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 2016  agosto 12 Venerdì calendario

LA PARABOLA DI SCHWAZER, I TANTI DUBBI DELLA SENTENZA

È andato a Rio dopo avere guadagnato l’accesso alle Olimpiadi sul terreno, Alex Schwazer, ma ci è andato con appesa al collo la pietra dello scandalo di un doping presunto: è andato a Rio per sperare. E lui, il campione e l’atleta che a 24 anni ha vinto a Pechino la medaglia d’oro, ha sperato: per giorni e giorni, continuando ad allenarsi, il ragazzo che ieri chiamavano italiano e che ora chiamano chissà perché sudtirolese, ha aspettato e ha sperato: solo per sentirsi dire che non avrebbe corso i 50 chilometri della marcia, solo per sentirsi dire che la sua carriera era spezzata per sempre da otto anni di squalifica. E ora è nella Terra di nessuno, Alex.
Guardiamo le poche immagini registrate: sembra più giovane dei suoi 32 anni, il campione di Pechino, sembra tornato bambino. Ma un bambino così triste, e spento, e vuoto, da non riuscire a esprimere nemmeno più la tristezza, nemmeno più il dolore. Chi è davvero Alex Schwazer? Quando fu colpito da una gravissima squalifica per doping qualche anno fa riconobbe di aver sbagliato: senza se e senza ma disse che aveva fatto il più grande errore della sua vita. Ma già allora si scatenò su di lui una sorta di inquisizione che arrivò a colpire persino la fidanzata, come a fare terra bruciata intorno al Mostro. Poi l’atleta Alex, uno dei pochissimi al mondo a riconoscere interamente e senza alcuna scusante la sua colpa, ricominciò ad allenarsi: ricominciò a faticare su quei 50 chilometri interminabili, su quei 50 chilometri che portano il corpo di un atleta sull’orlo dell’abisso, su quei 50 chilometri in cui sudore e sofferenza ti accompagnano come gli unici terribili dèi protettori.
E sudando e soffrendo Alex ha ricominciato a vincere, fino a guadagnarsi con la sua marcia l’accesso alle Olimpiadi di Rio: finché non è scoppiato il caso del suo nuovo, presunto doping. Un caso così strano per la dubbiosità delle prove addotte, da spingere il suo allenatore a dichiarazioni molto forti: fino ad avanzare il sospetto che Alex dovesse essere respinto nel nulla da cui era uscito perché questo faceva comodo ai Soloni dello sport, che volevano un capro espiatorio da sacrificare. Vero? Falso? Ora questo non importa più: anche se vale la pena ricordare che l’immenso atleta pulito Michael Phelps ha protestato a Rio contro un’atleta russa che era stata squalificata per doping per 16 mesi, che era stata coinvolta dallo scandalo del doping di Stato poche settimane fa, ma che è stata ammessa ai Giochi da quello stesso Tas che ha escluso Schwazer: e l’immenso Phelps è stato duramente richiamato all’ordine dal comitato olimpico.
Ma allora l’ipotesi che anche nello sport i deboli debbano pagare e i forti se la cavino non era così assurda? Allora le questioni alla Blatter e associati non riguardano solo il calcio? Ma questo non importa, oggi, e il ricorso che l’avvocato di Schwazer farà alla giustizia ordinaria sarà sempre tardivo: ora importa lo sguardo che leggiamo sulla faccia del ragazzo Alex. E a lui vorremmo chiedere piano: chi sei davvero, Alex? Ma se anche potessimo fare questa domanda, il volto pallido e stremato del ragazzo non ci risponderebbe. Ora quel volto sembra svuotato e morto, come se ignorasse se stesso e il mondo. Ora quel corpo di atleta capace di marciare per cinquanta chilometri, e di vincere, ora quel corpo sembra fare una fatica enorme anche a salire sui gradini di una scala mobile. Saranno vere le cosiddette prove schiaccianti? O sarà nel vero chi le ritiene scientificamente e praticamente molto più che sospette? Non sarà facile saperlo.
E intanto noi ci chiediamo: come è possibile che un uomo giovane che riesce a lottare con i suoi fantasmi, e che dopo un gravissimo errore di doping ammesso e dichiarato ricomincia a fare l’atleta nella fatica e nella sofferenza, possa poi ricadere nell’errore? E’ difficile crederlo: e se guardi quella faccia di adolescente eterno diventa ancora più difficile. E lui, Alex? Sarà ancora additato come il Mostro per eccellenza mentre altri sono perdonati, o una volta sacrificato in nome del Bene verrà lasciato in pace? Ma quale pace, poi. Lo guardi e pensi: se ha creduto così tanto nell’impresa atletica che ti porta al limite delle tue forze, se ha avuto dentro quello spinta che ti sorregge mentre i crampi ti attanagliano e il tuo corpo sembra morire, se ha sognato e sperato di marciare fino all’ultimo istante, quale pace mai potrà esserci per lui? Otto anni sono un ergastolo sportivo: non danno scampo. E l’Alex Schwazer che vediamo nelle fotografie e nei filmati sembra un condannato a qualcosa di terribile. Cosa pensa? Cosa sente? In quel volto c’è fragilità e senso di perdita, e la faccia di Alex ci spaventa perché è quella di chi piange senza più lacrime. Ma la sua vera battaglia deve ancora venire, la sua marcia più faticosa comincia adesso. E a chi gli sta intorno vorremmo dire sommessamente: per favore, state attenti, prendetevi cura di lui, non lasciate solo questo eterno ragazzo, non abbandonate Alex alla sua fragilità.