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 2016  agosto 08 Lunedì calendario

ARTICOLI SU DANIELE GAROZZO – MATTIA CHIUSANO, LA REPUBBLICA 8/8 – Lo studente di Stanford da una parte, il siciliano, la torcida italiana e quella brasiliana unite dall’altra, come poteva finire? Con un abbraccio tra Daniele Garozzo, neo campione olimpico di fioretto battendo la star americana Massialas, e suo fratello Enrico, spadista, col padre Salvo in lacrime mentre risuonano le note di “We are the Champions”

ARTICOLI SU DANIELE GAROZZO – MATTIA CHIUSANO, LA REPUBBLICA 8/8 – Lo studente di Stanford da una parte, il siciliano, la torcida italiana e quella brasiliana unite dall’altra, come poteva finire? Con un abbraccio tra Daniele Garozzo, neo campione olimpico di fioretto battendo la star americana Massialas, e suo fratello Enrico, spadista, col padre Salvo in lacrime mentre risuonano le note di “We are the Champions”. Era roba nostra, il fioretto, ma ce n’eravamo un po’ dimenticati, dai tempi di Puccini ad Atlanta, col maestro che ebbe un mancamento mentre la tribù festeggiava. Però, a guardare indietro: Cerioni a Seul, Numa a Los Angeles, Dal Zotto a Montreal, Gaudini a Berlino… una storia italiana, che andava raccontata di nuovo. Di più, una storia siciliana, perché il ragazzo che va in pedana nella finale a 24 anni, appena numero nove del ranking, nasce in una terra che produce scherma giovane e bella, come la Fiamingo la sera prima, una nostra silicon valley delle lame che andrebbe considerata quando si parla di Sicilia. È stata emozione pura, ma anche vendetta, perché Daniele ha battuto proprio quell’Alexander Massialas da San Francisco, figlio di un avversario dei Numa e Cerioni (ahi, la storia), che aveva inflitto una delusione atroce al suo amico Giorgio Avola, rimontato nei quarti da 8-14 nell’assalto che gli poteva cambiare la vita. Ma “Garozzino” (è il più piccolo dei fratelli) ha retto l’emozione delle stoccate che è riuscito a mettere, e della vertigine di trovarsi 14-8, con l’oro come una sirena di Ulisse. No, la rimonta no. Stavolta no. Questa è una storia che comincia con una saracinesca che si alza, e una puzza di umido e olio d’auto che esce fuori. Un garage, primo rifugio dei sognatori di scherma ad Acireale. Ma basta, per chi sa sognare. Tre famiglie, i Garozzo, i Fichera che porteranno a Rio lo spadista Marco, e i Manzoni, che in città sono nobiltà decaduta dello sport. Un po’ troppo decaduta: infatti il Club Scherma Acireale ha chiuso, la visione del capostipite Raffaele di formare nella città della granita Nivarata tanti piccoli campioni s’è esaurita con le difficoltà e gli acciacchi dell’età. Ma, complice la scuola in comune dei figli, Sebastiano, figlio di Raffaele, incontra Salvo Garozzo, angiologo presso l’azienda sanitaria di Catania. E insieme ricominciano a sognare, e progettare, ed educare i bambini in garage a cavazioni e affondi: «Una palestra alla Rocky Balboa» la definisce ora papà Garozzo. Così, lentamente, Acireale torna sulla mappa della scherma italiana. Ma negli anni in cui Daniele diventa un promettente fiorettista, il fratello maggiore Enrico uno spadista di valore e i loro genitori si separano, il club cresce, ma resta sempre stretto per chi ha ambizioni olimpiche. Quante volte la stessa parola, nelle medaglie italiana: il sacrificio. Ma non sono solo occhi torti al cielo per il lavoro e la fatica, spesso sono i sacrifici di un pieno di benzina due volte a settimana per andare a Modica, dove c’è uno storico circolo e altri fiorettisti in grado di far crescere “Garozzino”. Al momento di chiudere lo studio, il dottor Garozzo salta in macchina e guida nella notte siciliana, 130 chilometri andata e ritorno con un panino a testa, due ore di allenamento, poi di nuovo per strada per tornare a casa a mezzanotte. E quando Daniele entra nell’orbita della nazionale e si stacca, in