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 2016  agosto 06 Sabato calendario

GENERAZIONE ROVAZZI: NIENTE RIBELLIONI, BEVIAMO SOLO ACQUA

Pare quasi di vederli, incolonnati “col trattore in tangenziale” senza neppure l’età per la patente, ma tanto si va a venti all’ora. Fieramente astemi, ripudiano le canne e vanno in ciabatte nei locali, dove perdono la trebisonda solo di fronte a un particolare boom elettronico che li fa muovere come simpaticissimi zombie.
Eccoli, quelli della “Generazione Rovazzi”: si sono mobilitati grazie ad Andiamo a comandare, l’ultra-tormentone estivo entrato nella piccola storia della musica italiana in qualità di primo brano ad aver conquistato il disco d’oro con l’esclusivo veicolo dello streaming. Quanti sono questi nerd nostrani? A contare le visualizzazioni del pezzo su YouTube, potrebbero superare i 45 milioni. Una nazione intera di adolescenti cazzoni e innocui, giocherelloni e bauscia, fratelli minori dei Soliti Idioti e della loro demenzialità da cinepanettone.
Il loro leader maximo è un “non-cantante” (così si autodefinisce, scusandosi con le star che ha sorpassato in classifica): il 22enne videomaker di Lambrate Fabio Rovazzi, per il quale i due satanassi J-Ax e Fedez hanno costruito un’immagine da pseudo-sfigato che – per paradosso – è l’arma vincente per costruire consenso e identificazione tra i giovanissimi di oggi. Che in Italia come all’estero sembrano ormai aver accettato la loro condizione di non-ribelli senza una causa.
Si dirà: ma non stiamo lì a menarla con la sociologia spicciola di fronte a un pezzullo pop irresistibile e ballabile, che va giù liscio come l’acqua minerale decantata dallo stesso Rovazzi al posto degli insidiosi shottini da disco-addicted. Giusto: perché riflettere ponderosamente su Andiamo a comandare trent’anni dopo le nequizie pop di Vamos a la plaja, dopo le ammucchiate danzerecce sulle spiagge a suon di macarena o con le mossettine inconsulte di Asereje?
Semplice: perché la Generazione Rovazzi è la prima ad essersi autodisinnescata del tutto dalla necessità della tragressione. Il loro manifesto parla chiaro: il passo più lungo oltre la comfort zone delle regole è farsi “selfie mossi alla Guè Pequeno”, altro che sex, drugs & rock’n’roll.
E così, in modo evidentemente inconsapevole, i rovazziani mandano allegramente in soffitta tutto quell’arsenale emotivo che era stato usato dai loro padri e nonni per sparare in faccia alle convenzioni sociali, familiari, politiche.
Il bacino eroticamente provocatorio di Elvis? Ciarpame da secondo dopoguerra. Gli Who che gridavano “spero di morire prima di diventare vecchio”? Scriteriati nichilisti. Il punk dei Sex Pistols? Frastuono per spostati votati all’autolesionismo. Il grunge dei Nirvana? Roba da tagliarsi le vene. Paragoni azzardosi? Certo, ma è un fatto che l’annacquamento ideologico del pop di questo ultimo decennio abbia spazzato via definitivamente la vertiginosa tensione che legava gli eroi del pantheon del rock ai loro seguaci.
Oggi i rovazziani vivono su un altro pianeta, dove non è neppure detto che occorra intossicarsi sullo schermo di uno smartphone per sentirsi uno del giro giusto. Né che si debba rischiare la pelle facendo le pinne in scooter per agganciare la tipa giusta. Con questo poppettino si va sul Massey-Ferguson a passo d’uomo, non si è insidiati dallo choc etilico, si vive serenamente la propria tenera sfigaggine, le mamme dormono sonni tranquilli e l’unico che continua a farsi le canne è il vecchio J-Ax, mentre Fedez posta le foto del suo sontuoso nuovo attico al CityLife di Milano.
Tutti contenti, insomma. Perché l’importante, soprattutto d’estate, è tenere in alto i cuori degli adolescenti già scippati di una bella fetta di sogni e progetti. In questo scenario, Rovazzi è perfetto. Un capo carismatico per le truppe da addestrare nel cazzeggio a gradazione zero, il profeta dell’evoluzione del suono pneumatico ad uso dei quattordicenni. Già inamovibile, nel ruolo. Almeno fino al prossimo fuoriuscito Youtuber. Che potrebbe essere Leonardo Decarli: ha appena pubblicato online Non voglio l’estate ed è una webstar seguitisssima per i suoi video (“stupidissimi”, assicura lui stesso) e per le sue “facce da castoro”. Amen.
Stefano Mannucci, il Fatto Quotidiano 6/8/2016