Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 08 Lunedì calendario

ARTICOLI SU FABIO BASILE – ENRICO SISTI, LA REPUBBLICA 8/8 – Si è inginocchiato sul tatami, ha guardato in alto, puntando con lo sguardo qualcosa che non c’era mai stato, un volo lungo, morbido, fino all’oro, il primo della sua vita da judoka, così giovane e già così perfetta, il primo della spedizione azzurra a Rio, che è sempre un peso meraviglioso da portare, il 200° della storia olimpica italiana

ARTICOLI SU FABIO BASILE – ENRICO SISTI, LA REPUBBLICA 8/8 – Si è inginocchiato sul tatami, ha guardato in alto, puntando con lo sguardo qualcosa che non c’era mai stato, un volo lungo, morbido, fino all’oro, il primo della sua vita da judoka, così giovane e già così perfetta, il primo della spedizione azzurra a Rio, che è sempre un peso meraviglioso da portare, il 200° della storia olimpica italiana. Fabio Basile, sguardo e taglio di capelli da esterno di una squadra emergente, facciamo Sassuolo, agile, scattante ma dentro calmo, come richiede il suo sport, che è antico ed è un miscuglio trasognato di rabbia e compostezza, di cinture slacciate, di giacchette tirate, di concentrazione suprema, di forza impressionante, tutta raccolta in pochi momenti, pochi minuti di strappi, di piedi elettrici, piedi che come nel pugilato debbono continuare a rimbalzare, a rimanere elastici e flessuosi, armati con la stessa “stiffness” che occorreva a Muhammad Ali o che adesso occorre a Bolt, altrimenti è finita perché se i piedi cessano la loro leggiadra e potente danza l’altro ti salta addosso e tu non hai più la coordinazione per reagire. Uno sport, il judo, in cui conta anche osservare, guardare, anche qui come nella boxe, e non solo attaccare o difendere, perché si può vincere anche demolendo col pensiero, provocando errori e ammonizioni (“shido”). Fabio Basile, judoka, categoria 66 kg., 21 anni, un metro e sessanta, rivolese, un ragazzo che ha portato con sé fino a queste spiagge il dono della tranquillità e attraverso questo fantastico traghetto psicologico è sbarcato sull’altra sponda, dall’altra parte del fiume, dove si può dire di aver vinto nel giorno più importante della sua ancor breve carriera: «Ci devo credere o no? Sì, ci credo!». Ha vinto alla grande, con un “ippon”, un punto pesante, contro un avversario, il coreano Baul An, che non è mai riuscito bene a capire cosa dovesse fare per mettere il naso avanti in quei benedetti 5’, perché prima ancora che si rendesse conto di cosa gli stesse accadendo attorno Fabio aveva già preso il centro della scena. “Judogi” bianco in semifinale contro lo sloveno Gomboc, azzurro per il trionfo. Non aveva idea. Non immaginava. Fabio pensava in grande a ieri ma sapeva anche di essere ancora piccolo: «Mi stavo preparando coltivando il sogno di Tokyo 2020, figuratevi un po’». Invece Fabio ha scalato il ranking in pochi mesi, ha vinto l’African Open di Casablanca e si è qualificato per i Giochi. Un gradino dopo l’altro, sino a ritrovarsi accosciato sul tatami più morbido e accogliente, aspettando il tram della medaglia dalla quale non si torna più indietro. A volte la vita stupisce, accorcia i tempi della gioia. Dipende anche dall’amore che ci metti o “da quanto il serbatoio del sacrificio sia pieno”. Ossia quanto sei pronto a rischiare. Dipende dall’allenamento, da tutte le volte che un ragazzo come lui opta per la via più affascinante e faticosa, nella palestra Akiyama di Settimo Torinese, seguendo gli insegnamenti di Pierangelo Toniolo. Ma come dice Odette Giuffrida, argento poco prima nella categoria femminile dei 52 kg., «il judo è sinonimo di felicità», ed è la felicità e non un pezzo di stoffa acrilica quella che ti appende una medaglia al collo. Basile si è trascinato gli avversari negli spogliatoi, soprattutto nei quarti, dove ha affrontato il mongolo Davaadori, uno dei favoriti della vigilia. Dopo la semifinale ha imitato il gesto della freccia di Bolt. Era sereno ma aveva ancora fame, aspettava un segnale, da dentro. Il judo ti porta dentro e fuori in un attimo. Combatti per 5’ (4 le ragazze) a distanza di poco tempo. Le vittorie si fanno quando nessuno vede. Sono le vittorie della fase “invisibile” dello sport. Quello che ha coltivato per anni anche Odette Giuffrida, argento per un soffio, per uno “yuko” (il punto meno significativo) subito all’ini- zio del match contro la kosovara Majlinda Kelmendi: «Sono felice e triste», dice con un’inflessione che ricorda vagamente Francesco Totti, lei, romana vera, «felice perché sono