tutti i sensi, dalla famiglia, dalla città, per trasferirsi nel laboratorio di Frascati diretto dall’ex fiorettista Paolo Molinari, si fidanza con la sciabolatrice Alice Volpi, ad Acireale resta l’eredità di quegli anni avventurosi, un palazzetto nuovo di zecca a Santa Venerina. Un gioiello che sarebbe piaciuto al patriarca Raffaele, scomparso nel frattempo. Un vivaio per talenti, che vedremo, magari, a Tokyo 2020, e nel decennio successivo. Altri Garozzini, made in Sicily. *** GIANNI RIOTTA, LA REPUBBLICA 8/8 – Quando Alexander Massialas, la maschera dipinta a metà con le stelle e le strisce degli Stati Uniti, ha messo a segno il punto 11 nell’aria si è avvertita una strana sensazione. Mentre il tabellone restava inchiodato al micidiale 14 per l’azzurro Daniele Garozzo, sembrava davvero all’Arena 3 del Parco Olimpico di Rio de Janeiro, che la maledizione della rimonta che aveva paralizzato ieri Rossella Fiamingo in finale, dovesse ripetersi. E Davide, 24 anni festeggiati tre giorni fa, 4 agosto, qui a Rio, delle Fiamme Gialle, non avrebbe avuto neppure per scusante lo stress da sms del premier Matteo Renzi a distrarlo. In cielo nuvoloni carichi di pioggia annunciavano bufera, dal Cristo di Rio a Ipanema. Invece lo schermidore di Acireale, sul 14 a 11, ha piegato il fioretto in un arco, con violenza, come a raccogliere animo e pensiero, concentrato. E ha colpito con un’altra mossa fluida, senza violenza in apparenza, ma perfetta. Argento agli Europei 2015 La scherma, per chi non calca le pedane da bambino, è un misterioso flipper: luci accese e spenti dai circuiti dei fioretti, esultano spesso gli atleti e poi corrugano il volto in smorfie di disappunto. Invece nulla, per l’azzurro medaglia d’argento nel fioretto agli Europei 2015 di Montreux, niente rimonta subita. La luce verde che gli si accende sulla maschera vale oro. A Massialas, studente dell’università numero uno d’America, Stanford, con borsa di studio nella scherma, resta l’argento e qualche contratto di immagine: il suo volto è bellissimo, con mamma cinese di Taiwan e papà greco, Greg Massialas, che ha tirato di scherma per la nazionale americana alle Olimpiadi 1984 e 1988. Da bambino Massialas preferiva il calcio alla pedana del fioretto, e il destino ha voluto che la finale la perdesse con un italiano, ai rigori. Un duello dominato In finale Daniele Garozzo ha dunque «vendicato» il compagno di squadra Giorgio Avola, che la scherma raziocinante di Massialas aveva battuto in semifinale 15-8, senza emozioni. A Daniele era toccato invece il russo Timur Safin, eliminato 15-8, e prima Guilherme Toldo, sempre 15-8. Le dichiarazioni al neo campione olimpico venivano a stento, tra tifosi, cronisti e cronisti-tifosi che lo assediavano e celebravano, incuranti quasi di ascoltarlo. Ma l’aria era questa ieri all’Arena 3, una festa, e ruoli, atleti, allenatori, tecnici, reporter si confondevano: in un modo, una volta tanto, felice. Fratello d’arte La medaglia d’oro azzurra numero 200 gli è sfuggita per trenta minuti, siamo ora a 201, grazie alla vittoria di Basile, e la replica di Davide è da vero siciliano beffardo, «Ecchissene…». Del resto, la giuria storica è molto incerta su questa magica soglia 200, se, come fanno tanti conteggi, annullate la contestata medaglia del 1900 nel ciclismo a Brusoni, il numero 200 torna a Garozzo. Sul podio Daniele, fratello dello spadista Enrico a tifare come un matto a Rio, ha tirato pugni di gioia in aria, facendo grande stretching in quella tuta di Armani, con il 7 bianco sul petto. L’oro nel fioretto ci mancava da 21 anni con Puccini, quasi una generazione per il Paese che contendeva a Ungheria e Francia il primato. Ora il tricolore brillerà per quattro anni. Siamo andati a dormire secondi nel medagliere, dietro solo lo squadrone dell’Australia, davanti a tutti. Abbiamo un sacco di guai, vecchi e nuovi, ma cari