Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 07 Domenica calendario

DUMPTRUMP, LA LOVE STORY CON LO ZAR PUÒ COSTARE CARA

Alla fine Donald Trump ha fatto la frittata d’agosto. Nel mese in cui gli americani dimenticano le presidenziali per concentrarsi sulle vacanze, sulle Olimpiadi e sui saldi, possono andare in scena rovesci fatali, anche per un candidato apparentemente ben posizionato. Ciò che Hillary Clinton non è riuscita a concretizzare alla Convention di Filadelfia, ovvero un’ondata di simpatia nei suoi confronti, è stato provocato dalle turbolenze dell’avversario. Un boomerang che ha aperto una voragine di 7 punti nei sondaggi, che sottolinea come in questa occasione qualcosa di grosso si sia mosso nei gusti dell’elettorato. Con scarso discernimento politico, Trump ha infatti violato uno dei santuari dell’immaginario americano: coi suoi attacchi inconsulti, i tweet al fiele e le risposte situazioniste in sede d’intervista (col navigato George Stephanopoulos della Abc, ex-membro dello staff di Bill Clinton), Trump ha inspiegabilmente infangato l’eroismo dei caduti americani in guerra, nella fattispecie la memoria del capitano Humayun Khan, morto a Baghdad 12 anni fa.
I genitoridel militare, due stimabili immigrati musulmani segnati dal dolore della perdita, sono stati invitati a parlare alla Convention democratica per offrire una testimonianza di nobiltà e umanità tra i membri della religione messa indistintamente sotto attacco dalle sparate di Trump. La loro partecipazione è stata misurata e commovente: Khizr Khan, brandendo la Costituzione Americana, ha spiegato l’estremo sacrificio di perdere un figlio nel nome della loro nuova patria.
La mamma Ghazala si è limitata a presenziare in silenzio alle parole del consorte. Ma l’evento ha scatenato la ferocia di Trump, in particolare contro la presenza muta della signora Khan. E le repliche sono state frecce nel costato di Donald: “Il signor Trump dice che mi avrebbe voluto sentir parlare. Io credo che la mia testimonianza fosse nello stare là in silenzio. Chiunque ha percepito il dolore di madre che porto nel cuore. Io sono una mamma Gold Star”, ha detto Ghazala, evocando la stella d’oro che il governo Usa concede alle madri dei caduti in guerra. Il disastro era fatto: un’aggressione immotivata non solo verso due cittadini qualsiasi, ma nei confronti della pena di una mamma, offuscando il sacrificio d’un militare in difesa della patria. Una miscela fatale, iscrivibile ai peggiori errori mediatici nella storia delle elezioni. Aggravata allorché, per rintuzzare il rimprovero rivoltogli da Khizr Khan (“E’ un uomo che non ha mai sacrificato niente e nessuno”), Trump ha replicato con un’altra delle sue invenzioni: “Io ho fatto un sacco di sacrifici. Ho creato migliaia di posti di lavoro, ho costruito grandi strutture, ho avuto un successo formidabile”. “Questi sarebbero sacrifici?” gli ha chiesto l’intervistatore.
“Sicuro. Io li vedo come sacrifici”. Se si pensa che la restaurazione del patriottismo è stato l’argomento alla base della sua candidatura, s’intuisce la dimensione del guaio. Al quale, per gettare benzina sul fuoco, si sommano le imprudenti attestazioni di simpatia appena pronunciate da Trump nei confronti di Putin: solo il 7 percento degli americani giudica favorevolmente Putin e il 35 percento assicura che non voterà un candidato amico della Russia. Gli anziani arrabbiati che hanno generato la candidatura Trump, sentono ancora il sapore della Guerra Fredda. “L’America che torna a essere grande” sbandierata dalla campagna di Ronald Reagan non si sarebbe mai sognata di fare dichiarazioni del genere. Dunque, per demerito dell’avversario, Hillary torna a volare e i suoi jab cominciano a colpire al volto Donald: tanto per cominciare i dubbi sulla legittimità del visto di lavoro ottenuto nel 1995 da Melanija Knavs, la consorte slovena di Trump, all’arrivo negli Stati Uniti. E agosto potrebbe diventare il più crudele dei mesi per il miliardario prestato alla politica.
Solo come mai primaa meno di non tenere conto dell’endorsement pronunciato dal vecchio Clint Eastwood, che non fa che confermare che è soprattutto la recalcitrante America al tramonto quella che sospinge la sua candidatura. Perfino il compagno di ticket, Mike Pence, lo smentisce, pronunciando il sostegno elettorale alle campagne di John McCain e di Paul D. Ryan, prima negato da Trump e poi riaccordato precipitosamente, nel nome di una unità del partito lontanissima da venire. McCain nel frattempo aveva già consumato la vendetta: “Il via libera che ottenuto dal partito non lo autorizza a diffamare i migliori tra noi”. Ovvero: non si tocca l’onore militare. Tanto più se si è stati riformati cinque volte alla leva per evitare il Vietnam. La divisa è sacra: ne sa qualcosa John Kerry, candidato democratico anti-Bush che, in un agosto rovente come questo, vide la sua candidatura spazzata via da un altro scandalo in mimetica, ossia le balle raccontate quanto al suo servizio sui battelli d’assalto. E ora Trump si lecca le ferite: in tempo per i decisivi dibattiti con Hillary in tivù, dovrà elaborare giustificazioni, argomenti e scuse. Non sarà per niente facile.
Stefano Pistolini, il Fatto Quotidiano 7/8/2016