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 2016  agosto 06 Sabato calendario

APPUNTI SUI CINESI E IL MILAN PER IL FOGLIO ROSA – LA GAZZETTA DELLO SPORT 6/8 –  Il 28 giugno giugno scorso il 68,55% dell’Inter è stato acquistato da Suning Holdings Group che fa capo al presidente Zhang Jindong

APPUNTI SUI CINESI E IL MILAN PER IL FOGLIO ROSA – LA GAZZETTA DELLO SPORT 6/8 –  Il 28 giugno giugno scorso il 68,55% dell’Inter è stato acquistato da Suning Holdings Group che fa capo al presidente Zhang Jindong. Si tratta di un gruppo con sede a Nanchino che fattura oltre 40 miliardi di euro, leader nel commercio dell’elettronica. Ora che anche il Milan sta passando in mani cinesi, e precisamente al gruppo guidato da Yonghong Li, si prefigura il primo derby cinese nella storia del calcio italiano. Si giocherà a San Siro in campionato il 20 novembre prossimo (per quella data gli acquirenti del Milan potrebbero aver già siglato il closing) con i rossoneri padroni di casa. *** CARLO FESTA, IL SOLE 24 ORE 6/8 – Finisce dopo trent’anni l’epoca Berlusconi e il Milan diventa cinese.Al termine di mesi di lunghe trattative il veicolo Sino-Europe Sports Investment Management Changxing ha rilevato la totalità delle quote detenute da Fininvest (99,93%) nel club rossonero. Il preliminare già altamente vincolante (con closing però a novembre) è stato firmato in Sardegna a Villa Certosa alla presenza di Silvio Berlusconi, dei manager di Fininvest (l’Ad Danilo Pellegrino e il direttore corporate finance & business development Alessandro Franzosi), dei consulenti legali (il team di Chiomenti guidato dall’avvocato Luca Fossati) e finanziari (Lazard e Bnp Paribas) del Biscione e degli esponenti della cordata cinese con i suoi advisor. Valutazione del club è stata di 740 milioni di euro, compresi i debiti per 220 milioni, quindi numeri nella fascia alta dei multipli, se si pensa che l’Inter è stato valutato 500 milioni. Il pagamento a Fininvest avverrà tramite un anticipo di 100 milioni (con 15 milioni subito e 85 fra due settimane) e la parte restante (400 milioni) al closing a novembre. Il piano di investimenti prevede invece una somma di 350 milioni ripartita in tre anni: 100 milioni saranno disponibili a novembre con un prestito tra soci. Silvio Berlusconi sarà, infine, presidente onorario come fortemente voluto dal consorzio acquirente. Da notare che il passaggio di proprietà del Milan ha avuto un effetto a sorpresa in Zona Cesarini, in quanto la cordata cinese si è leggermente modificata ed evoluta negli assetti tra azionisti, ma anche negli advisor, rispetto a quanto era trapelato negli scorsi giorni. Alla fine a rilevare il club rossonero sarà la Sino-Europe Investment Management Changxing, una società veicolo costituita per l’operazione dove lead investor (cioè investitori principali con un 30% complessivo di quote) sono Haixia Capital, il fondo di Stato cinese per lo Sviluppo e gli Investimenti e l’imprenditore Yonghong Li, noto in Cina per aver acquisito diverse aziende. Mr Li ha condotto la trattativa anche personalmente e probabilmente entrerà nel Cda rossonero. Proprio Mr Li era già tra gli azionisti del consorzio fin dall’inizio, ma il suo ruolo è progressivamente cresciuto. Al contrario, Haixia Capital, una società di asset management con circa 10 miliardi di dollari in gestione, è stata l’azienda scelta per entrare direttamente nell’operazione dal governo di Pechino, che puntava ad avere un ruolo nella cordata fin dalle prime discussioni con Fininvest. Al consorzio, la cui architettura sta nascendo in queste ore con società veicolo non solo in Cina ma anche ad Hong Kong, dovrebbero unirsi nelle prossime settimane altri soggetti: c’è qualche dubbio sulla presenza futura di Sonny Wu, del fondo Grs Capital, e dell’imprenditore delle rinnovabili Steven Zhen che potrebbero tuttavia entrare nella compagine in seconda battuta. In pratica, a finalizzare l’accordo è stata dunque la stessa cordata guidata dall’advisor americano Gsp di Sal Galatioto: un consorzio che tuttavia ha avuto un’evoluzione importante nel finale delle trattative, sulla scia delle discussioni volte a capire chi dovesse avere un ruolo maggioritario. Galatioto e il suo manager Nicholas Gancikoff (che probabilmente non assumerà il ruolo di amministratore delegato del club) hanno così avuto il merito di avviare per più di due mesi le difficili trattative con Fininvest. Ma alla fine l’operazione è stata condotta in porto con successo grazie ai consulenti di Rothschild e allo studio Gianni Origoni Grippo Cappelli. Proprio l’avvocato Roberto Cappelli, già noto per il suo ruolo nel riassetto della As Roma nel periodo di Pallotta-Unicredit, ha seguito l’operazione. Nel piano di sviluppo, infine, c’è anche l’obiettivo di quotare il club in Cina nel medio termine. Carlo Festa *** MARCO BELLINAZZO, IL SOLE 24 ORE 6/8 – La rivoluzione cinese in Serie A è maturata in poco più di un mese. Il 28 giugno, l’assemblea straordinaria dell’Inter ha sancito il passaggio al Suning Commerce Group del 68,55% del club (mentre il tycoon indonesiano Erick Thohir è rimasto per ora presidente con il 31%). Ieri, dopo due anni di altalenanti trattative, Fininvest ha sottoscritto il contratto preliminare per la cessione del 99% del Milan a una società partecipata da una pluralità di aziende dell’Ex Impero celeste. Tra queste l’unica nota al momento è Haixia Capital che fa capo al Governo di Pechino. I due patron milanesi che hanno fatto la storia del calcio italiano e mondiale degli ultimi tre decenni, Massimo Moratti e Silvio Berlusconi, sono così usciti di scena. Il takeover cinese è costato 1,3 miliardi di euro (circa 600 milioni per l’Inter, tra equity value e indebitamento finanziario, e 740 milioni per il Milan). Più o meno la cifra impegnata da Moratti nella sua ventennale presidenza interista (mentre Berlusconi dal 1986 ha investito tra aumenti di capitali e prestiti 900 milioni). La crisi del Calcio italiano Spa è coincisa con l’espansione del Football cinese voluta dal presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, intenzionato ad elevare la Cina al rango di potenza planetaria, ospitando e magati vincendo entro il 2050 una Coppa del mondo. Un’espansione che ha generato una sorta di colonizzazione del Vecchio continente con l’acquisto, a partire dall’anno scorso, di partecipazioni anche in team spagnoli olandesi, inglesi e francesi. Il gruppo Dalian Wanda di Wang Jianlin, tra gli uomini d’affari più facoltosi della Cina e grande amico del presidente Xi, ha comprato in pochi mesi il 20% dell’Atletico Madrid, Infront, tra i principali intermediari di diritti tv in ambito sportivo, ed è diventato il primo sponsor cinese della Fifa. Mentre il consorzio formato da China Media Capital e Citic Capital ha rilevato per 400 milioni di dollari il 13% del City Football Group, la holding fondata dallo sceicco di Abu Dahbi Mansour che controlla tra gli altri il Manchester City e il New York City, franchigia della Mls americana. E poche settimane fa il Wolverhampton Wanderers Fc che milita nella serie B britannica, è stato acquisito da Fosun International, gruppo guidato da Guo Guangchang (per Forbes l’undicesimo uomo più ricco della Cina con un patrimonio di 5,5 miliardi di dollari) per circa 50 milioni di sterline. La penetrazione cinese quindi non coinvolge solo le squadre ma anche aziende specializzate nello sfruttamento