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 2016  agosto 08 Lunedì calendario

ARTICOLI SU ELISA LONGO BORGHINI – MAURIZIO CORSETTI, LA REPUBBLICA 8/8 Come mamma, meglio di mamma che adesso se la spupazza al traguardo

ARTICOLI SU ELISA LONGO BORGHINI – MAURIZIO CORSETTI, LA REPUBBLICA 8/8 Come mamma, meglio di mamma che adesso se la spupazza al traguardo. Come mamma Guidina Dal Sasso, che vinse cinque volte la Marcialonga e partecipò a tre Olimpiadi nello sci di fondo. Meglio di mamma, che però una medaglia non la vinse mai. E invece quella di Elisa è di bronzo, «ma ai Giochi il metallo è tutto uguale, è sempre oro». Elisa Longo Borghini forse non lo sa, ma ha appena pronunciato una frase bellissima, una di quelle che ogni sportivo dovrebbe ricordare. Perché primo non vuol dire unico. Che grande giorno e che grande corsa, Elisa. Si prende il suo oro bronzeo quando molto sembrava perduto, perché davanti c’era un’americana volante (Mara Abbott, raggiunta a 400 metri dal traguardo, poveraccia) e insieme a lei due assai più veloci di lei, l’olandese Anna van der Breggen (vincerà) e la svedese Emma Johansson (argento). Pareva il preludio a una medaglia di legno, quello che resta legno e basta, nessun alchimista lo può tramutare se non Elisa. Poteva arrivare quarta se non quinta, vista la tremenda caduta dell’altra olandese van Vleuten, in quel momento in testa nella picchiata costata una clavicola e forse una medaglia a Nibali (molta paura, per fortuna solo quella: all’ospedale la van Vleuten era lucida e reattiva). Questo circuito è una gara a eliminazione, elide corridori e recide illusioni. È stato un terzo posto in rincorsa e rimonta, pattinando un metro dopo l’altro come faceva mamma Guidina sugli sci. Il bronzo aureo è meritatissimo. «Siamo state perfette, voglio proprio ringraziare le altre ragazze e lo staff, perché la corsa è andata come avevamo previsto. Poi, il podio e le eventuali medaglie sono un’altra storia. Nel finale non ho pensato a niente, ho spinto e basta. Ieri sera ho parlato con Nibali che mi ha detto: in quella discesa usate la testa». La dedica è naturalmente familiare, un pensiero esteso «ai miei tre nipotini a casa, a mio fratello Paolo, a tutti i miei». Paolo corse per undici anni tra i professionisti facendo il gregario a Basso, e ci sarebbe pure papà Ferdinando, allenatore di sci. Non poteva non salire su quel podio, Elisa, con tutto il sangue sportivo che le gira nelle vene. Lei arriva dal verbano, proprio in cima al Piemonte, il posto si chiama Ornavasso. Ha 24 anni e al collo si era già appesa due bronzi ai mondiali su strada e agli europei a cronometro nel 2012, si vede che quel metallo le piace proprio, in fondo è una specie di oro solo un po’ più scuro. Elisa Longo Borghini è andata a prenderselo alla fine di una corsa non meno dura di quella degli uomini, del resto il tracciato era lo stesso, strade umide in discesa e cadute comprese. Le azzurre sono entrate in ogni attacco, prima con la Bronzini e poi con la Cecchini, mentre Elisa se ne stava coperta a preparare la zampata. Si trattava di battere anche il vento che ha preso a schiaffi senza pietà le cicliste, e qualche campionessa ha ceduto di schianto: è successo alla magnifica Marianne Vos, 14 medaglie d’oro tra Olimpiadi e mondiali, una leggenda vivente, e alla britannica Lizzie Armitstead ripescata dal Tas dopo un ricorso per tre mancati controlli antidoping: la solita palude della reperibilità, degli scantonamenti (di qualcuno) e dei vizi di forma che un bravo avvocato poi riesce a dimostrare, anche perché talvolta gli ispettori antidoping dormono. “Una vergogna per tutti gli inglesi” aveva tuonano l’Independent dopo la riammissione di Lizzie, la quale in gara ha pensato bene di eliminarsi da sola. Ombre ben lontane dal sorriso di Elisa, raggiante al traguardo come una sposa. Tutto è oro, quando si è così felici. *** PAOLO BRUSORIO, LA STAMPA 8/8 – Potevano le donne fare una corsa meno emozionante di quella strappa brividi degli uomini? Altre volte sarebbe potuto succedere, ma questo circuito che cinge Rio de Janeiro e termina dentro il cuore carioca è fatto apposta perché nulla sia scontato. Perché l’ultimo chilometro non sia una passerella, ma una scarica di adrenalina. Non era scontato che Elisa Longo Borghini vincesse una medaglia, era la nostra freccia più appuntita, la squadra avrebbe dovuto lavorare per lei e così ha fatto, ma trovare la forza per sacrificarsi e, sostanzialmente, tirare le altre nella folle rincorsa all’americana Abbott (che ricorderà, al pari del polacco Majka, il lungomare di Copacabana come un calvario) è stata una lucida follia che alla fine ha premiato l’azzurra. Sapeva, Elisa, che in una volata con le altre due, l’olandese Van Breggen e la svedese Johansson, aveva match chiuso ma, altrettanto, era consapevole che solo facendo loro da locomotiva sarebbe potuta salire sul podio. Bronzo dietro alla Van Breggen, oro, e alla svedese; in tre hanno mangiato diciotto secondi alla Abbott nei due chilometri conclusivi. L’olandese era la favorita, ma senza la terrificante caduta