Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 6/8/2016, 6 agosto 2016
TUTTI I BUCHI DEL FANTOMATICO PIANO PER MONTE DEI PASCHI
Cosa si sa del piano per salvare Monte dei Paschi? La risposta paradossale è: poco e niente. Quanto ricostruito dal Fatto Quotidiano, ad esempio, è assai lontano dal “tutto a posto” comunicato dal governo e accettato senza troppi problemi dagli organi di vigilanza. Prima di inoltrarci nei dettagli, un breve riassunto. Mps, che continua a perdere in Borsa anche dopo l’arrivo della cavalleria, non è messa bene: nonostante due aumenti di capitale da 8 miliardi totali in due anni – più la conversione in azioni di 240 milioni di “Monti bond” – in Borsa “vale” 800 milioni. Ora servono altri 5 miliardi per un piano industriale assai ottimista: gli azionisti sono già tra le vittime.
Genesi Matteo Renzi voleva dare la banca a Jp Morgan: una soluzione prospettata dal Ceo Jamie Dimon in un pranzo a Palazzo Chigi il 6 luglio. Problema: si trattava di svendere agli americani la terza banca italiana. Pier Carlo Padoan e Ignazio Visco glielo hanno di fatto impedito. Ne è venuto fuori l’accrocchio che vediamo: un’operazione che, se va bene, sposta il redde rationem di sei mesi, cioè a dopo il referendum costituzionale.
Le pie intenzioni Le sofferenze di Mps (crediti inesigibili) sono 27,7 miliardi in tutto, svalutate a bilancio a 10 miliardi. Per il mercato, però, valgono anche meno. E qui arriva il piano: ora quei crediti verranno comprati – a un prezzo medio del 33% – da una società ad hoc. Questo comporterà una svalutazione per il Monte di circa un miliardo che, unita al nuovo capitale chiesto dalla Bce, porta l’aumento di cui la banca ha bisogno a 5 miliardi: li cercherà sul mercato, una volta ripulita dai crediti marci. Garantisce un consorzio di 8 istituti messo in piedi da Jp Morgan.
Vendita Le sofferenze sono state divise in tre tranche, che a loro volta andranno divise in pacchetti (cartolarizzate): il 65% sono dette senior e – se due agenzie gli daranno un alto rating – avranno la garanzia statale (Gacs). A pagamento. Sono le “migliori” perché hanno immobili o altro in garanzia del prestito: sui guadagni attesi dal realizzo delle garanzie, verranno emessi bond per gli investitori istituzionali. I soldi per partire arrivano da un “prestito ponte” di sei mesi di Jp Morgan e soci. Il 18% delle sofferenze sono invece di qualità inferiore, le mezzanine, e toccano ad Atlante: non hanno garanzia. L’ultimo 17% sono junior, pessima qualità: se le devono comprare i soci Mps.
Cosa non torna/1 Quale sarà il prezzo reale delle sofferenze? Fonti qualificate dicono al Fatto che alla fine si starà attorno al 22%: dire, infatti, che il 65% delle sofferenze Mps sono di qualità senior è un’operazione fatta a tavolino per avere la copertura statale sull’intero prestito di Jp Morgan. A pagare, visto il meccanismo delle Gacs, saranno mezzanine e junior, che non hanno garanzia: le perdite saranno divise tra i soci di Mps e di Atlante. Misteriosamente, a spingere per questa operazione è stato Claudio Costamagna, che il premier ha piazzato a capo di Cassa depositi e prestiti, che è tra i soci di Atlante. Il presidente di Mps, Massimo Tononi – sia detto en passant – lavorava per Costamagna in Goldman Sachs.
Cosa non torna/2 La cosa curiosa è che Jp Morgan in questa operazione non rischia niente. Il prestito ponte finanzia solo l’acquisto di sofferenze con garanzia statale. Non solo: a quanto risulta a fonti del Tesoro, la banca Usa ha “infilato” sotto al prestito-ponte un’operazione di hedging, in sostanza un derivato che assicura potenziali perdite e regola i flussi di cassa verso Mps.
Cosa non torna/3 Le banche del consorzio, Jp Morgan in testa, rischiano poco e incassano molto in commissioni: lo 0,3% dell’importo più lo 0,1 per ogni operazione. Più le consulenze e gli interessi sul prestito ponte. All’ingrosso dal mezzo miliardo a salire.
Cosa non torna/4 Fonspa, già Credito fondiario – venduto da Morgan Stanley nel 2013 alla Tages di Panfilo Tarantelli (nel cda c’è Lorenzo Bini Smaghi, banchiere amico di Renzi) – fornirà i servizi di master servicing: sul mercato c’è perplessità perché Fonspa è giudicata piccola per gestire la più grande cartolarizzazione del settore privato italiano. Fu Fonspa, peraltro, ad acquistare – 5 giorni prima del decreto Etruria & C. – un pacchetto di sofferenze della banca cara ai Boschi pagate il 14,7% del valore: da allora quello, per Bruxelles, è più o meno il “prezzo di mercato” dei crediti marci in Italia.
Cosa non torna/5 A quanto risulta Standard & Poor’s, agenzia specializzata , ha declinato l’invito a fornire un rating ai crediti Mps. Ficht dovrebbe seguirla. Per avere le Gacs, però, serve il parere di due agenzie di rating: restano Moody’s e la piccola canadese Dbrs, che non ha mai fatto cartolarizzazioni di questo livello.
Cosa non torna/6 L’accordo è che l’aumento di capitale da 5 miliardi non si tenga prima del 2017: le banche del consorzio vogliono prima vedere come va con le sofferenze. Non solo: non tutto l’importo e non in tutti i casi è garantito dal consorzio Jp Morgan, Mediobanca etc. I dettagli tecnici dell’“accrocchio”, peraltro, non sono neanche definiti. Cosa ha approvato la Bce? Su che basi investono Cdp o le Casse previdenziali?
E dopo? Se l’accrocchio regge sei mesi, il redde rationem arriverà sull’aumento di capitale. A quel punto, se si vuole evitare il bail in, servirà l’intervento statale. E parliamo solo di Mps, non delle altre falle del “solido” (Padoan) sistema del credito italiano. Per questo sulla stampa ogni tanto viene fuori il Fondo Esm (Salva-Stati) come possibile “soluzione di sistema”: significa invitare la Troika in Italia. È questa la partita che si gioca attorno al Monte dei Paschi.
di Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 6/8/2016