economico del calcio (come Infront ed Mp&Silva) per assorbire tutto il know-how necessario a uno sviluppo del settore in chiave industriale. Quello sviluppo che la Serie A ha clamorosamente mancato nel corso degli anni Duemila, condannandosi a una marginalità sempre più marcata nel contesto europeo (con l’eccezione della Juventus). Un immobilismo (dagli stadi a politiche commerciali di sistema) che chissà se i nuovi investimenti cinesi riusciranno ora a debellare. Marco Bellinazzo *** ANTONIO LUSARDI, MILANOFINANZA 6/8 – Da venerdì 5 agosto la bandiera del Celeste Impero svetta anche su Milanello, non solo sulla Pinetina nerazzura. Dopo un trattativa avvolta nel mistero, che negli ultimi giorni sembrava essersi arenata, il presidente Silvio Berlusconi ha approvato l’accordo preliminare firmato da Han Li, il rappresentante della cordata di investitori cinesi. Il contratto prevede la cessione dell’intera quota di Fininvest nella squadra rossonera ed è stato firmato a Villa Certosa, residenza sarda dell’ex cavaliere. Si chiude così, dopo più di trent’anni e 28 trofei vinti (di cui cinque Champions League), l’era Berlusconi nella storia del club. Il nuovo presidente sarà Yonghong Li, tra i promotori dell’operazione già da due anni. Nuovo amministratore delegato e dg dei rossoneri sarà entro dicembre Marco Fassone, già dirigente di Juventus, Napoli e Inter.Silvio Berlusconi avrà la carica di presidente onorario del club, mentre resta ignoto il futuro dello storico ad milanista Adriano Galliani. L’accordo è arrivato poco più di due mesi dopo che anche l’altra sponda del calcio milanese, l’Inter, era passata nelle mani di Zhang Jidong, magnate del gruppo industriale Suning. L’accordo tra Fininvest, rappresentata dal suo ad Danilo Pellegrino e la management company Sino-Europe Sports Investment Management Changxing prevede l’acquisto del 99,93% del Milan da parte degli investitori cinesi. Il closing dell’operazione è previsto entro la fine del 2016. L’intesa valuta il club rossonero 740 milioni di euro, compresi i debiti, stimati in circa 220 milioni. La cifra è superiore ai 700 milioni di cui si era parlato nelle ultime settimane ma inferiore alla valutazione di 1 miliardo di euro su cui era stata intavolata l’anno scorso la trattativa, poi fallita, con la cordata rappresentata dal broker thailandese Bee Taechaubol. Al contrario delle indiscrezioni circolate nelle ultime settimane, la holding della famiglia Berlusconi cederà l’intera partecipazione nel club rossonero e non solo una quota di controllo. A conferma dell’impegno assunto, il contratto prevede che gli acquirenti del club mettano a disposizione una caparra di 100 milioni, di cui 15 già al momento della firma e 85 garantiti entro 35 giorni. Entro tre mesi dovrebbe poi arrivare il grosso del pagamento, 400 milioni di euro e altri 100 milioni sotto forma di shareholder loan, una sorta di prestito garantito. Il deal tra Fininvest e gli acquirenti cinesi prevede inoltre l’impegno da parte dei nuovi proprietari a investire nel Milan 350 milioni di euro in tre anni, come «ricapitalizzazione e rafforzamento patrimoniale e finanziario». Come recita la nota della holding infatti, «durante l’intera negoziazione, nella stesura del contratto e degli impegni che esso prevede, l’obiettivo è stato quello indicato dal presidente Berlusconi, ovvero dotare il Milan di quelle risorse sempre più elevate ormai indispensabili per riportarlo a competere con i più importanti club del calcio mondiale. I primi 100 milioni saranno versati al momento del closing. A titolo di confronto, negli ultimi tre anni la famiglia Berlusconi,attraverso Fininvest, ha versato nelle casse del Milan 274 milioni di euro, mentre il club rossonero ha bruciato cassa per 215 milioni. A causa della mancata qualificazione alle coppe europee, per il Milan si prevede un altro bilancio con un rosso simile a quello del 2014 o del 2015 e dunque una parte non indifferente dell’investimento dei nuovi soci servirà a ripianere le perdite. Il restante capitale versato dai nuovi proprietari del Milan potrà quindi essere investito sul mercato per rilanciare il club a livello sportivo, ma difficilmente basterà per realizzare lo stadio di proprietà di cui si parla da diversi anni. Tenendo conto dei tempi previsti dall’accordo, la prima iniezione di capitale cinese (circa 80 milioni) nelle casse del Diavolo dovrebbe arrivare intorno a novembre, e di conseguenza il primo mercato finanziato da Yonghong Li sarà quello della sessione invernale del gennaio 2016. L’accordo è arrivato al termine di una trattativa in corso da circa due anni, ma entrata nel vivo solo negli ultimi mesi. Nelle scorse settimane alcuni osservatori avevano ipotizzato un arresto delle negoziazioni, oltre che l’ingresso in campo di una seconda cordata cinese legata al fondo Fosun. Fininvest ha però negato che la trattativa si sia mai fermata e anzi ha precisato come inizialmente il deal fosse previsto «per fine agosto». A imprimere un’accelerazione sarebbero stati gli stessi investitori cinesi, cambiando gli advisor della trattativa. Sal Galatioto e Nicholas Gancikoff, che avevano condotto la trattativa per mesi, sono stati sostituiti da Rothschild per la parte finanziaria e dallo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli per la parte legale. Sotto la supervisione dei nuovi advisor (e forse anche con un più attivo ruolo dell’ad Han Li) l’accordo è arrivato in porto. Da parte sua Fininvest si è avvalsa come advisor di Lazard e Bnp Paribas (lato finanziario) e dello studio Chiomenti (lato legale). I 740 milioni di euro incassati da Fininvest sono una cifra consistente, soprattutto considerando che negli ultimi anni il club rossonero era diventato un vero e proprio buco nero per il denaro. Negli ultimi due esercizi il Milan ha registrato perdite nette per quasi 200 milioni di euro. Fininvest ha dovuto iniettare liquidità fresca ogni anno dal 2003 ad oggi, di cui 150 milioni di euro solo nel 2015. Nel lungo periodo la situazione non è migliore: in trent’anni di gestione la holding della famiglia Berlusconi ha versato nelle casse del Diavolo 865 milioni di euro, in media 27,8 l’anno. Con i 740 milioni che saranno pagati dai cinesi l’investimento dell’ex cavaliere torna quasi in pari, ma rivalutati in base all’inflazione, i versamenti Fininvest diventano quasi 1,1 miliardi di euro. L’era Berlusconi, gloriosa dal punto di vista sportivo, lo è stata molto meno da quello finanziario. In trent’anni il club è stato in utile solo tre volte (nel 1990/91, nel 1999/2000 e nel 2006), bruciando invece cassa per un totale di 765 milioni di euro, in media 25,3 ogni anno. Se gli anni dei trionfi non avevano visto utili, i tempi più recenti con la perdita dei diritti tv della coppe europee ha aperto una voragine nei conti del Milan. Il 2014 e il 2015 sono infatti stati i due peggiori anni della storia rossonera dal punto di vista finanziario. *** MARIANGELA PIRA, MILANOFINANZA 6/8 – La firma è avvenuta la sera di giovedì 4 agosto a Villa Certosa e il giorno dopo c’è stato lo scambio dei contratti. Suggellando il passaggio del Milan ai cinesi: Fininvest ha infatti firmato un contratto preliminare con Sino-Europe Sports Investment Management Changxin Co. L’acquirente è una società privata che tra i suoi investitori annovera un fondo d’investimento in cui ha una quota anche il governo di Pechino. Se si aggiunge che