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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

I TOPLESS CHE SILENZIARONO IL “TINTINNAR DI SCIABOLE”

Quando Ennio Flaiano morì, nel 1972, Leonardo Sciascia ne ricordò una delle ultime battute sull’Italia: “Un enorme mostro di noia”. Flaiano, “autore minore satirico dell’Italia del Benessere”, come auspicava di essere definito in un’eventuale enciclopedia del 2050, aveva visto sotto l’apparente euforia fermentare l’uggia, l’abulia provinciale di un Paese immobile benché stordito dai simboli del boom, dalle carenature cromate delle Lambretta, dal prosciutto e dalle uova sode adagiate nelle gelatine, dalle promesse sociali del frigorifero. Nell’estate del 1964 girano per le strade milioni di esemplari di Vespa e Lambretta e due milioni di Seicento. Il 30 aprile esce dagli stabilimenti di Alba il primo vasetto di Nutella, il Guernica della Ferrero. È tutto nuovo, lucente, peccaminoso. Il corpo, fino ad allora seminascosto in una segretezza legalizzata, entra nel discorso pubblico. “Psicosi del topless”, titola L’Unità l’8 luglio: in Arizona uno sceriffo aveva inseguito una ragazza perché vedendola di spalle aveva creduto che non portasse il pezzo di sopra del costume (poi rivelatosi del modello, allora inopinato, detto a fascia). Sotto, un trafiletto riferisce del sequestro della rivista tedesca Der Stern disposto dalla procura della Repubblica di Verona: vi compariva un servizio sulla “moda balneare del topless”.
Il seminudismo da Costa Azzurra destabilizzava il senso del pudore democristiano e quello comunista bacchettone, già turbato dal caso Togliatti-Iotti, propenso alle balere ma ostile ai dancing, refrattario ai fenomeni dell’industria culturale, ritenuti poco più che “narcotici intellettuali”. Il 4 dicembre del 1963 i socialisti di Nenni erano entrati nel primo governo Moro, facendo fibrillare quelle parti della società intimorite dall’odor di Russia. Confindustria paventò che la nazionalizzazione delle imprese elettriche, votata anche dal Pci, avrebbe trasformato l’Italia in un paese dell’Est. Il Corriere della Sera scrisse che il Psi era il “cavallo di Troia” per portare i comunisti al governo.
“Moro e Nenni si vedevano poco ”, scrivono Indro Montanelli e Mario Cervi ne L’Italia dei due Giovanni, “non per cattiva volontà o per reciproco malanimo, ma per la diversa organizzazione della loro giornata. Di buon mattino Nenni era già a Palazzo Chigi e ne usciva poco dopo mezzogiorno, per la colazione. Moro arrivava press’a poco a quell’ora, restava fino alle tre o alle quattro del pomeriggio, poi usciva per concedersi una pausa (sovente dedicata al cinematografo). Con questi due nocchieri non comunicanti il governo si trascinò fino al 25 giugno 1964”, quando fu messo in minoranza alla Camera su un provvedimento che assegnava 149 milioni di lire alla scuola privata.
Il 26 giugno il Sifar (Servizio informazioni delle Forze Armate), allertato dal generale dei carabinieri De Lorenzo, ha pronto un piano di emergenza, stilato con le più alte carico dello Stato in un clima che farà parlare Nenni di “tintinnio di sciabole”. Il 10 maggio 1967, un’inchiesta di Lino Jannuzzi su L’Espresso dal titolo “Complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano un colpo di Stato” svela il tentativo di golpe ordito dal generale in accordo con Segni, democristiano eletto al Quirinale con i voti determinanti del Msi. Si trattava del cosiddetto Piano Solo, che prevedeva il confino (o “enucleazione”) in Sardegna di oppositori politici, sindacalisti, intellettuali. Il 18 maggio appare sull’Avanti! l’articolo “È tempo di parlare fuori dai denti”, non firmato ma attribuibile a Nenni. “Ma che razza di personaggio è il generale De Lorenzo?”, si chiede l’autore. Erano da ritenersi veritiere le sue confidenze a Ferruccio Parri sulle “misure straordinarie” adottate nel ’64, o le successive ritrattazioni e la causa legale intentata contro L’Espresso? Il Piano Solo era stato un pericolo per la democrazia, o era una “fregnaccia” con la quale non si sarebbe riusciti “fronteggiare neppure la rivolta in una scuola media”, come dirà poi il presidente della Repubblica Cossiga?
Ma le gelide spade non avevano fermato il fuoco di quell’estate. Il 23 agosto la salma di Togliatti arrivava all’aeroporto di Ciampino da Yalta per essere esposta alle Botteghe Oscure. In una memorabile cronaca il giornale comunista si premurava di non disturbare il dolore composto dei familiari giunti ad accogliere “l’amico, il compagno, il maestro”. Timore reverenziale per Longo, Natta, Pajetta, Amendola, Ingrao e Breznev, segretario del Comitato centrale del Pcus: “Non spetta a noi fotografare il volto rigato di lacrime di Nilde Iotti, la stretta convulsa con cui si aggrappa agli intimi”.
Si premurava però di vigilare sull’esposizione pubblica dei corpi in quell’estate che virava al dionisiaco, al borghese viscontiano. Scandalosa e croccante, l’idea americana invadeva la riviera romagnola in fregola di Miss Adriatico e Miss Marebello, seppure nella versione italiana penalizzata in un monopezzo composto da “un paio di braghette da bagno” tenute su da bretelle.
La ragazza-topless si prestava agli scatti, facendosi fotografare di spalle e, “con un po’ di audacia”, riferiva L’Unità, di lato, temendo non tanto l’arrivo della buoncostume quanto il vento di un insolito giorno di tempesta. Il marchese e couturier Emilio Pucci, l’uomo che salvò il diario di Galeazzo Ciano, raccomandava alle donne: “L’importante è evitare la volgarità”. A Palermo si sequestravano i mezzi-costumi e, nelle boutique, persino i manichini che li indossavano.
L’idea-tormentone appariva nel carnaio di Ostia, mentre gli elicotteri lanciavano pupazzi pubblicitari sull’arenile, e lungo l’Aurelia percorsa da 150 macchine al minuto. A Lavinio, qualcuno l’ultima domenica di luglio gridò: “Arriva il topless!”, e invece niente. “Volti tesi verso le cabine, per indovinare da quale porta sarebbe uscita una ragazza in monopezzo”. Persino a Castelgandolfo, sulle rive del lago sotto la residenza papale, si aspettava con placido fatalismo il fantasma barbaro e sfacciato del mezzo-costume. Si faceva l’Italia, questo enorme mostro di noia, tra tette e sciabole.

di Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 5/8/2016