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 2016  agosto 11 Giovedì calendario

«FIDEL HA PERSO. LA DEMOCRAZIA PURE» [Intervista a Fausto Bertinotti] – Fidel Castro, 90 anni il 13 agosto

«FIDEL HA PERSO. LA DEMOCRAZIA PURE» [Intervista a Fausto Bertinotti] – Fidel Castro, 90 anni il 13 agosto. Ne compiva 80 quando lui dominava su Cuba socialista e Fausto Bertinotti era ancora il presidente comunista della Camera dei deputati italiani. «Un altro pianeta, storia finita». Bertinotti, che cosa scriverebbe oggi, a Castro sul biglietto di auguri? «Vivi ancora, buona vita». Una dignitosa uscita di scena, niente di più, ma niente di meno. Sa, quelli come me non possono dimenticare il debito di riconoscenza verso Fidel. Nell’ultimo decennio sono due le immagini «forti» di Castro: Fidel che sostiene Giovanni Paolo II mentre scende piegato dalla scaletta dell’aereo che l’ha portato a Cuba; e poi, nel settembre 2015, quella dov’è Papa Francesco a sostenere lui. Finita la rivoluzione, Castro ha scelto come interlocutore la Chiesa. Non l’ha fatto in maniera casuale né innocente. La sua idea, impossibilitata al pluralismo partitico, è stata di avviare tramite il Papa una sorta di pluralismo sociale. Col risultato che adesso gli americani premono ai confini degli ex Barbudos per imbottirli di capitalismo. 
Vero. Schiantata l’ipotesi del cambiamento radicale, si è aperto l’orizzonte della globalizzazione con gli Usa. E in tutta la sua amata America latina in viaggio verso il comunismo è stato lo stesso: sepolto il castrismo, finito il Brasile di Lula, in coda per fame il popolo venezuelano di Chavez, grazie all’erede Nicolas Maduro, un Ortega disperato incorona sua moglie nel Nicaragua sandinista... Tutti a catena, si è rigirata l’onda e sarebbe stupido negarlo: il fallimento del movimento operaio nei paesi del socialismo reale, e la sua sconfitta irreversibile nell’Europa occidentale, hanno trascinato con sé la sinistra latinoamericana e ne hanno chiuso la vicenda. Ma non sottovalutate il ruolo di Bergoglio negli anni a venire. 
Il presidente dei vescovi venezuelani ha appena detto al chavista Maduro: «Tu affami il popolo per sottometterlo». Non sembrerebbe, il presidente dei vescovi, così distante dal Papa.
 Quella è questione di politica interna, mentre è il capitalismo mondiale che il Papa critica su scala ben più vasta. La sua cattedra non è direttamente politica, ci mancherebbe altro. Attenzione però, e schematizzo apposta: esce di scena il movimento operaio, la sinistra non c’è più, la socialdemocrazia è svanita, Fidel è battuto, l’indipendentismo altrettanto, ma nel contempo ha fatto irruzione sulla scena Papa Bergoglio. Che sogno stupendo, e quanto a lungo desiderato dai cattocomunisti:
la rivoluzione proletaria dietro
le insegne di San Pietro. Parlare ancora di rivoluzione è una sciocchezza.
Una sciocchezza?