Sino-Europe Sports è un veicolo creato proprio per accelerare gli investimenti nello sport da parte cinese nel Vecchio Continente, il quadro si completa. «Dietro l’operazione c’è di fatto un fondo statale cinese» conferma indirettamente il consulente che ha seguito l’operazione per conto dei cinesi. Dietro Sino Europe infatti c’è un fondo di investimenti di Fuzhou, Haixia Capital, controllato dallo Stato che si occupa di sviluppo delle infrastrutture, in particolare energetiche, nell’area del Fujian, la provincia sud-orientale cinese. Haixia il mese scorso aveva venduto la quota in Haitong Securities (gruppo finito nel mirino delle autorità cinesi dopo il crollo del mercato l’anno scorso) a uno sconto del 20%. A capo di Haixia Capital c’è Lu Bo, che in carriera si è occupato di investimenti statali cinesi: non solo Haixia, ma anche Sdic, State Development & Investment Corporation. «Nel fondo c’è anche il governo di Taiwan, e viene da sorridere a vedere Taiwan e Pechino investire insieme nel calcio», spiega Alberto Forchielli, presidente di Mandarin Fund e profondo conoscitore del mercato cinese. Il consorzio potrebbe vedere l’ingresso di qualche altro soggetto nelle prossime settimane (Grs Capital e l’imprenditore delle rinnovabili Steven Zheng). Dunque è proprio Pechino che vuole spingere sul calcio europeo, e per vari motivi. Anzitutto la Cina punta a ospitare i Mondiali di calcio nel 2030, e vuole arrivarci preparata. Il presidente Xi è un grande tifoso e nessuno muove un dito senza il suo placet. Come anticipato da MF-Milano Finanza, né Fosun, né Alibaba o grandi imprenditori fanno parte di questa cordata. «Il presidente Silvio Berlusconi - si legge in una nota di Fininvest - ha approvato il contratto preliminare firmato dall’ad di Fininvest, Danilo Pellegrino, e da Han Li, rappresentante del gruppo di industriali cinesi, relativo alla compravendita dell’intera partecipazione detenuta dalla stessa Fininvest». Berlusconi rimarrà presidente onorario. Interessante notare come si sia arrivati alla Sino-Europe, entrata nella trattativa con Fininvest più tardi rispetto alle altre cordate. La vicenda Milan-Cina, che a tratti ha assunto i caratteri di una telenovela, è iniziata il 31 luglio 2015, con l’interesse dell’ormai noto Mr. Bee che agiva per conto di China Huarong Asset Management, la più grande società di asset management cinese, i fondi cinesi ZHJ Capital e Parantoux, e Haitong Securities. La stessa Haitong da cui Haixia – che quindi sicuramente sapeva dell’interesse per il Milan - è uscita proprio un mese fa. Curioso che poco dopo l’abbia sostituita nella trattativa. Proprio una settimana fa Mr. Bee Taechaubol in procinto di prendere un aereo per Milano ha ricevuto una telefonata in cui gli è stato dato lo stop. L’acquisto di una percentuale di minoranza andava benissimo a Silvio Berlusconi, ma non alla figlia Marina il cui obiettivo sin dall’inizio è stato vendere tutto. Il fatto di aver sempre lavorato per l’acquisto di una minoranza ha quindi escluso Bee e soci dalla trattativa. L’altro gruppo di pretendenti è stato rappresentato in questi mesi dal consulente sportivo Nicholas Gancikoff e dall’advisor Sal Galatioto: la cordata tre settimane fa si è spezzata in due, quando Gancikoff si è impuntato sul voler diventare l’ad del nuovo Milan. In tre sono rimasti con lui, gli altri quattro si sono uniti al nuovo team sotto il cappello della Sino-Europe Sports Investments. Alla fine quindi, né Bee, né Fosun o Alibaba, né Gancikoff e Galatioto l’hanno spuntata. Ha vinto questo nuovo gruppo, mai menzionato e rappresentato dal manager Yonghong Li, che al pari di Suning è stato veloce e indolore. Tuttavia «con la Cina non è detto che l’accordo vada in porto», avverte Forchielli, che cita l’operazione tra l’Inter e il gruppo statale China Railways dell’agosto 2012: si parlò di accordo per l’acquisto del 15% del club neroazzurro ma poi non se ne fece nulla. Certo è che ogni coinvolgimento di un’azienda a partecipazione statale – anche minima - deve avere il placet dei vertici di Pechino e di diversi enti governativi. «Occorrono 90 giorni per avere tutte le autorizzazioni dello Stato, guarda caso si arriva a novembre, data fissata per il pagamento. Vedremo se andrà in porto» conclude Forchielli. *** DARIO DI VICO, CORRIERE DELLA SERA 6/8 – Alla fine i capitali cinesi hanno conquistato entrambi i gloriosi club di Milano. Se ce l’avessero raccontato solo qualche anno fa ci saremmo messi a ridere e invece ora Milan e Inter, due squadre che hanno dominato a lungo il calcio internazionale e hanno fatto incetta di trofei, sono di proprietà di cordate in parte di natura industriale e in parte finanziaria della Repubblica Popolare di Pechino. E così allo stadio di S. Siro tra qualche settimana con l’avvio della serie A andrà in scena una singolare staffetta: nel palco d’onore che ospita i presidenti si avvicenderanno di domenica in domenica manager cinesi in competizione tra loro per prevalere nel football italiano. E il derby milanese, da sempre uno degli avvenimenti clou della stagione calcistica italiana, sarà seguito con pari intensità in Lombardia e in Cina. Stupirsi però ha poco senso, in fondo i cinesi sono i veri grandi vincitori della globalizzazione: mentre milioni di contadini uscivano dalla condizione di povertà in parallelo i capitali di Pechino hanno preso a inondare il resto del mondo. È dentro questo contesto che vanno esaminati gli slittamenti delle relazioni tra l’Italia e la Cina. L’acquisizione della milanesissima Pirelli da parte di ChemChina è di gran lunga l’investimento diretto in Europa più costoso realizzato dai cinesi e di conseguenza la città del Duomo si configura già come una sorta di hub delle relazioni sino-europee. Ciò accade non dal nulla ma poggia — come amano i cinesi — su una lunga tradizione testimoniata dall’antica Chinatown ubicata nel centro vitale della città e da una storia di rapporti tra le due etnie che ha visto già nella prima metà del Novecento matrimoni misti tra emigranti cinesi e giovani italiane. Ora si tratta, per Milano, di pensare più in grande e di conseguenza la vendita di Inter e Milan è una questione che non riguarda solo i tifosi delle due squadre. Nelle settimane che sono seguite alla Brexit la città si è candidata ad attrarre organismi internazionali e più in generale capitale umano in uscita da Londra, ci vorrà del tempo per valutare l’esito di questa autocandidatura ma a questo punto la città dovrebbe trovare la forza per proseguire su due direttrici, quella già individuata e una seconda tesa a rafforzare un potenziale ruolo di ponte con la Cina. Nel selezionare gli investimenti in Europa — dicono gli addetti ai lavori — Pechino privilegia le infrastrutture, considerate la nuova «via della Seta» e ci sono tutte le condizioni per coinvolgere capitali cinesi nella nuova fase di modernizzazione del nostro Paese che ha bisogno allo stesso tempo di nuove opere «fisiche» e di progettare il futuro digitale. Ci sono anche operatori privati italiani che per taglia e competenze possono sicuramente rappresentare degli interlocutori credibili capaci di sedersi al tavolo con i cinesi. Nel contempo il mutamento delle priorità dello sviluppo di Pechino, che sotto Xi Jinping punta a mitigare le contraddizioni create dalla crescita tumultuosa degli scorsi anni, apre spazi di mercato non più solo al made in Italy manifatturiero ma