ancora una ragazzina (21 anni, ndr) e nessuno avrebbe scommesso su di me che sono alla prima olimpiade, ma triste perché alla fine quando arrivi in fondo vedi un colore solo e non è quello della mia medaglia». E pensare che Odette aveva già incontrato e battuto Majlinda: «Ma mi tengo questa sensazione. Alla fine è un sogno». Azzurri in festa, una federazione, quella di judo lotta karate e arti marziali, che vive di pane amore e fantasia, sostenuta dal suo vocabolario sospeso fra oriente e occidente. Una festa che coinvolge il ct azzurro Kiyoshi Murakami, stile e competenze che vengono dai luoghi giusti, Paolo Bianchessi che segue Fabio e Dario Romano che segue Odette. L’Italia ha sistemato tutti con un “ippon” nel medagliere. Ora ci siamo pure noi fra quelli che risplendono al sole. *** MAURO CASACCIA, LA STAMPA 8/8 – La mission non è più impossibile, parola di Fabio Basile. È lui, il 22enne nato a Rivoli e cresciuto a Settimo Torinese, a dire duecento. È l’oro che fa entrare nella leggenda. Una leggenda iniziata con il conte Trissino nel 1900 a Parigi. Rio 2016, Judo Boy è Fabio, il judoka piemontese che ha fatto un ippon alla storia azzurra. «Ho sempre amato le mission impossible», dice Basile. Sembrava che lo fosse arrivare ai Giochi. Macché. «Ci arriverò». Fatto. Per giocarsela col suo judo aggressivo, sbarazzino, senza timori. Così ha fatto da sempre. Dall’inizio della carriera al Club 2011 Avigliana, per poi passare all’Akiyama Settimo Torinese sotto la guida di Pierangelo Toniolo. Al suo attivo tre titoli di Campione Italiano Assoluto conquistati con i colori del Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito, per il quale milita. Al suo attivo, soprattutto, l’oro numero 200 nella storia olimpica dell’Italia. Strepitosa doppietta E siamo anche tutti Swann, innamorati di Odette. E non è Madame de Crécy, bensì judoka de Roma che non ha perduto tempo nell’andare a prendersi la medaglia all’Olimpiade. Odette Giuffrida ha 22 anni e, nei pochi momenti che non trascorre sul tatami, è appassionata di fotografia: lo scatto che la immortala è dalla Carioca Arena 2 di Rio de Janeiro. Insieme a Basile, strepitosa doppietta. Lui d’oro, lei d’argento. In un 7 agosto che ha sempre portato bene all’Italia: ora sono 7 le medaglie in questa data. Diventano 15 per l’ItalJudo, da capolavoro. Con i due giovani pilastri di quello che doveva essere il Progetto Tokyo 2024 con il direttore tecnico Murakami. Tappe bruciate, successi già brasiliani: «Con lui sono riuscito a liberare la mia forza. Sono cresciuto». Altro che ricerca del tempo perduto, loro il tempo lo hanno rovesciato. Ok, Kelmendi ha portato il primo oro della storia al Kosovo negandolo alla capitolina. Ma non importa, argento. E subito dopo è arrivato l’oro 200. Tutti Swann, innamorati di Odi e Fabio. C’era una volta Judo Boy, cartoon nipponico nato da una manga del 1968. Dei due azzurri poteva essere zio, i nipoti classe ’94 hanno scavalcato le generazioni. E c’era una volta «Campioni, il sogno», Reality sul calcio. Nella prima edizione, l’attaccante Christian Giuffrida, adorato dal pubblico, che nella sua scheda raccontava di avere una sorella di 10 anni (era il 2004), Odette, e un fratello di 15, Salvatore. La sorellina è cresciuta e ha costruito la sua realtà olimpica da campionessa, il sogno. Maestro Murakami, ci può stare un titolo dell’omonimo Haruki: «Tutti i figli di Dio danzano». Odette si definisce atleta di Cristo, tutta fede e nessuna superstizione. Ballano sul podio, Giuffrida e Basile. Semifinali all’italiana, vinte con 0-0 e penalità dell’avversario. Ma anche condotte, non subite. «Il mio soprannome è “Veleno” - racconta Odi - e questo dà un’indicazione del mio caratterino: non sto mai ferma…». Ed è corsa in finale a incrociare il destino con la storia e Majlinda Kelmendi, la portabandiera del Kosovo alla prima partecipazione a cinque cerchi, fenomenale fascio di nervi che dopo Londra 2012, quando lottava per l’Albania, ha perso solo 4 incontri su 105. Pardon, 4 su 109. Dall’infanzia di guerra alla prima medaglia per la sua nazione, d’oro. «E’ la prima volta del Kosovo ai Giochi. E’ un momento storico, non solo per me ma per tutto il popolo kosovaro». Gioia al quadrato. «Dal momento - dice Giuffrida - in cui mi tolsi le scarpe e salii sul tatami nessuno fu più capace di farmi scendere». Anche a Rio, nessuna è stata capace di farla scendere fino alla finale, fino alla Kelmendi. A Basile non l’ha fatto scendere nessuno dal gradino più alto del podio, è lui che ha