Barbara Cataldi, il Fatto Quotidiano 8/8/2016, 8 agosto 2016
MEDICINALI, LIBERALIZZAZIONE? IL REGALO DEL PD A BIG PHARMA
Nell’era dei consumi asfittici c’è un prodotto che non conosce crisi: il farmaco. Risparmiamo su tutto, sull’ombrellone, sulla spesa al supermercato, sul telefonino, ma non sulla salute. L’anno scorso abbiamo sborsato 476 euro per ogni componente della famiglia, tra ticket farmaceutici e medicinali di fascia A e C (dati Aifa). Di tasca nostra abbiamo speso 8 miliardi e 380 milioni di euro, + 2,9% rispetto all’anno precedente. E se a quello che abbiamo pagato da consumatori si aggiunge quello che abbiamo versato come contribuenti allo Stato, la spesa farmaceutica nazionale arriva a 28,9 miliardi di euro, facendo segnare uno straordinario + 8,6% sul 2014. Ma si vede che per Big Pharma non è ancora abbastanza, visto che attualmente una parte consistente dei consumi legati alla salute ancora le sfugge: quella delle farmacie. Così in Parlamento la maggioranza sta preparando un regalo senza precedenti alle società di capitali interessate.
Con il ddl concorrenza, in discussione nelle scorse settimane in Senato, c’è in ballo un dono da più di 25 miliardi all’anno (tanto è il fatturato delle farmacie italiane) alle multinazionali del farmaco e ai signori delle cliniche private. Gli unici a poter entrare nel sistema con tanta liquidità e molti interessi. In barba a tutte le regole del mercato e della concorrenza. Il disegno di legge, che dopo la pausa estiva dovrebbe arrivare in Aula per l’approvazione, infatti, prevede all’articolo 48 l’ingresso delle società di capitali nella oltre 18.200 farmacie italiane, in minima parte pubbliche, e per lo più di proprietà di singoli farmacisti o di società composte da loro, gli unici a poter vendere ai consumatori i farmaci. Nell’ultimo passaggio in commissione Industria, dopo molte critiche e un’accesa discussione, è stata approvata un’unica debole correzione: l’emendamento proposto dai senatori Tomaselli del Pd e Marino di Ap che prevede un tetto del 20%. Questo vuol dire che se il testo non verrà modificato, le società di capitali potranno controllare in forma diretta o indiretta “non più del 20% delle farmacie della medesima regione o provincia autonoma”.
Le conseguenze potrebbero essere disastrose. In questo modo, infatti, 5 company potrebbero arrivare a gestire 3.600 farmacie a testa. Oggi, invece, per evitare concentrazioni ogni farmacista può essere proprietario al massimo di 4 farmacie attraverso società create insieme ad altri colleghi. Se il ddl venisse approvato così com’è, sarebbe più facile per pochi soggetti accordarsi sulla politica dei prezzi e spartirsi le decine di miliardi a disposizione, controllando dall’inizio alla fine due delle filiere più ricche al mondo: quella del farmaco e quella della cura del malato.
“In commissione per arginare i rischi ho proposto un subemendamento all’emendamento in questione”, racconta al Fatto Quotidiano il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri, senatore del gruppo Conservatori e Riformisti e vicepresidente dell’Ordine dei farmacisti. “Ho proposto di inserire dopo le parole ‘possono controllare’ l’avverbio ‘complessivamente’”, precisa, “in questo modo solo il 20% di tutte le farmacie di una regione potrebbe essere acquistato da società di capitali, per le altre resterebbero in vigore le regole attuali”. E aggiunge: “Molti lo hanno capito solo dopo aver votato contro. Spero che in Aula, quando ripresenterò la correzione del testo, i colleghi del Pd come Boemi, che hanno detto di essere d’accordo e sono in tanti, voteranno con me. Questa legge, anziché generare la liberalizzazione del mercato lo ingessa”.
Siamo lontani ere geologiche da quando 10 anni fa Bersani a capo del ministero dello Sviluppo economico provò a rivoluzionare il settore portando fuori dalle farmacie i farmaci senza prescrizione e da banco, e tentando di liberalizzare anche la vendita dei farmaci di fascia C senza riuscirci. Da allora poco è cambiato: il ministro delle lenzuolate è diventato la minoranza del Pd di Renzi; farmaci di fascia C, quelli con prescrizione medica ma a carico del cittadino, continuano a essere venduti solo in farmacia; il numero delle farmacie in Italia continua a crescere molto lentamente; e le migliaia di parafarmacie aperte negli anni scorsi sono scomparse altrettanto velocemente. In farmacia, però, gli italiani continuano ad andare, anche per comprare prodotti omeopatici, per l’automedicazione, shampoo e creme. Nel 2015, tra i farmaci a carico dello Stato, quelli pagati di tasca propria e tutto il resto, per ogni italiano le farmacie hanno incassato 425 euro (+1,4%): 255 euro per medicinali con prescrizione, 170 per prodotti che si possono trovare anche in parafarmacia, profumeria o al supermercato.
Forse più che di capitale, ci sarebbe bisogno di nuove aperture visto che nella maggior parte dei paesi europei di farmacie ce ne sono molte più che da noi.
Barbara Cataldi, il Fatto Quotidiano 8/8/2016