anche ai servizi di qualità. In primis la sanità. E Milano sicuramente rappresenta in questo campo un’eccellenza europea capace di affermarsi all’estero come solution provider . Si potrà obiettare che evocare evoluzioni di questo tipo a partire dalla mera vendita di due squadre di calcio rischia di essere un sogno di piena estate ma nessuno ci vieta di essere ambiziosi. Ovviamente i passaggi intermedi sono tutt’altro che scontati, un Paese come il nostro però alle prese con una crescita anemica da diversi lustri deve aguzzare la vista e riconoscere gli autobus che passano. Specie quando quest’operazione può legittimamente poggiarsi sullo spirito di una città come Milano che in questo momento si sente in grado di osare. Le riflessioni sulle ambizioni ambrosiane si sposano con una ricognizione attenta di ciò che sta avvenendo nel business del calcio. I tifosi in questi giorni sono alle prese con le notizie del calciomercato, con gli annunci a sensazione che si susseguono e che troveranno nella vendita record di Paul Pogba il loro apice. Solo qualche anno fa i dirigenti della Juve dovendo fissare una cifra per la recompra da parte del Real Madrid del giovane Alvaro Morata, mandato a farsi le ossa a Torino, scrissero 30 milioni. Oggi quella somma sembra figlia di un tempo passato, le valutazione dei calciatori si stanno impennando ed è il segno che qualcosa sta cambiando nel business del pallone. Non perdiamo d’occhio che a differenza delle altre grandi industrie dell’intrattenimento (cinema, serie tv, musica) il calcio ha il suo baricentro in Europa, è nel Vecchio Continente che operano tutte le grandi squadre che sono state capaci di accaparrarsi il 99% delle star della pedata. Il Sud America di fatto fornisce solo manodopera all’industria europea del calcio e i campionati argentino e brasiliano sono diventati dei tornei Primavera al servizio delle big inglesi, spagnole e anche italiane. La Champions League è il trofeo più ambito dalle squadre e dagli investitori e oggi si svolge con una formula affascinante dal punto di vista agonistico ma irrazionale da quello economico. In soli 180 minuti una delle big può essere buttata fuori anzitempo dalla competizione privando quindi il cartellone dell’apporto pieno delle sue star. È chiaro invece che serve una «recita» più lunga per compensare gli investimenti a monte. Per farla breve troppi segnali ci dicono che il calcio europeo si è messo improvvisamente a correre, che intravede la possibilità di una globalizzazione virtuosa, di entrare in nuovi ricchi mercati di consumo e ancora una volta la Terra promessa è la Cina. Il premier Xi Jinping tifa per il football perché lo considera una sorta di ammortizzatore sociale capace di creare valori patriottici e spirito collettivo in un’economia sviluppatasi rapidamente e il gruppo cinese Wanda che qualche mese fa ha acquistato la Infront (la società di diritti televisivi domiciliata in Svizzera) coltiva l’idea di una Superlega europea. Tutto si tiene, verrebbe da dire. Occhio, dunque, quest’anno alla tribuna d’onore di S. Siro. *** CARLO LAUDISA, MARIO PAGLIARA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 6/8 – Un colpo di scena dietro l’altro. E ora sì che il Milan parla davvero cinese. Il pranzo a Villa Certosa ha sancito l’intesa per la vendita del club ad una cordata che ha cambiato in corsa i suoi soci, dopo l’uscita di scena di Gancikoff e Galatioto e il vano tentativo di Mendes e Fosun degli ultimi giorni. Tanto per mescolare ancor più le carte c’è anche la scelta del prossimo a.d. (e d.g.): quel Marco Fassone che ha già operato con Juve, Inter e Napoli. Quando alle 14.06 compare il comunicato di Fininvest si ha la netta sensazione che stavolta sia davvero la volta buona e che dopo 30 anni e passa Silvio ammaini bandiera: «Una scelta dolorosa ma necessaria, nel mercato mondiale è impossibile star dietro a queste cifre. Ho venduto per passione», il pensiero riportato dall’Agi. Un distacco evidentemente doloroso, sancito dal successivo comunicato. «Il presidente Silvio Berlusconi ha approvato il contratto preliminare firmato dall’a.d. di Fininvest, Danilo Pellegrino, e da Han Lin, rappresentante di un gruppo d’investitori cinesi, relativo alla compravendita dell’intera partecipazione, pari al 99,93%, detenuta dalla stessa Fininvest nel Milan». La svolta è comprovata dalla firma di un contratto preliminare vincolante, con tanto di penali e caparre nel caso in cui la trattativa salti prima del closing, programmato entro fine anno: ma c’è la convinzione di chiudere già ai primi di dicembre. I cinesi comprano tutto il Milan per 740 milioni di euro, compresi anche i 220 milioni di debiti. Una giornata storica, sì, ma non senza sorprese. Proprio alla soglia del traguardo escono quindi di scena Sal Galatioto e Nicholas Gancikoff, che rappresentavano il fondo Gsr Capital con in prima persona Sonny Wu e Steven Zheng, finiti sotto pressione per via dei contatti crescenti tra Berlusconi e il gruppo Fosun, dietro il quale c’era l’agente portoghese Jorge Mendes. Ad avere la meglio è stata una terza cordata cinese, composta da investitori che già da un paio d’anni erano in contatto con Fininvest: un team nato e rimodellato dall’implosione del gruppo Galatioto, avvenuta una decina di giorni fa. «Gli investitori operano attraverso la management company Sino-Europe Sports Investment Management Changxing Co.Ltd – annuncia Fininvest –. Della compagine fanno parte, fra gli altri, Haixia Capital, fondo di Stato cinese per lo Sviluppo e Investimenti, e Yonghong Li, chairman della company, che è stato tra i promotori del gruppo con cui Fininvest ha lungamente trattato fino alla firma, il signing». Yonghong Li guida la cordata insieme al suo manager Han Li con il quale raccoglie il 30 per cento delle quote, comprese quelle del fondo statale Haixia. Il restante 70 per cento è suddiviso tra numerosi investitori: ci sono anche imprenditori privati, ma sono prevalenti le aziende di natura pubblica. Il riferimento del club in questa fase di transizione, fino al closing, sarà David Han, manager cresciuto nell’università di Boston, scelto dai Li, ed ex responsabile degli investimenti del colosso Wanda Group. Da questo momento, tutte le scelte del club rossonero saranno condivise con gli acquirenti. Il futuro a.d. sarà l’italiano Marco Fassone che avrà anche la delega di direttore generale. L’intesa è nata a tarda ora giovedì a Villa Certosa in Sardegna, dove Berlusconi sta trascorrendo le vacanze: nella notte è giunta la firma sul preliminare (composto da 50 pagine, con 15 punti fondanti) subito dopo il versamento sui conti di Fininvest dei primi 15 milioni di caparra. Ieri mattina gli annunci, le foto alla fine di un lungo pranzo (prima del ritorno a Milano verso le 18.30) al quale hanno partecipato Berlusconi e il figlio Luigi, la delegazione cinese con Yonghong Li e Han Li, i manager Fininvest guidati da Pellegrino e Alessandro Franzosi, i rappresentanti degli advisor delle due parti (gli studi Chiomenti e Lazard per Fininvest, Rothschild & Co. e lo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners per gli asiatici). I cinesi hanno proposto a Berlusconi di restare come presidente onorario, prospettiva gradita all’ex Cavaliere. «Il contratto prevede che con il signing gli acquirenti mettano a disposizione una caparra pari a 100 milioni, di cui 15 alla firma e 85 entro 35 giorni». Gli