Luciano Mondellini, MilanoFinanza 6/8/2016, 6 agosto 2016
OLIMPIADI CHE BLUFF
Occorre che Matteo Renzi e il comitato organizzatore di Roma 2024 ci pensino molto bene prima di proseguire i lavori per la candidatura della Città Eterna alle Olimpiadi in programma tra otto anni. Un report di Ubs pubblicato in settimana ha ripercorso la storia economica delle città che nel corso dei decenni hanno ospitato i Giochi olimpici, e ha ricordato come nella stragrande maggioranza dei casi (e soprattutto negli ultimi tempi, se si eccettua Londra 2012) la scelta di organizzare la kermesse si sia rivelata un gioco in perdita per le città ospitanti. Spesso oberate da bilanci in profondo rosso, difficile da ripianare (si pensi all’esperienza di Atene 2004 per esempio). In questo quadro le Olimpiadi di Rio de Janeiro, che hanno preso il via questo week-end, hanno pochissime possibilità di fare eccezione alla regola, e quindi difficilmente si tramuteranno in un affare per la città carioca e per il Brasile intero.
In termini di spesa, i Giochi della XXXI edizione sono costati alle casse federali di Brasilia ben più di 10 miliardi di dollari. Ma secondo numerose ricerche, i benefici che ne deriveranno non saranno tali da giustificare l’investimento. Secondo una ricerca di Euler Hermes, per esempio, l’attività economica addizionale generata in Brasile dalle Olimpiadi di Rio dovrebbe incrementare il pil 2016 del gigante latinoamericano soltanto dello 0,05%. Un aumento suddiviso quasi egualmente tra maggiori investimenti (+0.03%) e consumi più elevati (0,02%) ma che certamente non potrà soddisfare chi pensava che la manifestazione avrebbe avuto un impatto di lungo periodo. Infatti questo effetto positivo, già limitato in sé, è praticamente intangibile in un Paese che sta attraversando la peggiore recessione dagli inizi degli anni Novanta. Con il pil che dopo essersi contratto del 3,8% nel 2015 è stimato in calo di un ulteriore 3,5% quest’anno. Ma non basta. Al di là delle difficoltà economiche, il Brasile sta vivendo anche uno dei cicli politici più complessi della sua storia recente, visto che dopo l’impeachment in primavera del presidente Dilma Rousseff, il Senato sarà chiamato a fine mese a decidere il destino definitivo dell’ex leader del Paese.
Inoltre, sempre secondo la banca svizzera, i Giochi non avranno nemmeno un impatto duraturo sull’occupazione. Le statistiche ufficiali sostengono che una volta conclusa la kermesse le Olimpiadi e il loro indotto avranno creato in Brasile circa 120mila posti di lavoro. Una cifra che per quanto importante in un Paese che presenta enormi problemi di povertà, rappresenta una goccia nell’oceano della forza lavoro brasiliana e quindi non in grado di incidere sui fondamentali dell’economia. I 120mila posti di lavoro legati alle Olimpiadi infatti rappresentano una cifra inferiore allo 0,1% della popolazione attiva del colosso sudamericano (la cui popolazione totale supera i 100 milioni di abitanti). E anche considerando la sola Rio de Janeiro, la cifra non rappresenta un numero in grado di invertire le tendenze, dato che la popolazione ufficialmente attiva nella metropoli carioca arriva a 8,1 milioni di persone (si tratta quindi di un impatto non superiore all’1,5%). Non solo, ma in tutto ciò c’è anche l’aggravante che, secondo Euler Hermes, più dell’80% dei posti di lavoro generati dalle Olimpiadi non saranno permanenti. La maggior parte di questi infatti vennero creati nella fase di costruzione degli impianti (2011-2014) e ora che il ciclo produttivo legato alle Olimpiadi si sta concludendo, questi posti di lavoro stanno man mano scomparendo. Ovvio quindi che l’impatto della kermesse a cinque cerchi non può invertire la tendenza negativa del mercato lavorativo brasiliano. Trend che ha visto il tasso di disoccupazione toccare l’11,2%, e il numero complessivo di senza lavoro crescere dell’8% rispetto al 2015.
Detto questo, però, c’è anche chi considera che il momento peggiore sia passato. Ma non certo per merito delle Olimpiadi a Rio. Nel succitato report Ubs spiega che per quanto complicata sia la situazione del Brasile, non mancano segnali che fanno presagire un miglioramento di quella crisi in cui il Paese è sprofondato negli ultimi due anni dopo quasi due decenni di crescita continua, che avevano portato il Paese nell’olimpo dei Brics. ovvero le nazioni emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sul cui sviluppo era consigliabile scommettere. Al di là di qualsiasi giudizio politico, Ubs spiega che il governo di Michel Temer, che è succeduto a quello democraticamente eletto della Rousseff con una manovra di palazzo che ha fatto gridare al golpe molti osservatori, sta attuando un mix di politiche economiche che potrebbero migliorare la situazione del Paese. In particolare, queste misure sono volte a stabilizzare il debito pubblico e questo dovrebbe tra non molto stimolare la fiducia dei consumatori e degli imprenditori. «In questo contesto riteniamo che il Brasile offra alcune delle più interessanti opportunità di investimento per chi vuole puntare sui mercati emergenti nel medio periodo», spiega la nota della banca svizzera. A conferma di questo, c’è da dire che qualche segnale si sta già scorgendo. Nel mese di luglio l’indice Msci Brazil (che misura la performance di molti titoli della borsa di San Paolo) ha guadagnato il 9,6%, mentre nello stesso periodo l’indice Msci Emerging Markets è salito del 4,1%. E secondo la banca elvetica la performance potrebbe ulteriormente migliorare, in quanto dalle analisi si noterebbe un incremento negli utili delle imprese e anche un miglioramento relativo dello scenario macro con tassi di interesse più bassi, un rallentamento dell’inflazione e un real più forte nei confronti delle principali valute. Sulla stessa linea di Ubs c’è anche Bofa Merrill Lynch, secondo la quale le nuove politiche introdotte da Temer dovrebbero portare a un recupero della situazione economica in generale e quindi anche dei titoli in borsa.