Alberto Piccinini, Linus 8/2016, 9 agosto 2016
AVVISTAMENTI DI UN UFO SEXO OVVERO SERGE GAINSBOURG RIFATTO DA MICK HARVEY. MA PURE DA TONY SANTAGATA
Si possono tradurre in un’altra lingua le canzoni di Serge Gainsbourg? E cantarle, poi? Diciamo di sì. Bastano un vocabolario, 10 stecche di Gitanes e un accendino. Quest’ultima è la parte più difficile del lavoro. Un libro recente, Orgasmo Song di Fabio Casagrande Napolin – gran lettura per l’estate per chi ama il collezionismo folle – ci informa che la proibitissima Je t’aime... moi non plus ha avuto più di 200 versioni dal 1969 a oggi. In queste traduzioni il testo veniva cambiato, ma solo per sfuggire la censura che perversamente contribuì al successo planetario del disco.
Poteva accadere quindi che Anna Proclemer sussurrasse con credibile trasporto «lo ti amo» alla buonanima di Giorgio Albertazzi – suo fidanzato anche nella vita. E lui: «io di piu», tradendo completamente il provocatorio cinismo dell’originale che diceva «moi non plus». Una delle traduzioni più clamorose però la fece Toni Santagata, nelle serate di cabaret al Derby Club di Milano. A un certo punto dello spettacolo raccontava di come il famoso disco francese che si sentiva dappertutto («anche dagli altoparlanti dell’Azione Cattolica...») avesse stravolto la vita di mogli e mariti in un paesino pugliese. Dalla regia un giovanissimo Diego Abatantuono faceva partire la base e con la voce di Santagata una Mari sussurrava al suo Peppì: «io sono la spiaggia di Manfredonia... tu sei il promontorio del Gargano» («tu es la vague/ moi l’île nue»). Anni dopo uscì pure un disco: Ufo Sexo. Un mezzo capolavoro.
Da una ventina d’anni Mick Harvey, che è stato uno dei collaboratori più stretti di Nick Cave, lavora a un ossessivo progetto di traduzione in inglese delle canzoni di Serge Gainsbourg. I suoi album Intoxicated Man e Pink Elephants, usciti rispettivamente nel 1995 e nel 1997, sono stati ristampati nel 2014. Qui era «I Love You... Nor Do I», nella versione fedelmente tradotta da Harvey e cantata dai due ex fidanzati Nick Cave e Anita Lane. A questi si aggiunge ora Delirium Tremens, e un nuovo volume già annunciato per la fine dell’anno. Le nuove versioni pescano con apparente disordine ma con grande rispetto filologico nell’immenso canzoniere di Gainsbourg: il jazz esistenzialista di Ce mortel ennui diventa Deadly Tedium, il prog orchestrale di L’homme à tête de chou diventa The Man with the Cabbage Head e così via.
Gainsbourg ha suonato di tutto nella sua carriera, dal jazz al reggae, al rock, la sua musica è una specie di specchio deformante della storia della musica popolare che gli girava intorno, un universo alternativo del rock e del pop d’epoca. Il suo era un fascino antirock e molto intellettuale, sottilmente postpunk. «Sarei stato punk anch’io – diceva, anzi – se non avessi avuto da giovane Dada, Breton, e La nausea di Sartre». Perciò, giovani punk australiani alla fine degli anni 70, Cave, Harvey e gli altri avevano elaborato la loro estetica a partire dal fascino di alcuni grandi neodandy: Serge Gainsbourg, Johnny Cash, Scott Walker, Lee Hazelwood, Léonard Cohen.
Avevano tutti voci baritonali, sprezzanti e fuori moda naturalmente. Facevano prediche da Savonarola in un universo di hippy e fighetti, ragazzini e innamorati, di hit parade alla radio e jingle pubblicitari ottimisti. Diventarono dei padri, dei modelli di stile, il codice segreto per segnare anche il proprio dandismo. Oddio, anni ne sono passati un bel po’ da allora. Passato alla storia è anche quell’inizio di estetica vintage, o di retromania, che ha finito per buttarci nelle braccia dei vecchi collezionisti pazzi ad apprezzare un vecchio 45 giri di Toni Santagata. “Perché fai ancora Gainsbourg?“ chiedono adesso a Mick Harvey. Perché è divertente, risponde lui. OK. Ci sto.