reso possibile la missione storica. *** RICCARDO CRIVELLI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 8/8 – Oro, oro, oro e ancora oro. Bisogna gridarlo al mondo duecento volte, a braccia alzate, battendo i pugni sul petto come solo i guerrieri indomabili e invincibili. Ne abbiamo trovato uno, di quelli che nascono per fare e dominare la storia: fantastico, fenomenale, sfrontato, con il talento enorme di madre natura e della gioventù. Fabio Basile è la quarta medaglia d’oro della storia olimpica del piccolo ma indomito judo italiano, una fabbrica di serietà, sudore e fatica che non tradisce mai, sempre sul podio dal 1992. E diventa anche il 200° titolato azzurro ai Giochi, il premio meritato di una giornata che resterà nei cuori e negli annali, perché sotto il cielo di Rio è nata una stella che può segnare un’epoca, se non l’ha già fatto. PREDESTINATO Parlare di favola, per questo ragazzo del 1994 cresciuto Rosta, là dove la Val di Susa comincia a inerpicarsi tra boschi di conifere, è riduttivo e non rende merito a un torneo che lascia senza parole per autorevolezza e gestione delle emozioni. Eppure, fino a gennaio, Fabio era soltanto una bella promessa inserita nel progetto Tokyo 2020, un gruppo di giovani accompagnato dalla Federazione dalle nazionali giovanili fino al possibile obiettivo di un podio tra quattro anni. Un tempo che l’allievo del maestro Toniolo all’Akiyama di Settimo Torinese, società tra le più gloriose e vincenti d’Italia (anche se adesso è tesserato per l’Esercito), ha bruciato in cinque mesi, risalendo il ranking con la forza dirompente di un predestinato. E’ stato l’oro agli Europei Under 23 dell’anno scorso a convincere lui e gli allenatori azzurri che forse la speranza olimpica era già matura, e Fabio ha accettato di mettersi in gioco in una categoria dove la presenza ingombrante di Elio Verde, un califfo del tatami nonché l’ultimo medagliato italiano ai Mondiali, poteva frenarne impeto e crescita. ORSACCHIOTTO Invece ha macinato subito avversari e vittorie e in tre tornei, compreso il campionato d’Europa dove ha conquistato il bronzo, si è preso l’Olimpiade: «Sono sempre stato sicuro di poter fare cose grandi, in Brasile ci volevo venire a tutti i costi. Lo dovevo a me, alla mia fidanzata Sofia e ai miei genitori». Alla compagna, che di cognome fa Petitto ed è vicecampionessa mondiale tra i cadetti, scocca una freccia immaginaria con le dita ad ogni vittoria, mentre mamma finalmente potrà dimenticare i cento e cento peluche distrutti sul divano, come racconta coach Toniolo: «Da piccolo era dislessico e timidissimo, per questo lo ha portato in palestra. Dopo un po’ di tempo la madre, che lavorava in un supermercato, poteva accompagnarlo solo due volte la settimana, ma lui voleva fare di più. Allora, Fabio aveva 8 o 9 anni, mi chiese come potesse farlo allenare a casa con un orsacchiotto gigante che aveva comperato apposta: l’orsacchiotto durò poco e ne dovette acquistare molti altri. Poi, per fortuna, le diedero il turno della mattina e lui poté venire ad allenarsi tutti i giorni». IL PIU’ FORTE Appassionato di cinema, ha girato scene memorabili trattando davvero come orsacchiotti tutti gli avversari: tre vittorie su quattro per ippon e davanti gli si sono parati il numero 16 Seidl, il numero 9 Shikhalizada, il numero 2 Davaadori (l’unico che ha resistito, ma è stato sanzionato due volte) e poi il numero uno del ranking, il coreano An Baul, campione del mondo in carica. Travolto dopo 84 secondi da una straordinario Seoi Otoshi, una proiezione sopra le spalle che ha finito per conquistare perfino il presidente del Cio, Thomas Bach, in tribuna, che ha chiesto alla delegazione italiana di poter conoscere quel ragazzo che ha dato spettacolo. Perché Fabio è quasi una rarità nel judo di oggi, molto tattico ed attendista: attacca, aggredisce, cerca sempre la soluzione spettacolare, è un mostro di conoscenza tattica e tecnica, nonostante l’età. In semifinale contro il mongolo, a otto secondi dalla fine e con il vantaggio consolidato, ha provato ancora la soluzione di forza: questo è il volto nuovo e straordinario dei nostri tatami. Con una consapevolezza cresciuta attimo dopo attimo: «Quest’anno sono successe cose pazzesche, incredibili, sono cambiato e ho sentito dentro me una forza mai avuta. L’oro non era nei mie pensieri. Però ogni combattimento vinto mi ha dato la convinzione di avere qualcosa più degli altri». Lo chiamano Pitbull, perché azzanna senza pietà: il mondo se ne accorto in una sera carioca.