altri 420 milioni dovranno essere versati in un’unica soluzione entro i successivi 90 giorni, così da arrivare al closing a dicembre mentre i 220 milioni di debiti del club saranno onorati dai cinesi ricapitalizzando la società. La sezione centrale del contratto riguarda gli investimenti. Berlusconi sei mesi fa aveva chiesto 450 milioni in 3 anni, la quota è un po’ calata avendo già perso quasi un anno nelle trattative: «Gli acquirenti s’impegnano a compiere importanti interventi di rafforzamento patrimoniale e finanziario del Milan per un ammontare complessivo di 350 milioni nell’arco del triennio», spiega Fininvest. È stato concordato che la prima tranche da 100 milioni arriverà a fine anno per finanziare il mercato di gennaio. Ma non basta: per la sessione estiva 2017 è previsto un budget di altri 50 milioni. I restanti 200 milioni saranno divisi nei 2 anni seguenti. Insomma, nel 2017 i nuovi proprietari metteranno sul piatto subito 150 milioni. Per i cinesi sarà un’operazione globale da almeno 1 miliardo e 100 milioni. Adesso, però, si viene a creare una situazione paradossale, visto che il mercato estivo (ormai alle battute finali) non ha le risorse per allestire una squadra in grado di raggiungere le coppe. Galliani e Fassone (per ora advisor) riusciranno in queste settimane a trovare il modo per dare benzina agli acquisti da subito? Magari con qualche acquisto che preveda un pagamento posticipato? Sarebbe nell’interesse di tutti. *** MARCO IARIA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 6/8 – Il Milan sarà cinese. Su questo sembrano essere caduti tutti i dubbi. Resta l’incertezza su quelli che saranno effettivamente i nuovi proprietari rossoneri. Tecnicamente il 99,93% del club verrà acquisito dalla Sino-Europe Sports Investment Management Changxing, cioè la società-veicolo dentro cui confluiscono una pluralità di investitori. Il comunicato di Fininvest ne cita solo due: Haixia Capital, fondo di Stato cinese per lo sviluppo e gli investimenti, e Yonghong Li, chairman della stessa società-veicolo e tra i promotori del gruppo con cui la holding berlusconiana ha trattato a lungo prima del preliminare di ieri. Vero che il Milan non è stato ancora ceduto in via definitiva e che il closing si materializzerà entro la fine dell’anno ma prima o poi andrà fatta chiarezza sul nuovo assetto azionario della società, considerato che non si tratta di un’azienda come le altre ma di una squadra di calcio che ha a che fare con «stakeholder» speciali, dalle istituzioni calcistiche ai tifosi. Nel frattempo, accontentiamoci delle informazioni scarne a disposizione. A differenza dell’Inter, tanto per fare un esempio, non si tratta di un’entità singola e riconoscibile ma di un pool di diversi soggetti, privati e pubblici. Sull’altra sponda del Naviglio si è insediata Suning, azienda familiare guidata dal self made man Zhang Jindong e colosso del commercio e non solo da oltre 40 miliardi di euro di fatturato; qui invece si è scelta la forma della società-veicolo proprio perché vi è un mix di azionisti. L’elemento chiave, che probabilmente ha dato l’impulso decisivo alla chiusura della trattativa, è la presenza diretta del governo «comunista» (la vendita di Berlusconi pare proprio una nemesi…) attraverso Haixia Capital, che dovrebbe detenere una quota del 15% del gruppo. Il fondo statale è stato creato nel 2010 con una dotazione di 4,5 miliardi di euro, ha base a Fuzhou, nella provincia del Fujian, e finora si è focalizzata negli investimenti in infrastrutture e costruzioni spingendosi anche nell’acquisizione in Francia di aziende di coltivazione e allevamento di polli. L’anno scorso i crolli della Borsa cinese hanno giocato un brutto scherzo a Haixia Capital, che si è dovuta liberare della sua partecipazione in Haitong, società di brokeraggio, con uno sconto del 20% e una perdita complessiva di 400 milioni di euro. L’uomo forte della cordata cinese è Yonghong Li, presidente della Sino-Europe Sports Investment Management Changxing e azionista futuro del Milan (al 15%?). Al tavolo con Fininvest ha recitato un ruolo da protagonista, è in predicato di investire personalmente sul club, eppure si sa poco di lui. Yonghong Li è titolare della finanziaria Jie Ande, non compare nelle classifiche di Forbes e nemmeno nei principali motori di ricerca finanziari. Per quel nome spunta, semmai, una connessione con i Panama Papers, cioè quei documenti confidenziali su società off-shore svelati dai media. Tale Yonghong Li risulta azionista della Alkimiaconst, di base a Panama, ma potrebbe trattarsi di un caso di omonimia. Fininvest fa sapere che fanno parte del gruppo altri investitori, alcuni dei quali a controllo statale, e tra loro società attive nel campo finanziario e altre impegnate in settori industriali. Una complicata matassa che va ancora dipanata, considerato anche gli avvicendamenti delle ultime settimane. Alcuni soggetti sono usciti, altri sono entrati, le intese sulla governance e sugli impegni finanziari non sono state facili da raggiungere dovendo mettere d’accordo tutti quanti, sono pure stati sostituiti in corsa gli advisor Galatioto e Gancikoff e, negli ultimi giorni, ci si è affidati per la parte finanziaria a Rothschild & Co., con la consulenza legale curata dallo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners. La nota ufficiale di Fininvest precisa che il contratto verrà perfezionato entro fine 2016, «una volta ottenute le autorizzazioni previste in questi casi dalle autorità italiane e cinesi». La presenza di un fondo statale nella cordata conferma, comunque, l’interesse del governo cinese sul business del calcio: la Cina mira a diventare una potenza del football globale, su input del tifoso-presidente Xi Jinping, che conosce bene gli effetti benefici di questo sport in termini di geopolitica e costruzione del consenso popolare. Il Milan è un brand che tira tanto e dà prestigio: con questa operazione è destinato a essere il fiore all’occhiello della campagna calcistica del governo di Pechino. *** ROBERTA AMORUSO, IL MESSAGGERO 6/8 –  Che ci fa la Repubblica popolare cinese, si proprio lo Stato cinese, nel capitale del Milan non più di Berlusconi? Molte cose a quanto pare. Non si tratta soltanto della passione da tifoso del presidente cinese Xi Jinping. Il club rosso-nero può fare da centravanti di sfondamento, tanto per usare un termine calcistico, alle mire di sviluppo calcistico commerciale in Europa (già altri cinesi hanno appena comprato l’Inter). E può anche molto altro, visto che il Milan rappresenta la squadra con più seguaci in Cina dopo il Manchester United. In gioco c’è un affare di Stato come la spinta dello sport nel Paese, un ingrediente indispensabile per chi punta anche a organizzare i Mondiali di calcio nel 2030. Ecco perché Haixia Capital, il fondo di stato cinese per lo Sviluppo e gli Investimenti che tra gli azionisti ha anche lo Stato di Taiwan, è sceso in campo per strappare in cinque giorni l’accordo preliminare per l’acquisto dei rosso-neri di Berlusconi. Lu Bo, patron dello stesso fondo statale, e ben noto agli ambienti della finanza globale, ha messo sul tavolo assegno e garanzie e ha fatto sponda con Yonghong Li, il manager che ha condotto passo dopo passo l’operazione e già al lavoro da mesi con l’altra cordata di cinesi, persa per strada però proprio negli ultimi giorni. Li, un imprenditore che si muove con una certa agilità