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 2016  agosto 11 Giovedì calendario

XYLELLA, LE RICERCHE FALLATE: NIENTE BASI SCIENTIFICHE PER ABBATTERE GLI ULIVI

Il dissequestro di uliveti del Salento da parte della Procura di Lecce il 25 luglio potrebbe condannare migliaia di ulivi pugliesi. I pm avevano messo i sigilli per indagini tuttora in corso. L’Europa richiede che la diffusione nel resto del continente del batterio Xylella fastidiosa (subspecie pauca) sia fermata estirpando tutto ciò che Xylella può infettare. Per l’Ue la necessità degli abbattimenti è fondata su risultati scientifici certi: Xylella è la causa del disseccamento degli ulivi pugliesi, il CoDiRO. Di conseguenza, il batterio va eradicato estirpando ogni nuovo focolaio e tutti gli ulivi, mandorli, ciliegi, oleandri, sintomatici e non, nel raggio di 100 metri da ogni ulivo infetto, in una fascia tagliafuoco di 10 chilometri di ampiezza a nord di Brindisi. Ma come il Fatto ha ricostruito, la prova che sia Xylella il killer degli ulivi non c’è ancora: gli studi fin qui condotti non danno certezze e non hanno superato il vaglio della comunità scientifica. Abbattere ulivi secolari patrimonio dell’Unesco potrebbe cancellare inutilmente una porzione del paesaggio pugliese. Le ricerche su Xylella sono state condotte da Cnr, Università “Aldo Moro”, Centro Basile Caramia, Iamb dell’area di Bari, con i consigli di due entomologi americani (Rodrigo Almeida, e Alexander Purcell) su alcuni aspetti metodologici. Nonostante l’emergenza, il resto della comunità scientifica italiana non è stata coinvolta. Cinque dei ricercatori impegnati sul caso sono sotto inchiesta da parte della Procura di Lecce per varie ipotesi di reato connesse al caso Xylella. Gli scienziati impegnati in Salento non hanno risposto alla richiesta di chiarimenti del Fatto. Anche esperti mondiali di Xylella e scienziati italiani non coinvolti nel caso, contattati dal Fatto, non hanno voluto rispondere.
“Le misure di contenimento dipendono da una corretta identificazione delle malattie e degli agenti che le causano,” spiega la Società americana di Fitopatologia (Aps) sul suo sito, in merito a epidemie nelle piante. Senza una diagnosi corretta, “qualunque misura può rivelarsi spreco di tempo e denaro e condurre alla perdita di ulteriori piante.” I sintomi dovuti all’insieme di più concause possono essere molto più gravi della somma dei singoli sintomi associati ad ogni patogeno. Studiarne uno solo – in questo caso Xylella – non dà la reale misura della situazione. I sintomi del CoDiRO sono attribuibili anche alla presenza di funghi, lepidotteri che scavano tunnel nel tronco anche di 10cm, o inquinanti nel suolo. Tutti elementi riscontrati in Salento, ma mai approfonditi.
L’ISOLAMENTO DEL BATTERIO
Per stabilire se un batterio causa una malattia, è necessario soddisfare sperimentalmente i quattro “postulati di Koch”. Il primo richiede che nel 100% delle piante malate debba esserci Xylella. Tra presenza del batterio e sintomi ci deve essere, cioè, una correlazione forte. Lo scorso giugno, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata a favore dei tagli sulla base dell’esistenza di tale correlazione, sentenziando che l’Ue ha facoltà di obbligare l’Italia a procedere con gli abbattimenti. Per stabilire se c’è correlazione, “la prima cosa da fare è isolare il batterio [cioè estrarlo] da tutte le piante sintomatiche e crescerlo in coltura,” in laboratorio, spiega Robert L. Gilbertson, patologo vegetale alla University California-Davis, Usa, membro della American Association for the Advancement of Science (AAAS). Secondo gli studi fin qui apparsi, la procedura non è stata condotta in modo sistematico sugli ulivi malati pugliesi. Per diagnosticare la presenza di Xylella si è preferito il test “Elisa”, che Gilbertson giudica il peggiore, “da non usare assolutamente nelle fasi iniziali della ricerca delle cause.” Elisa è poco sensibile e non permette di distinguere se il batterio nella pianta è vivo o già morto. “Se Xylella è vivo in ogni ulivo malato, la situazione è allarmante. Se non lo è, potrebbe voler dire che la pianta lo neutralizza da sola e non è serbatoio per l’epidemia”, spiega un esperto che vuole restare anonimo. È l’isolamento del batterio da ogni pianta malata che può fotografare la reale gravità della situazione. “Doveva essere già stato fatto”.
