Aldo Grasso, Corriere della Sera 10/8/2016, 10 agosto 2016
Martedì Rai Movie ha riproposto il film Catene di Raffaello Matarazzo. Dietro a una trama abbastanza tradizionale (un vecchio amante si rifà vivo e mette in crisi una coppia felice, tutta dedita al lavoro e ai figli) si nasconde uno dei casi più interessanti del cinema italiano
Martedì Rai Movie ha riproposto il film Catene di Raffaello Matarazzo. Dietro a una trama abbastanza tradizionale (un vecchio amante si rifà vivo e mette in crisi una coppia felice, tutta dedita al lavoro e ai figli) si nasconde uno dei casi più interessanti del cinema italiano. Nel corso della stagione cinematografica 1949-50 Catene si classificò al primo posto al botteghino con 735 milioni d’incasso (il biglietto costava lire 95,8). Tutto ciò nonostante la valutazione del Centro Cinematografico Cattolico che ne inibiva la proiezione nelle sale parrocchiali con questa motivazione: «L’impostazione della vicenda è moralmente errata, giacché si fa apparire lecita l’iniziativa del difensore, che spinge una donna onesta, moglie e madre, ad asserire il falso, dichiarandosi pubblicamente adultera. Si nota ancora nel film, che comprende scene deplorevoli, una certa tendenza al fatalismo. Il lavoro risulta moralmente negativo: la visione è esclusa per tutti». Negli anni 70 il caso Matarazzo è esploso: la sua complessa scrittura venne contrapposta alla piattezza di molti film di impegno civile dell’epoca e si aprì, come si dice, un interessante dibattito. Ancora valido oggi, se si pensa che la poetica «matarazziana» e la sua finezza nel raccontare i sentimenti potrebbero tornare utili per certe riproposte all’insegna del melodramma. E invece, specie nella cultura televisiva italiana, Matarazzo è diventato sinonimo di «teleromanzone», di eccesso di sentimentalismo, di grossolanità narrativa. Come ha scritto Stefano Della Casa sulla Treccani Cinema, Matarazzo «riesce a fondere insieme l’estetica del neorealismo (il film, girato in esterni, descrive comunque il mondo dove la gente lavora per vivere) con la grande tradizione del melodramma italiano, contaminando questo con il realismo delle ambientazioni e uscendo da soggetti che fino a quel momento erano tratti più dalla librettistica d’opera che dalla vita quotidiana».