di Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 12/8/2016, 12 agosto 2016
RENZI CERCA 16 MILIONI DI VOTI. È LA SOGLIA PER LA VITTORIA DEL SÌ
C’è un numero che gira insistentemente al Comitato del Sì in questi giorni: 16 milioni. Tanti sono i voti che – secondo i calcoli estivi – serviranno per vincere il referendum costituzionale di novembre con un certo margine di sicurezza. L’asticella è ambiziosa e il panico avanza. Perché 16 milioni di voti, il Pd non li ha mai presi: né quello di Bersani nel 2013 (se ne contarono 8,3), né quello di Renzi alle Europee del 41% nel 2014 (furono 11,2). Certo, i voti per il Sì dovrebbero arrivare non solo dal Pd, ma almeno dagli altri partiti della maggioranza ufficiale e ufficiosa (i centristi e i verdiniani) e, potenzialmente, anche da qualche elettore di Forza Italia, dei Cinque Stelle e della Lega. Ma il fronte del No appare deciso. Più dello stesso Pd, con la minoranza che fa continue richieste in cambio dei suoi Sì, a partire dalla modifica dell’Italicum, mentre in privato va dicendo ad amici e nemici che sarebbe pronta a schierarsi definitivamente per il No già dall’inizio di settembre.
Tornando ai numeri. Il dato principale per “contare” i potenziali voti contrari alle riforme è quello del referendum di aprile sulle trivelle. Allora, in 15,8 milioni andarono alle urne, contravvenendo al diktat del premier, che aveva invitato all’astensione. E in 13,3 milioni si schierarono contro le trivelle, cioè contro una legge del governo. L’affluenza fu al 31%, il referendum fallì, ma una prima asticella di massima venne individuata: 13 milioni e rotti. Al netto del merito, la consultazione di aprile fu percepita in maniera chiarissima come un voto contro Renzi: come il referendum di novembre, con buona pace del tentativo in corso di “spersonalizzarlo”. viene considerato un’occasione per far fuori il premier.
Lo stesso Renzi alla Festa dell’Unità di Bosco Albergati martedì ha ammesso: “Ho sbagliato a personalizzare”. Il vento è molto cambiato da quando chiese il plebiscito su di sè (e sul suo futuro in politica). Ma qualsiasi cosa il premier dica, nonostante i tentativi di spostare almeno parte dell’attenzione sul merito fatti da entrambi i fronti, il primo motivo per votare Sì o No sarà proprio lui.
L’ “incubo” 16 milioni, evidentemente, tiene conto anche delle Amministrative, che hanno sancito definitivamente il calo di consensi del premier. Ora dalle parti del Pd i No vengono stimati intorno ai 15 milioni di voti. Questi calcoli, essendo il corpo elettorale composto da circa 51 milioni di elettori, prevedono per una vittoria un’affluenza attorno al 60%: 16 milioni a 15.
La partecipazione al voto, però, è tutta da verificare. Gli ultimi sondaggi, risalenti all’inizio di agosto, vanno in due direzioni opposte: Antonio Noto (Ipr Marketing) si attende un’affluenza intorno al 50%, Nicola Piepoli intorno al 70%. I due sono concordi, invece, nel dare il No in vantaggio sul Sì: 52% contro 48%, ma coi contrari in salita. Entrambi, però, sostengono che più sale l’affluenza, più aumentano le chance del Sì. Piepoli fa una notazione interessante: “I voti del centrodestra contano per il 33%. Sarà lì che si deciderà il vincitore. Perché sono i più incerti. E Stefano Parisi non sta ancora facendo campagna per il No”. Un altro precedente aiuta nei calcoli: nel 2006 la riforma costituzionale targata Berlusconi venne bocciata dal 61,3% degli elettori, con 15,7 milioni di voti (il Sì ne prese 9,9)L’affluenza fu del 52% degli aventi diritto.
Ce n’è abbastanza per capire le difficoltà di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Per questo, il premier ha cercato di alzare il tiro, promettendo di mettere i “500 milioni di risparmi derivanti dalla riforma contro la povertà”. Conteggio aleatorio (un documento della Ragioneria calcola i risparmi certi in 57,7 milioni) e promessa tutta da verificare. Mentre il ministro delle Riforme in questi mesi è arrivata ad associare il Sì alla lotta al terrorismo e a suggerire un’analogia tra i sostenitori del No e Casapound, oltre ad accusarli di non rispettare il lavoro del Parlamento. Scivoloni che neanche il premier ha avallato.
Quando gli chiesero se era d’accordo con la Boschi sulla questione del terrorismo, durante la riunione con i capigruppo di Camera e Senato dedicata proprio alla sicurezza, non rispose. L’altra sera, a una Festa dell’Unità in Emilia, durante l’intervista con Enrico Mentana ha evitato di ripetere il ragionamento fatto dal ministro nel pomeriggio.
di Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 12/8/2016