in diversi settori, primo fra tutti il real estate, già da anni aveva messo gli occhi sul Milan, si dice, e ha dalla sua una carta vincente. Si tratta di una sufficiente vicinanza all’establishment di Xi Jinping, per far mobilitare i fondi statali. Si dice anche che la cordata sarà completata nei prossimi giorni. Con altri fondi statali, certo. Ma anche con investitori privati come Grs Capital e l’imprenditore delle rinnovabili Steven Zhen, dati per certi fino a un mese fa. Sembrano invece fuori dai giochi Galatioto, così come è sparito il nome di Gancikoff. Non c’è più tra i pretendenti dei rosso-neri nemmeno iSonny Wu o il tycoon di Hong Kong, Cheng Kin-Ming. Ma è uscito di scena anche il gruppo Fosun. CAPITALI GARANTITI Chiunque si affiancherà al fondo Haixia nelle prossime settimane, è già deciso: la società veicolo che acquisirà il controllo del Milan è la Sino-Europe Investment Management Changxing. Ciò che conta di più, tuttavia, è altro. Conta che il governo cinese ha un impegno diretto nella squadra italiana. E conta che i capitali, soprattutto quelli futuri, e le garanzie sono da «tripla A». Sino-Europe è il veicolo creato proprio per accelerare gli investimenti nello sport nel vecchio continente. Dietro c’è anche Yonghong Li accanto all’Haixia Capital, che per Pechino si occupa già di investimenti nelle infrastrutture nell’area del Fujian, la provincia sud-orientale cinese di cui è capoluogo, ed è arrivato a espandersi fino in Francia, con acquisizioni nelle coltivazioni e degli allevamenti di pollame. Le risorse da investire, dunque, non mancano di certo. Va detto poi che lo stesso Lu Bo, che ha incassato oltre 800 milioni di dollari dalla vendita della quota in Haitong (il gruppo di brokeraggio nel mirino delle autorità cinesi dopo il crollo del mercato l’anno scorso), vanta una lunga carriera negli investimenti statali cinesi: anche attraverso la Sdic, State Development & Investment Corporation, holding cinese che ha fatto scommesse industriali e finanziarie puntando paletti nella generazione di energia, nel minerario, nei porti e nel trasporto marittimo. Mancava la diversificazione nello sport a Pechino. Che investe per la prima volta con Taiwan. Chissà che anche questo non sia di buon auspicio per il Milan. Roberta Amoruso *** CECILIA ATTANASIO GHEZZI, LA STAMPA 6/8 – Per conoscere l’assetto societario completo del nuovo Milan post-Berlusconi sarà necessario aspettare ancora qualche mese. Due o tre almeno, il tempo per chiudere le adesioni al capitale della Sino-Europe Sports Investment Management Changxing Co. Ltd, la società neocostituita destinata diventare il nuovo azionista del Milan. Ma il nome del fondo che sarà il capofila dell’intera operazione è sufficiente per collocare l’operazione sui rossoneri nell’ambito della strategia governativa di trasformare Pechino, già potenza economica e militare, in una «potenza calcistica». Comunicato non tradotto Si tratta di Haixia Capital, fondo d’investimento nato nel 2010 per investire nelle infrastrutture nella regione del Fujian e rapidamente allargatosi ad altri settori. La sua caratteristica più significativa, almeno per quanto riguarda questa partita, è però di avere interessi diretti dello Stato cinese nel suo capitale. A capo di Haixia c’è Lu Bo, che ha costruito la sua carriera nello State Development & Investment Corporation, (Sdic) holding statale con sede a Pechino attiva negli investimenti nel settore industriale e finanziario. Fondata nel 1995, a fine 2015 impiegava oltre 74 mila persone e aveva un capitale registrato di 2,6 miliardi di euro oltre a un totale di 67,2 miliardi in asset. Non a caso Sdic è citata nel comunicato di Fininvest in inglese (ma non in quello italiano). Tra i nomi che dovrebbero entrare in un secondo tempo c’è anche il fondo Gsr Capital, noto alle cronache finanziarie per aver cercato per due volte in 18 mesi di acquisire (senza riuscirci) l’olandese Philips. A capo di Grs c’è Sonny Wu, miliardario cinese partito dalle rinnovabili come un altro dei nomi che potrebbero entrare nell’affare, Steven Zheng. Tutti pronti a seguire le direttive emanate dal presidente Xi Jinping, che non ha mai fatto mistero della sua passione calcistica. Nel 2011 Xi Jinping ha espresso tre desideri: che la nazionale cinese si qualificasse per un altro Mondiale, che la Cina lo ospitasse e che, finalmente, ne vincesse uno. La strada per trasformare il Paese in un potenza calcistica è però ancora lunga. Ma il Dragone ha dalla sua parte i soldi. Negli ultimi sei mesi, le squadre di prima categoria del campionato professionista hanno speso 330 milioni in giocatori stranieri di primo livello. L’equivalente della nostra serie B ne ha spesi altri cento. Lo scopo è quello di attrarre campioni internazionali come hanno fatto il Jiangsu Suning, che questo inverno si è assicurato la presenza dei brasiliani Teixeira e Ramires, lo Hebei China Fortuna con Lavezzi e Gervinho o la follia fatta dallo Shandong Luneng per assicurarsi Graziano Pellè. Per ora l’effetto più sensazionale è stato l’accordo di quattro anni per la vendita dei diritti televisivi del campionato cinese all’azienda di Stato China Media Capital per oltre 1,1 miliardi di euro. Circa 30 volte di più rispetto all’accordo precedente. Sponsor della Fifa La strategia d’espansione in Europa ha subito un’accelerazione in tempi recenti. Wanda, il gruppo dell’uomo più ricco della Cina, già possiede il 20% dell’Atletico Madrid e, a marzo scorso, è diventato sponsor ufficiale della Fifa. Aston Villa e Inter sono già passati in mani cinesi, mentre nelle stesse ore sono stati annunciati gli accordi per Milan e West Bromwich Albion. Certo, finora non sono mancate le difficoltà. Come ha raccontato ieri una fonte anonima all’agenzia cinese Xinhua, «Abbiamo negoziato con Fininvest a lungo, è stata molto dura. A causa della barriera linguistica, non potevamo far arrivare i nostri messaggi direttamente a Berlusconi. Il nostro piano ha rischiato di sgonfiarsi». Nel frattempo in patria si attuano le direttive emanate dal Consiglio di Stato a marzo 2015. Nei prossimi dieci anni, il territorio cinese dovrà ospitare 50 mila scuole calcio contro le 5 mila attuali e si parla già di 70 mila nuovi campi nei prossimi cinque anni. Nella città meridionale di Guangzhou è già attiva la Scuola internazionale di calcio Evergrande, attualmente la più grande del mondo. Un investimento da oltre 165 milioni di euro. Il marchio di qualità è garantito dalla sua affiliazione al Real Madrid. Si investe sulla formazione, certo. Ma con una buona dose di pragmatismo. Le previsioni parlano di un giro d’affari legato al calcio di oltre 760 miliardi già nel 2025, si tratta di cinque volte quello attuale. *** LUCA PAGNI, LA REPUBBLICA 6/8 – Dopo 30 anni al vertice della società, 5 Coppe dei Campioni vinte e oltre 15 mesi di negoziati, Silvio Berlusconi passa la mano. Così come era già accaduto per l’Inter due mesi fa, anche il Milan cambia proprietario e diventa un feudo cinese. Ma con una differenza di non poco conto. Mentre il club nerazzurro è finito sotto il controllo di una società privata, il gruppo Suning, un colosso dell’elettronica di consumo, Berlusconi ha venduto il suo 99% del Milan a una cordata che ruota attorno a un fondo di investimento controllato dal governo di Pechino, Haixia Capital; accompagnato da 4-5 imprese, alcune delle quali di proprietà pubblica i cui nomi