Sarà la rivolta, da domani, a tenere banco: l’irruzione della piazza dell’ imprevisto. Poi, non è certo detto che l’imprevisto prenderà una strada progressista, magari sarà il contrario. Non parli in «latinorum». Siamo partiti dal compleanno di Castro con relativo fallimento strategico. Con i capitalisti globalizzati Usa che dopo 60 anni risbarcano all’Avana con la faccia progressista di Barack Obama. E lei se ne esce: comunque c’è Bergoglio, la rivoluzione è una cazzata, oggi si spera solo nella rivolta, che potrà diventare progressista o no, ma questo non si sa, dato che siamo nell’era dell’imprevisto. Scusi eh, manco Einstein. Vogliamo andare con ordine? Proviamo. Sopporteranno i lettori di Panorama? Dispongono di infinita pazienza. Allora li informo: la democrazia è morta. Cioè? A sinistra tutti a casa, causa black-out? Da Lenin a Vendola, passando per Stalin, Krusciov, Longo, Allende, Occhetto, Gorbaciov, Castro, Lula, Chavez, Berlinguer, Cossutta, Bertinotti, Rossanda, D’Alema, Bersani, Camusso, e vedi mai Civati? Esattamente. Sinistra e destra non hanno più senso. L’idea di costruire un partito col suo programmino, andare alle elezioni, entrare in Parlamento e fare un po’ di opposizione fino al momento di gridare: «È ora, è ora di cambiare, il Pci deve governare». Bene, quella storia lì è chiusa. E per sempre. Perché? Perché questo capitalismo, come il Papa non si stanca di ripetere, è irriformabile. Perché i governi sono miraggi, per chi voglia operare il cambiamento. Ogni governo è parte integrante di questo sistema. Può scegliere la sua forma, dichiararsi socialdemocratico o no, di destra o di sinistra, ma non potrà scegliere la sua politica. Quella è predeterminata dal «vincolo esterno». Guardi Alexis Tsipras in Grecia. Andato al governo, non ha potuto far altro che seguire il percorso già tracciato per lui.
 Da chi?
 Dal nuovo capitalismo finanziario e globale, che nasce su due elementi: la scomparsa del suo avversario storico e una rivoluzione tecnologico-scientifica di portata gigantesca. È lui a dettare il vincolo esterno. È per quello che l’idea stessa di democrazia si è consumata. Viviamo in un simulacro dove la sovranità popolare
è sospesa, tanto che qualcuno comincia a teorizzarne la sospensione anche formale. Da qui stanno riemergendo le categorie della rivolta.
 Con Papa Francesco alla testa, mentre l’ex rivoluzionario Bertinotti applaude. Pontefice, con la sua enciclica «Laudato sii», coglie perfettamente il carattere inaudito delle disuguaglianze e la loro intollerabilità dal punto di vista della tenuta sostanziale delle democrazie. Basta guardare il mondo della scienza e della religione, che denunciano insieme: questo mondo è inabitabile. Compito della politica è, per l’appunto, renderlo abitabile. 
La politica sta seduta su questa polveriera come se non fosse tale. E se quello che viviamo fosse già l’annuncio di un incendio? Ecco, il Papa sembra accorgersi di ciò. Tutto il suo ragionamento tende a una visione catastrofica del mondo. Si diceva un tempo: per capire bisogna affacciarsi sull’orlo dell’abisso. Francesco si affaccia. E dice: nell’uomo ci sono risorse e qualità intrinseche per la salvezza. E anch’io credo la salvezza sia nell’imprevisto. Ci risiamo: lo Stato borghese si abbatte e non si cambia.
 Un po’ è vero.
 Cameron o Merkel, Renzi o Le Pen, tutto è indifferente. Non sono così rozzo. Dico: l’orchestra dei governi europei può suonare un unico spartito. Non esiste più capacità redistributiva, né di ricchezza, né di potere, né di cittadinanza. Solo l’apocalisse. Non è scritto. Questo capitalismo, che cancella la politica attraverso l’ipertecnologia, produce spazi nella società civile. E nuovi spazi di autogoverno. Morti i temi del potere e del controllo, nascono quelli della liberazione. Ieri rivoluzionepotere, oggi rivolta-autogoverno. Sempre all’apocalisse siamo. Anche se lei la chiama «imprevisto». Bisogna far conto sulle mille esperienze della società che vive fuori dal capitale. Milioni e milioni di persone, il volontariato e tutti quelli di cui non parlano i giornali. Sono quegli invisibili che, diventando visibili, provocheranno la rottura. 
Si sta facendo prete, Bertinotti? Non ho la fede, mannaggia. Però prendo atto che il movimento operaio aveva cancellato tutto questo nel nome del progresso ordinato: la lotta, la costruzione del conflitto, l’istituzione del conflitto. Eliminato l’imprevisto, appunto. E dopo il terremoto, cosa resta sul tappeto? La memoria, sì. Ma nulla di quella storia è passata di qua dal fiume. Basta, su: la sinistra è morta. Povero Fidel Castro. Capisco.