della compagna di squadra Van Vleuten nella discesa finale chissà se ce l’avrebbe fatta lo stesso. Van Vleuten come e peggio di Nibali: si è tenuto davvero il dramma, e meno male che con le peripezie giù dalla picchiata di Vista Chinese abbiamo finito. Bella, spettacolare ma forse un po’ troppo osée per una corsa olimpica. Una famiglia di atleti Le rassicuranti condizioni fisiche dell’olandese (finita in ospedale per accertamenti) sono un motivo in più perché questo giorno venga ricordato come il più bello nella carriera della Longo Borghini. Mica male la ragazza: 25 anni, partita dal Lago Maggiore e arrivata fino al podio di Rio facendo lunghi giri. Il ciclismo è di casa da quelle parti, il fratello Paolo è un ex professionista, ma è tutta la famiglia che va a braccetto con lo sport a cominciare dalla mamma, l’ex fondista Guidina Dal Sasso. Elisa l’ha presa alla lontana per salire sul podio. Ora che ci è salita quasi non ci vuole credere: «Non so ancora cosa ho combinato, io non sono abituata a prendere medaglie, arrivo sempre quarta. Rimpianti? No, ai Giochi tutte le medaglie valgono l’oro. È stata una gara dura, ma l’abbiamo corsa con il cervello. Sabato sera abbiano incontrato Nibali che ci ha detto: “Ragazze, non rischiate in discesa. Usate la testa”». Elisa l’ha fatto e ora si rigira la medaglia al collo. E giovane ma tosta. Sulla strada ma anche a parole, se è vero che sta sempre in testa al gruppo, pure quando scende dalla bicicletta. Nel 2015 vince il Giro delle Fiandre e si porta a casa poco più di 1200 euro e allora un po’ le girano, tanto da agitare le acque perché le donne abbiano, se non pari trattamento economico degli uomini, almeno un adeguamento. La strada è lunga ma questo bronzo vale chilometri e 50 mila euro. «Mi daranno retta in questa battaglia? Sicuramente più all’estero che in Italia». Per Elisa, sinfonia olimpica. *** PIER BERGONZI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 8/8 – Subito dopo il traguardo, Elisa Longo Borghini ha trovato l’abbraccio e il sorriso largo come la spiaggia di Ipanema della mamma Guidina dal Sasso, che sa molto bene che cosa significa salire su un podio olimpico. Guidina è stata una delle migliori italiane dello sci di fondo negli Anni 80. Azzurra in tre Olimpiadi, non era mai andata oltre il decimo posto di Sarajevo 1984. Lo sguardo e l’abbraccio tra mamma e figlia, lì sul rettilineo d’arrivo sono la sintesi dei valori dello sport al suo meglio. «Mia mamma era commossa quanto me — dice Elisa —. Ma è riuscita a dirmi una sola parola: brava! Io devo tutto a lei, a mio papà e a mio fratello. La mia famiglia è tutto perché mi sostiene 365 giorni e dietro questi risultati ci sono fatiche e sacrifici che devono essere condivisi». Dopo la cerimonia di premiazione l’azzurra torna a ringraziare le compagne di Nazionale. «Prima del via ci siamo date la mano e impegnate reciprocamente a fare una grande gara. Giorgia ed Elena sono entrate in tutte le fughe e Tatiana ha saputo dirmi le parole giuste al momento giusto. Siamo state un gruppo unito prima che una squadra». I rischi in discesa, il finale senza tregua. Elisa lo racconta così. «Temevo le cadute. L’altra sera a cena abbiamo visto Nibali che è tornato al villaggio col suo braccione al collo e ci ha detto di non rischiare. Ci ha detto occhio, usate la testa... E nel finale non ho avuto scelta. Non volevo arrivare ancora quarta come al Mondiale dello scorso anno. Volevo davvero salire sul podio. Avevo già vinto il bronzo mondiale di Valkenbug 2012, ma questo ha un altro sapore. Questo è olimpico!» PANE E SPORT Elisa ha 24 anni, faccia sveglia e mente veloce: parla inglese, francese, tedesco e spagnolo. Ha corso per una squadra norvegese ora è in un team inglese e usa la bici come mezzo per capire il mondo. Corre per la Wiggle-High5, come la Abbot e la Johansson, che guidavano le stesse bici Colnago, ma la piemontese non ha fatto sconti. «Qui eravamo rivali. Io ho un rispetto assoluto della maglia azzurra. In quel finale non ho pensato ad altro che a dare tutto quello che mi era rimasto per recuperare anche all’ultimo metro una possibilità di medaglia». Dopo l’istituto tecnico di Domodossola, Elisa ha seguito gli studi di Scienze delle Comunicazioni, ma negli ultimi tempi ha deciso di investire tutto sulla bici. Corre da quando aveva 8 anni: è cresciuta a pane e sport. Se la mamma è stata per una quindicina d’anni ai vertici dello sci di fondo, il papà Ferdinando è stato il tecnico dei materiali della nazionale di sci in 5 edizioni dei Giochi olimpici e il fratello Paolo è stato professionista di ciclismo. Ieri a Rio c’era anche il fidanzato Ciro, dentista. A 20 anni si è affacciata al mondo del grande ciclismo conquistando il bronzo al Mondiale di Valkenburg. Lo scorso anno ha vinto il Giro delle Fiandre e in questa stagione ha rivinto il titolo tricolore a cronometro. A proposito di gare contro il tempo, fra tre giorni gareggerà di nuovo qui a Rio. «Non ho preparato la crono, ma dopo una medaglia correrò senza tensione. Tutto quello che viene sarà una ciliegina sulla torta». Ma mai dire mai...