Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 10/8/2016, 10 agosto 2016
UN’ALLEANZA SQUILIBRATA A FAVORE DELLO ZAR
Se l’Occidente li isola, l’Oriente li unisce: ma questa rinnovata alleanza Erdogan-Putin forgiata a San Pietroburgo non è un rapporto tra pari.
E e non solo per le differenti dimensioni tra due ex Imperi che per secoli si sono fatti la guerra. Ancora prima del fallito golpe del 15 luglio, il leader turco aveva dovuto riallacciare le relazioni con Mosca e Israele riconoscendo di essere stato sconfitto sul campo di battaglia della Siria dove la Russia e l’Iran sono riusciti a tenere in sella Assad. Erdogan ha fatto calcoli sbagliati per cinque anni e svanite le sue ambizioni di moderno Sultano del Medio Oriente oggi si piega alla realpolitik.
Il Cremlino, sfruttando la crisi tra Ankara e l’Occidente, gli tende la mano per salvare la faccia, proponendo qualche soluzione più o meno onorevole che né gli Usa e tanto meno l’Europa gli hanno saputo offrire, pur avendo 24 basi Nato nel Paese, armi nucleari comprese, e lanciato una coalizione per una guerra al Califfato ancora inconcludente.
Insieme all’Iran e agli Hezbollah libanesi, Putin è il vincitore, per il momento, di un conflitto iniziato con le rivolte arabe nel 2011 e trasformatosi rapidamente in una tragica guerra per procura mentre Erdogan, che voleva essere il portabandiera del fronte sunnita con i finanziamenti sauditi e del Qatar ai jihadisti, ora rischia di vedere l’embrione di uno stato curdo ai suoi confini. La Turchia non ha rinunciato a reclamare l’uscita di scena di Assad ma se accetta lo stato di fatto la Russia può concedere ad Ankara una zona cuscinetto per mettere sotto controllo i curdi siriani alleati di quelli del Kurdistan turco in un fronte irredentista che aggiunge un’altra ipoteca a un Medio Oriente di stati falliti e in disgregazione.
Per Erdogan si tratta di evitare un incubo strategico che verrebbe vissuto come una tragedia nazionale e intaccare in maniera forse irrimediabile il suo potere. Più che golpisti e gulenisti, ormai associati ai terroristi come i curdi del Pkk, è questo scacco all’integrità della Turchia e delle frontiere che deve temere Erdogan: proprio lui che 100 anni dopo Sykes-Picot avrebbe voluto cambiarle per annettersi Aleppo e Mosul.
Mosca qualche segnale lo ha già inviato: la Russia ha sospeso la richiesta di vedere una rappresentanza dei curdi siriani, strenui combattenti anti-Isis, ai colloqui dell’Onu. Adesso tocca a Erdogan mettere il freno ai “suoi” jihadisti nella battaglia di Aleppo e intorno a Latakia e Tartous dove ci sono le basi russe.
Questa è la posta di San Pietroburgo dove si è parlato di soluzioni per la pace ma forse si è preparato anche il terreno a qualche nuovo conflitto mediorientale. Erdogan lotta per sopravvivere e rimediare gli effetti di una storica sconfitta, Putin per uscire dall’isolamento, manovrare un carta anti-Nato e mettere sotto pressione l’Occidente che lo tiene sotto sanzioni.
Ecco perché si è ricostituita la strana coppia di due uomini soli al comando che possono trovare accordi e cambiare alleanze in pochi giorni dopo avere litigato per mesi ed essersi insultati. È uno scenario dove prevalgono la ragion di stato e il personalismo, non proprio la democrazia.
Per capire a breve se questa tra Putin ed Erdogan sarà una vera alleanza o una manovra tattica, in cui ognuno cerca a suo modo di fare leva sull’Occidente, il vero test sarà quello dell’economia e in particolare il Turkish Stream, il progetto di gasdotto russo per aggirare l’Ucraina. Il leader turco ha promesso che verrà avviato, gli americani lo avevano bloccato un anno fa affermando «che la Russia si serve del gas come di un’arma puntata contro l’Europa». Putin può sedurre la Turchia, pivot orientale della Nato, con offerte allettanti: oggi il giro d’affari bilaterali è di 30 miliardi dollari, potrebbe raggiungere i 100 nel 2020.
Ma Erdogan sa benissimo che ha potuto sedersi al tavolo di gioco a San Pietroburgo e permettersi di andare a “vedere” le carte di Putin, negoziando anche sulla Siria, proprio perché ha alle spalle Usa, Nato ed Europa, l’area da dove viene il suo peso strategico ed economico. Nel fare il pendolo Est-Ovest non può sbagliare.
Certo è chiaro che l’affidabilità della Turchia come alleato strategico dell’Occidente non è più scontata. Un Paese in apparenza amico ma anche intriso di animosità verso gli Usa (il caso Gulen) e l’Europa (accordo sull’immigrazione, visti ai turchi, legge antiterrorismo, pena capitale).
Ma chi sono oggi i veri alleati? Anche l’Italia nel caso libico ha avuto qualche prova lacerante di quanto a volte gli alleati siano più concorrenti spietati che amici. Legami un tempo inossidabili appaiono incerti e si fanno accordi di interesse soggetti a improvvisi cambiamenti. La strana coppia Putin-Erdogan è il simbolo, non tranquillizzante, dei nostri tempi.