di Drewry - un’autorità nel mondo dello shipping - lo hanno dimostrato con uno studio pubblicato poche settimane fa, prendendo come riferimento il mercato della Baviera, uno dei più ricchi e produttivi del continente: ormai non esiste un solo porto italiano in grado di competere con quelli nord-europei. Ferrovie insufficienti e costi eccessivi fanno la differenza. Ma a vantaggio di Anversa, Rotterdam e Amburgo.