verranno rivelati solo più avanti. La trattativa ha avuto una brusca accelerazione nelle ultime due settimane e ha trovato la sua conclusione nella giornata di ieri: a Villa Certosa, nella residenza in Sardegna di Berlusconi, è stato firmato il contratto preliminare che sancisce il passaggio del pacchetto azionario per una cifra che si aggira sui 740 milioni, compresi 230 milioni di debiti. Si tratta di una tappa fondamentale ma non conclusiva, visto che il passaggio di proprietà definitivo si avrà soltanto a fine dicembre. In buona sostanza, ieri le parti si sono solo promesse in matrimonio: gli acquirenti cinesi, per dimostrare la serietà delle loro intenzioni, si sono impegnati a versare un anticipo di 100 milioni, 15 già ieri e il rimanente fra 35 giorni. Nel caso in cui, non si dovesse arrivare alla firma del contratto definitivo, la somma si traformerà in una penale che finirà nelle casse di Fininvest, la holding della famiglia Berlusconi, alla quale sono intestate le azioni del Milan. Ma questo - particolare che interessa soprattutto i tifosi del Diavolo - significa che il Milan ha a disposizione solo 15 milioni per operazioni di mercato da qui a fine agosto. E che il vero rafforzamento della rosa affidata al neo allenatore Vincenzo Montella, avverrà solo con il mercato di “riparazione” del prossimo gennaio. Intanto, si guarda già al futuro e si parla dell’ex dirigente di Inter e Juventus Marco Fassone come futuro ad e direttore generale. Berlusconi non esce del tutto di scena. I nuovi proprietari sono disponibili a riconoscergli un ruolo da presidente onorario. E la sua ombra si allunga anche su un altro particolare dell’accordo: gli acquirenti - su sua precisa richiesta - si sono impegnati a «interventi di ricapitalizzazione e rafforzamento finanziario del Milan» per 350 milioni. Traduzione: se volete la società dovete dimostrare di spendere per riportarla ai vertici europei. La cordata cinese si era fatta avanti già nell’aprile 2015: ma ha dovuto aspettare che si esaurisse la trattatica con il finanziare tailandese Bee Teachaubol, il quale giusto un anno fa aveva firmato un preliminare che valorizzava il Milan oltre un miliardo. Sulla carta, perché gli investirori che aveva promesso non si erano mai concretizzati. Ora i soldi sembrano veri, garantisce il governo di Pechino. *** GIAMPAOLO VISETTI, LA REPUBBLICA 6/8 – Il partito-Stato della seconda economia del mondo conquista la squadra- simbolo del capitalismo milanese, icona dell’ex premier di un’Italia ancora per un soffio nel G20. L’ultimo colpo di scena ha consegnato ieri il Milan direttamente nelle mani di Pechino, trasformando un normale affare in una questione istituzionale senza precedenti. A guidare il club italiano con il maggior numero di trofei internazionali, gestito per trent’anni dall’imprenditore politico che indicava la Cina come il primo nemico, non sarà un altro businessman, ma il solo autoritarismo di successo della storia, affermatosi grazie alla rivoluzione comunista di Mao. Il comunicato ufficiale Fininvest cita l’Haixia Capital di Bo Lu, società di investimenti con sede a Fuzhou specializzata in autostrade e ferrovie ad alta velocità. I nomi chiave sono però quelli del fondo sovrano di Stato per lo sviluppo e per gli investimenti e la Sino-Europe Sports Investment Management Changxing, delegata a rappresentare almeno altri tre gruppi industriali e finanziari privati. Dietro il sorprendente mistero, mantenuto anche nel giorno della firma, gli ambienti economici cinesi suggeriscono la presenza di colossi come l’immobiliare Evergrande di Guizhou, proprietaria del plurivincente club guidato in passato da Marcello Lippi, il motore di ricerca Baidu di Robin Li e il gigante dei distillati tradizionali Kweichow Moutai. Pronto a partecipare all’operazione ci sarebbe anche Wang Jianlin, patron di Wanda, il miliardario più ricco della Cina, già azionista dell’Atletico Madrid e ideatore del progetto di una super Champions mondiale «made in China», allargata a 64 squadre e su invito. È la crema del capitalismo rosso (ad eccezione del fondatore di Alibaba Jack Ma) autorizzato a esportare capitali direttamente dal vertice del partito comunista, ossia dal presidente Xi Jinping. A Pechino gli stessi media di Stato sintetizzano che il «nuovo Mao» ha ordinato di conquistare il club dell’unico leader occidentale che, da presidente del consiglio, non ha mai effettuato una visita ufficiale in Cina. Lo strumento scelto, dopo mesi di trattative sorvegliate con discrezione, è il fondo sovrano, vale a dire la cassaforte del potere rosso. Rispetto all’operazione Suning-Inter, è un’altra galassia. Nel caso nerazzurro, un imprenditore cinese con sede fiscale a Hong Kong ha scelto di investire in una società che, anche grazie allo sponsor Pirelli, in Asia è già popolare. I rossoneri invece, nonostante l’impegno finanziario dei miliardari più solventi del Paese, da ieri sono di fatto una creatura del partito- Stato, adottata per proiettare l’immagine della Cina nel cuore dell’Europa. Un investimento, ma prima ancora una missione, ordinata dall’attuale imperatore della Città Proibita: conquistare pezzo per pezzo lo spettacolo che sequestra l’attenzione del pianeta, consegnarlo nelle mani di sponsor cinesi, trasformarlo nel grande show di una Cina occidentalizzata per assicurarsi infine gli eventi come Mondiali e Champions. Die- tro l’operazione, montagne di soldi associate alla scalata verso il potere, in questo caso globale e con Pechino nuovamente al centro del planisfero. Il privato? Pochissimo e di facciata. Anche la finanziaria Haixia è partecipata dallo Stato, il fondo sovrano ne è il portafoglio estero, mentre Sino-Europe Investment, rappresentata dal fiduciario presidenziale Yonghong Li, è il contenitore operativo autorizzato ad esportare i miliardi di yuan dei grandi finanziatori dell’ala vincente del partito, che la propaganda definisce «riformista ». Uno schema collaudato: sostegno dagli oligarchi al leader, in cambio di agibilità imprenditoriale interna e non belligeranza nella «guerra alla corruzione » scatenata dallo stesso Xi. Il Milan, con i suoi vecchi successi e i giovani debiti, diventa un pezzo dello Stato cinese in Italia e nella Ue per spostare sempre più a Oriente il baricentro del pallone. Da Berlusconi, via principi rossi, a Xi Jinping: i cinesi, non solo a Milano, da ieri ingaggiano campioni. *** ARIANNA RAVELLI, CORRIERE DELLA SERA 6/8 –  Questa volta è vero. Il Milan viene venduto mentre la squadra è in aereo: è partito dagli Usa, dov’era in tournée, che il proprietario era ancora Silvio Berlusconi ed è atterrato alla Malpensa che era diventato cinese. Dopo un periodo di stallo, sembrava che anche questa trattativa fosse destinata a prolungarsi ancora. Invece nelle ultime settimane, in gran segreto, si preparava la svolta (con colpo a sorpresa: cambio al vertice della cordata cinese, l’uomo forte è diventato Yonghong Li, fuori gli advisor Gancikoff e Galatioto), che ha portato all’accelerazione finale e un passaggio storico. «Una scelta dolorosa ma necessaria. Ho venduto per passione. Ho rinunciato a parte del valore purché ci fosse l’impegno a investire nel Milan», le prime parole di un commosso Berlusconi che resterà presidente onorario. «Abbiamo negoziato con Fininvest a lungo, è stata davvero dura. A causa delle barriere linguistiche non abbiamo potuto parlare direttamente con