italiani godiamoci questa notte con questi ragazzi, puliti, formidabili, di casa nostra. Facebook Riotta.it *** LUCA BIANCHIN, LA GAZZETTA DELLO SPORT 8/8 – Daniele perde tutto. «Le chiavi, gli oggetti, il portafoglio: lascia in giro qualsiasi cosa». Va bene, ieri però non perdeva mai. Ha battuto egiziani, brasiliani, russi e americani, poi è corso sotto la curva e ha abbracciato il fratello Enrico. La descrizione è sua, di Garozzo senior: «Mio fratello si agita, è più aggressivo di me, più casinista. Io sono più riflessivo». Daniele con l’oro al collo ha confermato: ha vinto per quello. «Non capisco più niente. Non ho sentito niente, neanche il dolore al dito che sanguinava. L’assalto decisivo forse è stato il primo, contro un avversario forte. Dicevano che ero in formissima e insomma, mi sembra che avessero ragione. Pazzesco come ho tirato, da sogno». L’oro è un discreto regalo di compleanno: «E’ perfetto, assurdo, non ho parole. Qui non se l’aspettava nessuno. Quando ho visto quella luce, sono impazzito. Avevo troppe cose dentro. Non sono la medaglia d’oro numero 200 ma chi se ne frega, va benissimo 201. La corsa per esultare? Come quella di un calciatore». In quel momento, quando i due Garozzo saltavano abbracciati, francamente veniva da piangere. La retorica fa il titolo facile: fratelli d’Italia. LA FAMIGLIA Mamma Giuliana si era portata avanti in semifinale: lacrima trattenuta forte quando la medaglia era sicura. Come ogni mamma avrebbe fatto, voleva correre, incontrarlo, fargli un cenno. Niente, Daniele è corso in spogliatoio: come sempre, sgusciava. «Litighiamo continuamente perché si dimentica di chiamare — dice lei —. Ha 24 anni, lo vedo qui ma per me è sempre un bambino». Papà Salvo conferma: «Enrico chiama tre volte al giorno, Daniele risponde una volta ogni tre giorni. La volta che vedo la sua chiamata, mi preoccupo». Daniele e Enrico sono cresciuti insieme: Enrico da piccolo vinceva poco, Daniele sì. Più vinceva, più cresceva. Più cresceva, più si agitava: «Avrà passato le due ore prima della semifinale a camminare su e giù dal nervosismo», dice Enrico. TRE SVOLTE Sa anche lui che tutto questo è un mezzo miracolo: la vita del fratellino è girata due o tre volte. Ognuno in famiglia ha una storia da raccontare. Mamma Giuliana: «Al liceo voleva andare lontano da casa per la scherma, ma per me non era pronto. A un certo punto, l’ho lasciato andare». Enrico: «Due anni fa non voleva fare l’ultima gara di Coppa del Mondo, forse voleva smettere. Papà ha insistito, ha fatto la finale e ha svoltato». Lui, papà: «Era una gara Under 20, perdeva 13-6 con un israeliano quando si è fermato 10 minuti per un infortunio. Mi hanno detto che quando ha ricominciato aveva una faccia diversa, infatti ha vinto l’assalto e la gara. Se non si fosse fatto male, forse non sarebbe qui». L’Olimpiade lascia lezioni su una pista d’atletica, in una piscina, su una pedana. Quando viene voglia di mollare, è meglio pensare a un infortunio con un israeliano e tirare dritto. Se a bersaglio valido, meglio. *** ALDO CAZZULLO, CORRIERE DELLA SERA 8/8 – Rio de Janeiro Li chiamano il Conte e il Principe. Il Conte è Giorgio Avola, nato nell’antica contea di Modica: siciliano arabo, occhi e barba neri, irruente ed emotivo. Il Principe è Daniele Garozzo: siciliano normanno, capelli e occhi chiari, freddo (in pedana, non nell’esultanza) e spietato. Ai quarti il Conte era 14 a 8 contro il numero 1 del mondo, l’americano Massialas, a una sola stoccata dalla vittoria; ha perso 15 a 14. Negli stessi minuti il Principe affrontava il brasiliano Toldo in un’atmosfera infuocata che nella scherma olimpica non si era mai vista; eppure è rimasto padrone dei propri nervi e dell’anima dell’avversario, che è anche suo amico — si allenano insieme a Frascati —, ed è stato infilzato ripetutamente tra i pianti con le lacrime della torcida. Massialas è