IL PROGETTO PILOTA E I POSTULATI DI KOCH
Ai ricercatori di Bari, l’Efsa – Autorità europea per la Sicurezza Alimentare incaricata di fornire pareri scientifici alla Commissione Ue – ha commissionato il “Progetto pilota su Xylella fastidiosa per ridurre le incertezze nella valutazione del rischio”, che chiedeva la verifica dei postulati di Koch. I risultati sono stati pubblicati in un report sul sito di Efsa a marzo 2016. Efsa scrive: “Xylella fastidiosa subspecie pauca è l’agente causale della malattia degli ulivi [pugliesi], poiché ha soddisfatto i postulati di Koch.” D’accordo anche l’Accademia dei Lincei italiana: “L’agente causale è Xylella fastidiosa, una conclusione non più discutibile,” si legge in un rapporto di maggio. Ma la certezza non c’è.
Nel progetto pilota non si parla del primo postulato di Koch. Né altri studi riportano i risultati percentuali di tutte le piante malate campionate in cui il test Elisa ha rilevato Xylella. Solo una relazione del 2015 del ministero dell’Agricoltura (Mipaaf) riporta i dati su 25.755 ulivi: 1.126 piante sintomatiche e 612 positive a Xylella (ma non è specificato se sane o malate). Cioè una correlazione tra batterio e sintomi al massimo del 50%. Lontano da quelle prossime al 100% che chiede il primo postulato di Koch. In più, quasi tutti i campionamenti sono avvenuti nella zona di contenimento e non nella zona già ampiamente infettata da Xylella, cioè quella dove ha senso accertare la validità del primo postulato.
“Xylella è un patogeno difficile da diagnosticare e isolare,” dice Rodrigo Almeida, entomologo all’Università di Berkley-California, Usa, esperto di Xylella. “Per campioni raccolti in campo da ricercatori poco addestrati [a lavorare con Xylella], una correlazione del 50% va più che bene,” spiega. Gilbertson avverte che “personale specializzato dovrebbe essere capace di isolare il batterio da ogni pianta malata. Per i tipici batteri delle piante con cui lavora, diversi da Xylella, “il primo postulato non può considerarsi soddisfatto con percentuali sotto l’80%.”
A differenza del caso italiano, studi condotti fuori dall’Italia sono riusciti a diagnosticare Xylella in quasi tutte le piante malate come chiede il primo postulato. In caso contrario, si è semplicemente concluso che la correlazione non c’era. Nel 1978, in una ricerca sulla malattia della vite causata da Xylella fastidiosa, Alexander Purcell (entomologo alla Università di Berkley-California, Usa) trovò una correlazione del 97,4% tra batterio e sintomi, su 116 viti malate. Nel 2014, Rodrigo Krugner (entomologo al Dipartimento di Agricoltura Americano, Usda) ha pubblicato uno studio su ulivi malati della California in cui si supponeva, come in Salento, che la malattia fosse causata da Xylella fastidiosa, ma di una sottospecie diversa da quella salentina. Su 198 campioni di ulivi sintomatici, riscontrò Xylella solo nel 17%, da cui concluse che “l’infezione non si correla ai sintomi della malattia.”
Per verificare il resto dei postulati di Koch, i ricercatori di Bari hanno iniettato un solo isolato di Xylella (cioè una coltura di batteri estratti da un unico ulivo malato) a 4 varietà di ulivo, per un totale di 50 piante, sia a temperatura controllata che a condizioni climatiche naturali, per vedere se avrebbero sviluppato sintomi. La percentuale di piante che alla fine si ammalano è decisiva. Più il campione è piccolo, come in questo caso, più deve essere alta. Per lo stesso esperimento, Krugner aveva utilizzato 4 diversi isolati di Xylella, inoculati, uno per pianta, in quasi 300 ulivi. Di cui solo il 7% sviluppò sintomi. Krugner concluse che non era Xylella la causa della malattia.
IL PRECEDENTE: IL CASO DELLA VITE
Nel progetto pilota finanziato da Efsa, dopo 14 mesi dall’iniezione di Xylella, su 35 ulivi ancora vivi, il 38% ha sviluppato sintomi. Nell’analogo esperimento effettuato esponendo le piante inoculate con Xylella all’estate e all’inverno pugliese, pochissime si sono infettate e solo 4 hanno mostrato sintomi, che non sono peggiorati nel tempo. A indicare, come commentano gli stessi autori dello studio, che il clima pugliese sfavorisce la progressione dell’infezione. Nello studio sulla malattia della vite, Purcell ottenne sintomi sull’86% delle viti inoculate col batterio, da cui dedusse che causava la malattia. I risultati sono stati pubblicati nel 1978 su Science, rivista scientifica tra le più prestigiose.
