Sara Faillaci, Vanity Fair 9/8/2016, 9 agosto 2016
CIAO AMICA (TULLIO SOLENGHI RICORDA ANNA MARCHESINI) – La prima volta che la vidi mi colpì il suo corpo sinuoso
CIAO AMICA (TULLIO SOLENGHI RICORDA ANNA MARCHESINI) – La prima volta che la vidi mi colpì il suo corpo sinuoso. Si sedette in sala prove e cominciò a leggere: un talento comico mai sentito. Tanto che pensai: “Ma questa dove è stata finora?”». Era il 1981, Tullio Solenghi preparava un varietà per Radio Svizzera quando conobbe Anna Marchesini. Da lì, nel giro di un anno, sarebbe nato uno dei sodalizi artistici più longevi e prolifici, il Trio, composto da loro due e da Massimo Lopez. Il momento di maggior popolarità lo raggiunsero in Tv con Tastomatto, gli sketch a Domenica in e in tre edizioni del Festival di Sanremo (’86, ’87, ’89). Il culmine arrivò con la parodia dei Promessi Sposi, che fece 14 milioni di spettatori e che ancora oggi è considerato un cult. Poi la separazione per seguire carriere individuali, con un’unica reunion, nel 2008, in occasione dello special show su Raiuno Non c’è più la mezza stagione. Solenghi, di chi fu l’idea di fondare il Trio? «In quella sala prove vidi che Anna aveva un modo di improvvisare in sintonia con il mio ideale dell’attore comico. Quel varietà non era granché, quindi la salutai con la promessa che se avessi avuto un bel progetto l’avrei richiamata. Accadde un anno dopo, quando mi diedero una trasmissione tutta mia su Radio2, Helzapoppin. Le scrissi una lettera – all’epoca non c’erano le mail – e lei accettò, portandosi dietro anche Massimo Lopez, con cui faceva doppiaggio e, mi disse lei, aveva talento nel fare suoni e imitazioni. Così è nato il Trio, dove però abbiamo sempre mantenuto le nostre identità». Prima parlava del suo corpo sinuoso, ma spesso Anna lo nascondeva. «Non era per pudore: la sua ironia era tale da farla giocare anche con la sua bellezza. Anna poteva essere sexy con i suoi accavallamenti di gambe, e un attimo dopo essere la strega di Biancaneve, perché la sua comicità stava proprio nell’abilità di stravolgere tutto in un nanosecondo. Dopo Franca Valeri, solo Anna ha avuto quella stessa bravura e capacità di scrittura. È difficile che un’attrice guidi se stessa, che abbia una personalità così forte». Chi era Anna dietro le quinte del Trio? «Era quella che ci spingeva all’impegno, non era mai abbastanza. I testi li scrivevamo insieme: dal libero cazzeggio nascevano idee che poi dovevano prendere forma sulla carta, il passaggio più difficile insieme ai finali. Le cose del Trio dovevano avere il nostro consenso unanime, questo ci ha fatto buttare via valanghe di materiale, ma ha garantito la qualità del nostro lavoro». E com’era, invece, nella vita? «Molto divertente ma anche molto complicata. Se le offrivano l’autostrada a sei corsie, lei sceglieva il sentiero di montagna. E questo ha un prezzo. Si è sempre sottoposta a un rigore e a una disciplina a volte non necessari. Un giorno lavoravamo solo noi due, nella sua bella casa di Roma in Porta Pia che aveva comprato da poco; dopo cinque ore passate sul pavimento perché non era stata in grado di scegliere il divano – ne aveva fatto portare su e giù dall’ultimo piano già una mezza dozzina – le dico: “Prendiamoci un’ora di libertà”. Lei mi guarda e dice: “Sei hai la coscienza tranquilla fai pure”. Oppure, quando scriveva un libro, era capace di passare nottate su una sola pagina. Ha sempre percorso la via più difficile alla ricerca dell’eccellenza. Sarebbe potuta rimanere senza lavoro per tutti i no che ha detto: ogni tanto penso che se non avesse incontrato me e Massimo non sarebbe mai arrivata al grande pubblico. Con noi invece scattò la magia che le fece abbassare la guardia e fare scelte che non avrebbe mai fatto». Perché in seguito decideste di seguire strade diverse? «Abbiamo vissuto in simbiosi per 12 anni, la vita in tournée è lunghissima, e le nostre per fortuna sono state interminabili. Sapevamo che un giorno sarebbe finita, e concordavamo nel farlo prima di una fase calante. Detto questo, quando Massimo accelerò quella decisione, io e Anna ci rimanemmo male, avremmo voluto che durasse ancora un po’. Soprattutto avremmo voluto fare il film, un progetto che non si realizzò: ci fu chi, come Cecchi Gori, brindò con noi e poi sparì. A parte questo rimpianto, siamo sempre rimasti amici. Ci vedevamo meno, ma era come se ci fossimo visti il giorno prima. Questo anche l’ultima volta, poco prima che ci lasciasse». Che amica era? «Discreta ma affettuosissima. Le mie figlie la amavano molto, con i piccoli aveva un dialogo meraviglioso. Quando le bambine venivano a trovarmi in teatro finivano sempre nel camerino di Anna, che le truccava e le vestiva; una zia un po’ matta, un po’ maga. Quando, con la nascita di Virginia, è diventata mamma anche lei, io e Massimo siamo stati zii allo stesso modo. So che a Virginia, che si è appena laureata, la madre mancherà moltissimo, ma ha una famiglia sulla quale potrà sempre contare, noi compresi». Era soddisfatta della sua vita? «In lei c’erano due aspetti: quello privato, che le ha dato anche molta sofferenza, e quello professionale, che è sempre stato esaltante. Oltre ai successi del Trio e dei suoi libri, Anna era considerata un modello da imitare; insegnava anche all’Accademia Silvio D’Amico e i suoi studenti la adoravano. Con il lavoro esorcizzava i dolori». Litigavate spesso? «Sì, avevamo caratteri opposti. Ma erano più battibecchi. Ricordo una sera a Milano, andai a prenderla in macchina sotto casa per recarci alle prove, c’era una nevicata clamorosa e lei non scendeva mai. Quando finalmente entrò in auto le dissi di tutto, rappresentava lo stereotipo della donna che si fa attendere. Lei si infuriò, e intanto la macchina procedeva a sobbalzi sempre più sepolta dalla neve. Al quarto sobbalzo ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. Sento ancora l’eco di quella risata».