stato poi finito nell’assalto decisivo. La scherma è sport di dominio psicologico. Esige l’uccisione metaforica dell’avversario, e il pieno controllo di se stessi. Forse per questo a Rio, da Rossella Fiamingo a Daniele Garozzo, la scherma italiana è siciliana. Il maestro Giorgio Scarso, ora presidente della federazione, è di Modica come Giorgio Avola e l’ha iniziato al fioretto; il Principe è cresciuto con un maestro ancora più duro, Domenico Patti, uno che grida e lancia sedie. Daniele, 24 anni compiuti tre giorni fa, secondo oro olimpico italiano a Rio, duecentunesimo della nostra storia, è fratello di Enrico Garozzo, 27, che domani si gioca il podio nella spada: figuratevi l’orgoglio del padre Santo, medico ad Acireale, e della madre Giuliana, impiegata della Regione, entrambi afoni: «Avreste dovuto vederli, i nostri ragazzi, quando fin da piccoli duellavano nel salotto di casa». Daniele è stato seguito per tutto il giorno a bordo pedana dalla fidanzata, Alice Volpi, di madre brasiliana, astro nascente del fioretto femminile, e infatti alla fine è corso ad abbracciarla; ma quando dopo ogni vittoria si batteva il pugno sul cuore, guardava la mamma, cui è legatissimo. «Mi chiama tutti i giorni» si inorgoglisce lei. Del resto ha due figli lontani: anche il maggiore si allena fuori dalla Sicilia, a Milano. «Tra loro sono molto uniti, studiano entrambi medicina, ma sono anche molto diversi — racconta il padre —. La spada esige pazienza, tattica, perseveranza. Nel fioretto ci vuole fantasia per sorprendere l’avversario. E Daniele divora libri fantasy, ha letto Harry Potter e Dan Brown in inglese». «A dire il vero ora leggo soprattutto libri di psicologia sportiva, che mi aiutano nella gara — dice il campione —. Mi è piaciuta molto Open , la biografia di Agassi, ma pure Indoor , la riposta di suo padre». E il rapporto con il fratello? «È la prima persona che ho stretto dopo la stoccata finale. Enrico è mio fratello, ed è il mio migliore amico. Anche perché abbiamo scelto armi diverse, e ora non duelliamo più». Poi, su richiesta di una radio, ripete l’urlo della vittoria. Gli schermidori del resto hanno un po’ tutti del matto; Stefano Cerioni oro a Seul 1988 si faceva eliminare non dagli avversari ma dagli arbitri a colpi di cartellino nero; Oreste Puliti, quattro ori olimpici, il suo giudice — l’ungherese Kovacs — lo schiaffeggiò alle Folies Bergères e lo sfidò a duello, a Parigi 1924; dove ricevette un guanto di sfida per «scarsa italianità» anche Italo Santelli, espatriato in Ungheria a fondare una grande scuola di sciabola (il maestro accettò, ma si fece sostituire dal figlio). Dello spadista Paolo Milanoli si raccontavano i duelli al primo sangue nella palestra buia. E di Cerioni, quando allenava gli azzurri — ora è il c.t. dei russi —, fu diffuso un video in cui sottoponeva una matricola a un fastidioso rito iniziatico. Al confronto, i siciliani sono bravi ragazzi. Negli anni scorsi, il fioretto maschile italiano pareva una corte rinascimentale: ricco di intelligenze, di talenti, di artisti che il mondo ci invidiava; e anche di intrighi, ricatti, forse anche avvelenamenti, il cui frutto è stata la dominazione dello straniero. La classifica internazionale era guidata dagli italiani; però il titolo olimpico ci sfuggiva da Atlanta 1996. La rivalità tra Andrea Baldini e Andrea Cassarà giunse a livelli tali che uno sospettò l’altro di avergli versato il doping nella borraccia; poi a Londra la riconciliazione e l’oro a squadre. Qui a Rio Baldini è il quarto uomo, e Cassarà è uscito agli ottavi; è il tempo del Conte e del Principe. «Noi siciliani siamo molto coriacei — dice Garozzo —. La vittoria è dedicata anche alla mia terra, ai miei coetanei. Non voglio che si perdano d’animo, che si arrendano prima del tempo. Se un siciliano è sul podio davanti a un americano e a un russo, vuol dire che ce la possiamo fare».