Per il progetto pilota, il dato più significativo è stato ottenuto sulla varietà di ulivo Cellina Nardò: 7 piante inoculate su 8 hanno sviluppato sintomi. Per la varietà Leccino, il 30%. Per la Coratina (tra le più diffuse in Puglia), nessuna. È dal dato sulla Cellina che gli autori concludono che Xylella causa la malattia negli ulivi salentini. E che il Leccino sembra resistente a Xylella. Per la Coratina non viene detto nulla del genere, anche se non ha sviluppato alcun sintomo, al contrario del Leccino (che i ricercatori di Bari suggeriscono di reimpiantare dopo gli abbattimenti per la sua resistenza a Xylella).
Nel parere scientifico di marzo, Efsa scrive che “tutte le varietà di ulivo hanno sviluppato i sintomi,” sebbene per la Coratina non sia così. Scrive anche che dagli studi di Krugner su Xylella “non sono emersi risultati conclusivi,” contrariamente a quanto affermato dall’autore nella sua ricerca. Almeida conferma: “Xylella non ha causato la malattia degli ulivi in California”, dove i sintomi degli ulivi erano gli stessi osservati in Salento.
Di dieci piantine inoculate con Xylella salentina nel progetto pilota, tutte si sono infettate, ma solo una si è ammalata. Secondo quanto scrive Almeida in un recente articolo per Science, il risultato sulle piantine indica che “la misura di contenimento più efficace [in Puglia] potrebbe essere quella di estirpare solo le piante sane intorno a quelle malate.” Ma ha senso parlare di estirpazione basandosi su una sola piantina sintomatica? “Sono i dati solo del primo studio,” risponde Almeida. “Da quanto ho capito ne sono stati prodotti altri.” Ma Almeida non indica quali.
Nel tipo di esperimenti come quelli del progetto pilota, è cruciale usare piante di controllo a cui iniettare solo acqua, da confrontare con quelle inoculate con Xylella. Serve a evitare i falsi positivi, visto che l’iniezione stessa può danneggiare la pianta e causare sintomi. Ma nel progetto pilota dei ricercatori di Bari, non è chiaro se questo controllo sia stato fatto. Efsa conclude che il progetto pilota dimostra che è Xylella causare il CoDiRO, cioè il disseccamento. Dello stesso parere, anche Almeida. Rodrigo Krugner, che ha studiato per anni gli effetti di Xylella fastidiosa sull’ulivo, preferisce non rispondere. “Non mi sento a mio agio nel commentare il progetto pilota,” dichiara al Fatto.
Non è con le opinioni, pure se autorevoli, che si stabilisce quando un risultato scientifico è valido e definitivo. Per farlo servono due controlli: il vaglio della peer review – il giudizio di esperti della materia, anonimi e indipendenti da chi esegue la ricerca e da chi la commissiona – e la riproducibilità dei risultati da parte di altri ricercatori indipendenti, anch’essi sottoposti a peer review. È la peer review a stabilire se uno studio è valido – quindi da pubblicare su riviste scientifiche internazionali – o da rigettare. L’agenzia europea Efsa non ha questo compito: deve solo fornire pareri scientifici alla Commissione Ue, ma non può decretare da sola, senza studi peer review e mai ripetuti, che un agente è causa di una malattia. Negli anni ’80, quando si cercava di capire cosa causasse l’Aids, nessuno si è sognato di chiedere ad un ente di consulenza scientifica del governo di stabilire se fosse il virus Hiv a causare la malattia. Gli esperti di Efsa hanno valutato il rischio di diffusione di Xylella sulla base del progetto pilota, ma ciò non ha nulla a che vedere con la peer review, come Efsa conferma al Fatto. Ad oggi i risultati del progetto pilota non sono apparsi in nessuna rivista internazionale. Affermare che “il nesso causale tra Xylella e malattia è stato stabilito,” come fanno l’entomologo americano Almeida, Efsa e perfino l’Accademia dei Lincei, appare dunque prematuro.
Le forzature degli standard nella ricerca scientifica possono generare casi come quello di Stamina. Davide Vannoni, fautore del metodo Stamina – un preparato a base di cellule staminali che prometteva di curare malattie rare – è riuscito a piegare le regole a tal punto che i pazienti pretendevano di essere “curati” senza che il metodo Stamina fosse mai stato sottoposto a validazione scientifica. Una situazione arginata solo dopo l’intervento della magistratura. Lo Stato italiano aveva perfino ordinato un esperimento sull’uomo del trattamento Stamina, chiesto a furor di popolo, fuori dalla peer review e ogni altra regola della scienza. Il metodo si è rivelato non solo inutile, ma pericoloso.
di Laura Margottini, il Fatto Quotidiano 11/8/2016