Notizie tratte da: Sue Klebold, Mio figlio, edizioni Sperling & Kupfer, Milano, pagg. 354, € 18, 14 agosto 2016
LIBRO IN GOCCE NUMERO 103 (Mio figlio) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca COLUMBINE PER LA MADRE DEL COLPEVOLE – Strage
LIBRO IN GOCCE NUMERO 103 (Mio figlio) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca COLUMBINE PER LA MADRE DEL COLPEVOLE – Strage. Dylan Klebold ed Eric Harris, entrambi all’ultimo anno al liceo Columbine, la mattina del 20 aprile 1999 erano usciti di casa all’alba e avevano posizionato un piccolo ordigno in un campo a circa cinque chilometri dal liceo, per depistare le squadre di intervento. Erano poi arrivati in macchina al liceo Columbine verso le undici e un quarto, con due borsoni pieni di bombe al propano. Nel parcheggio della scuola, avendo incontrato Brooks Brown, gli avevano detto: «Brooks, tu sei simpatico. Vattene da qui. Tornatene a casa». Dopo aver piazzato le bombe nella mensa, erano tornati in macchina, in attesa dell’esplosione. Siccome però gli ordigni non esplodevano, erano scesi dall’auto, salendo insieme la gradinata dell’ingresso occidentale della scuola, e avevano cominciato a sparare. Bilancio. Bilancio della strage di Columbine: quindici morti (tra cui Dylan ed Eric, che infine si erano tolti la vita nella biblioteca), ventiquattro feriti. Video. I video del seminterrato, una serie di filmati girati nelle settimane precedenti alla sparatoria, nei quali i due ragazzi parlavano alla telecamera. Ultimo. Nell’ultimo video, girato la mattina della strage, Eric dava istruzioni ai genitori su come distribuire i suoi averi. Dylan, senza guardare l’obiettivo e a bassa voce: «Ricordate soltanto che vado in un posto migliore. La vita non mi piace molto...». Università. Dylan Klebold, pochi giorni prima di compiere la strage, s’era seduto con suo padre a studiare la planimetria del dormitorio dell’Università dell’Arizona per scegliere la stanza migliore dove andare a vivere l’anno successivo. Suicidi. Atteggiamento comune agli aspiranti suicidi: formulare piani molto accurati per il futuro, a volte per depistare e rassicurare i famigliari, a volte perché il desiderio di vivere è intenso quanto quello di morire. Croci. In città fu allestito un memoriale provvisorio, quindici croci di legno grezzo, una per ogni morto, compresi Dylan ed Eric. Le loro furono subito divelte e buttate in un bidone dell’immondizia. Cause. Contro i genitori di Dylan furono intentate 36 cause legali. Malattia mentale. Secondo il professor Jeffrey Swanson una grave malattia mentale è un fattore di rischio per comportamenti violenti in appena il 4% dei casi. La percentuale aumenta solo quando la malattia si presenta in combinazione con altri fattori di rischio, come l’abuso di droghe e alcol. Depressione. Dopo aver studiato i suoi diari e i suoi comportamenti numerosi esperti valutarono che Dylan soffriva di depressione clinica o di un disturbo celebrale che alimentò il suo desiderio di uccidersi, e la sua ansia di morire svolse un ruolo cruciale nella sua partecipazione alla strage. Nell’ultimo periodo della sua vita Dylan aveva anche iniziato a bere. Suicidio. Negli Stati Uniti si registra un suicidio ogni tredici minuti, 40mila vittime ogni anno. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, il suicidio è la terza principale causa di morte per gli individui di età compresa tra i dieci e i quattordici anni, la seconda per la fascia tra i quindici e i trentaquattro. In un sondaggio del 2013, su un totale di 6.500 adolescenti, uno su otto ha rivelato di aver contemplato il suicidio e uno su venticinque di averlo tentato. Teoria. La teoria sul suicidio di Thomas Joiner, psicologo e figlio di un suicida, rappresentabile attraverso un diagramma di Venn con tre cerchi sovrapposti, ha ridefinito l’intero campo di studi. A suo avviso, il desiderio di uccidersi sorge negli individui che convivono a lungo con due stati psicologici simultanei: privazione di appartenenza («Sono solo») e convinzione di costituire un peso («Il mondo starebbe meglio senza di me»). Il rischio si fa urgente quando quelle persone iniziano a ignorare il proprio istinto di autoconservazione, e diventano così capaci di farsi del male («Non ho paura di morire»). Per riassumere: il desiderio di uccidersi deriva dai primi due fattori, mentre la capacità di metterlo in atto deriva dal terzo. Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 14/8/2016