Berlusconi. I nostri piani sono stati quasi azzerati diverse volte, ma siamo andati avanti», il commento degli investitori. Dopo 30 anni di successi, due di trattative di vendita condotte dai vertici Fininvest (appoggiati dall’advisor Lazard), moltissimi ripensamenti di Berlusconi, colpi di scena in serie (come il dileguarsi di mr Bee Taechaubol quando sembrava fatta) è arrivato il momento del cambio di proprietà ufficiale e delle firme a villa Certosa, alla presenza dell’ad di Fininvest Danilo Pellegrino e del manager Alessandro Franzosi. E con queste dei primi 15 milioni di una caparra da 100 versata dai cinesi: per il mercato estivo bisognerà accontentarsi (gli altri 85, in arrivo tra 35 giorni, sono però già stati garantiti). Le cifre sono quelle note, gli acquirenti invece sono sempre stati misteriosi: dietro c’è comunque il governo cinese, il che garantisce Fininvest. L’operazione Milan dà solidità al gruppo impegnato nella delicata battaglia di Vivendi: il club viene venduto per 740 milioni (inclusi i debiti di 220). Non solo: al momento del closing (a novembre) ne arriveranno 100 attraverso una linea di credito ( shareholder loan ) aperta dagli investitori che servirà a finanziare il mercato di gennaio. Nei successivi due anni poi i nuovi proprietari si impegnano a versarne altri 250 attraverso sponsorizzazioni o aumenti di capitali. A quel punto sarà già un Milan completamente diverso: al closing uscirà di scena Adriano Galliani, il futuro a.d. e direttore generale sarà Marco Fassone, già alto dirigente dell’Inter, che da subito avrà un ruolo di consulente: ieri sera ha incontrato Yonghong Li e Han Li, l’uomo che ha firmato materialmente il contratto e che sarà il punto di riferimento della cordata. Ma chi è che ha comprato il Milan? La compagnia veicolo costituita per l’occasione si chiama Sino-Europe Sports Investment Management Changxing Co.Ltd. e come spiega Fininvest nel comunicato «della compagine fanno parte fra gli altri Haixia Capital, fondo di Stato cinese, e Yonghong Li, che è stato fra i promotori del gruppo con cui Fininvest ha lungamente trattato. Assieme ad Haixia Capital e a Yonghong Li, acquisiranno quote dell’Ac Milan altri investitori, alcuni dei quali a controllo statale». Tra questi pare ci sia ancora Sonny Wu e Steven Zheng, che nelle scorse settimane erano venuti alla ribalta con un ruolo di primo piano, ma che ora hanno fatto un passo indietro. La cordata cinese a un certo punto si è spaccata: ha preso le redini Yonghong Li, ha cambiato advisor (dentro Rotschild), si è rotto il rapporto con Sal Galatioto e Nicholas Gancikoff, che sarebbe dovuto diventare il futuro ad del Milan: si parla di profonde divergenze sulla governance. Ora c’è tutto per disegnare un nuovo Milan. Arianna Ravelli *** MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA – Al Milan dei nuovi cinesi si possono per ora solo fare gli auguri, quasi impossibile cercare di capirlo. Vorranno guadagnare o vincere? Il Milan diventerà per loro un affare di famiglia da conservare e amare o un tassello di altre operazioni globali? Pensano di rimanere a lungo o a fare il pieno e andarsene? Nessuno può dirlo seriamente adesso, capiremo in un paio di anni, come è stato per Thohir. È la conferma che il calcio ha un costo ormai insopportabile se mantenuto a lungo. I calciatori si prendono tutto. Più soldi arrivano nel calcio, e ne sono arrivati tanti negli ultimi vent’anni, e più aumentano i soldi dei calciatori. Se non si ferma questo gioco, non ci sarà mai un’industria del calcio e a turno dovremo tutti ricominciare. Nel frattempo l’arrivo di tanti nuovi ricchi si è scontrato con una crisi di qualità dei giocatori. Si pagano molto giocatori normali, il che aumenta l’incidenza del caso. Questo spiega casi come l’Atletico, l’Islanda, il Galles, il Leicester. La scarsità di fuoriclasse è il vero mistero del calcio attuale. Perché stia avvenendo con tanta insistenza, perché si siano interrotte le grandi scuole secolari (Brasile, Italia, Inghilterra, le stesse Germania e Argentina) è qualcosa che non capiamo, deve esserci una ragione comune legata alle nuove abitudini di vita, ma non sappiamo trovarla. Così, l’assenza dell’oro, dà un valore all’argento che danneggia le casse e lo spettacolo. Questo è il vero pericolo che si comincia a vedere dietro la fine dei vecchi mecenati: il calcio è uno spettacolo che costa troppo per quel che mostra. È sopravvalutato. Real Madrid-Atletico non ha dato il gioco che deve dare una finale di Champions. L’intero Europeo è stato dolcemente medio, niente di più. I nuovi padroni stanno tutti super pagando uno spettacolo più leggero. La convenienza resta nelle emozioni, ma le emozioni sono locali, non globali. Se la mia squadra non è in Champions, io non mi abbono. Questa è storia molto recente, ma è già storia. Non potendo pensare tocchi ai cinesi risolvere il peso del calcio mondiale, non si può evitare di chiedere restituiscano in fretta almeno il peso e la scommessa del Milan. *** PAOLO SALOM, CORRIERE DELLA SERA 6/8 – Il gioco delle scatole cinesi è riuscito fino in fondo. E il Milan è stato acquistato da una cordata di cui nessuno fino a questo momento aveva sentito parlare. Di nuovo abbiamo una holding con un nome e un indirizzo, la Sino-Europe Sports Investment Management Changxing Co. Ltd., gestita da Li Yonghong (il presidente) e Han Li, l’amministratore delegato che ha firmato il preliminare d’acquisto. Ma che non è mai comparsa nelle cronache. Nel comunicato del Milan, fatto molto interessante, oltre alla Changxing, si fa esplicito riferimento a una compagnia di proprietà statale (è la Sdic, State Development & Investment Corporation, la più grande della Cina) e a Haixia, anche questa società di capitale pubblico, e ad altri «investitori», per ora anonimi ma legati anche loro (almeno alcuni) al governo. Dunque di chi sarà veramente il Milan? Difficile capire qualcosa della società che, di fatto, diventa la principale proprietaria della squadra che per un trentennio è stata il fiore all’occhiello della famiglia Berlusconi. Se non altro perché sembra sia stata costituita proprio per questo affare, il 26 maggio scorso, con un capitale sociale di cento milioni di yuan (13,7 milioni di euro). Evidentemente il Cavaliere ha ricevuto sufficienti garanzie: in poche parole, denaro pubblico e manager di sicura provenienza. Ma chi avrà lo scettro del comando? A oggi è impossibile dirlo con precisione. Basta ripercorrere la trattativa per la cessione della squadra per comprendere come il gioco delle ombre (cinesi) abbia occultato perfettamente i veri protagonisti. Fino a pochi giorni fa, l’affare sembrava essere nelle mani di Vincent Zheng e Sonny Wu e del fondo Gsr (Golden Sand River). Poi era entrato in campo il colosso Fosun del magnate Guo Guangchang. Infine il colpo di scena e la firma con la Chang-xing, società di cui nessuno, in Cina, ha sentito parlare. È chiaro che le trattative sono state condotte in gran segreto. Fatto sta, che in settimana, Han Li è volato fino in Sardegna per chiudere il contratto. Fine dei giochi? Tutt’altro. Devono ancora emergere le persone che prenderanno le decisioni operative capaci di cambiare la storia del Milan. Una cosa è certa: dietro alla passione dei cinesi per le squadre italiane c’è il presidente Xi Jinping, vero appassionato di calcio e deciso a elevare la qualità di questo sport nel Paese. Paolo Salom