Cristiana Rizzo, Pagina99 30/7/2016, 30 luglio 2016
RICCHI SEMPRE POVERI QUALCHE ORA
Se lo skyline di Manhattan ti è venuto a noia, se l’aurora boreale ti sa di déjà-vu, se la Polinesia francese ti sta stretta, non resta che provare qualcosa di davvero inedito per le prossime vacanze: un poverty/refugee simulation camp. Per circa due ore, pagando, puoi sapere cosa si prova a essere una madre single che deve far quadrare i conti e prendersi cura del padre affetto da una malattia terminale. Oppure puoi far finta di essere Husseindod, rifugiato afgano di 40 anni, un braccio amputato da una mina antiuomo, che cerca di oltrepassare il confine con il Pakistan. Sembrerebbe la nuova, distopica, attrazione di Banksy – si potrebbe chiamare Poveriland o Refugee Park – o un’inedita forma di intrattenimento dark per ricchi, basata sul turismo della sofferenza. Ma i simulation camp, sempre più popolari e controversi, vengono organizzati dalle associazioni umanitarie da oltre dieci anni.
I partecipanti devono interpretare per qualche ora ruoli basati su profili reali, attraversando un periodo di vita del loro personaggio – in genere quindici minuti valgono una settimana – e affrontando situazioni difficili. Sono rivolti a studenti universitari, turisti, a quadri di banche e aziende, ma anche a ragazzini.
Secondo Abc, ogni anno, 5 mila teenager partecipano a Camp Refugee: in una base militare in disuso nella campagna norvegese viene simulato il viaggio dei rifugiati dal Sudan alla Norvegia. Tre giorni senza smartphone, mangiando riso scaduto e dormendo in sacchi a pelo, all’aperto, al costo di circa 68 dollari a persona.
Per i sostenitori, le simulazioni rendono i partecipanti più consapevoli rispetto a situazioni percepite come molto distanti dalla loro quotidianità e li incoraggiano a usare il proprio tempo, il proprio denaro e la propria influenza per agire e trovare soluzioni; i detrattori invece temono che la miseria venga banalizzata e che queste messe in scena rappresentino solo un escamotage per i privilegiati che, in questo modo, sedano i propri sensi di colpa e credono di aver fatto la propria parte.
Lo scorso marzo un programma di simulazione di povertà organizzato dal Christian charity Methodist Welfare Services (Mws) e da un country club di Singapore per iscriversi al quale bisogna pagare una fee d’ingresso da 21 mila euro, ha fatto emergere il dibattito: sono mere finzioni o sono utili a sperimentare direttamente, ma in scala ridotta, lo stress e le costrizioni affrontate dai meno fortunati? Se da un lato, per Mws, che li organizza da anni, questi workshop incoraggiano a capire le reali necessità di chi versa in una condizione di povertà, le reazioni degli utenti della Rete sono invece state tutt’altro che tenere. I partecipanti sono stati divisi in gruppi e per due ore hanno recitato diversi scenari, compreso impersonare un genitore single che combatte con i debiti, deve portare i figli a scuola senza un mezzo di locomozione e prendersi cura di un membro della famiglia malato terminale.
Su Facebook qualcuno ha definito l’iniziativa «umiliante» per i poveri, per qualcun altro è stato un «esercizio di futilità», altri ancora hanno commentato che «i ricchi si sono messi la coscienza a posto per due ore, per poi tornare nella spa, sereni per aver fatto qualcosa di buono». Davos, il meeting annuale del World Economie Forum in cui si incontrano i membri dell’élite politica ed economica globale, organizza simulazioni del genere da otto anni. Nel 2016 circa 500 ospiti hanno partecipato a “Un giorno da rifugiato’’, quella che il giornalista di Business Insider Jay Yarow ha definito una simulazione «terrificante con bullizzazioni, esplosioni e persone armate». Messa a punto da MasterCard Europe e dall’organizzazione umanitaria Crossroads Foundation, è costata 100 mila dollari, per portare lo staff, gli attori, i volontari, la scenografia, i costumi, gli effetti audio e video. L’obiettivo era «dare una prospettiva unica», spiega sul suo blog Rose Beaumont, capo della comunicazione di MasterCard Europe. «Ero cinica all’inizio. Come è possibile mettere in scena la condizione di un migrante in uno ski resort in Europa? Eppure provare empatia e comprensione verso i rifugiati è stato più facile», prosegue, mentre era «terrorizzata dalle esplosioni, costretta a rannicchiarsi dentro una tenda misera, con perfetti estranei, privata della dignità».
«Ci hanno dato nuove identità» – scrive Yarrow su Business Insider – «e se non ricordavi il tuo nome ti urlavano contro. Tutte le donne dovevano coprirsi la testa e non potevano parlare con gli uomini». Il percorso iniziava dentro un corridoio freddo e buio. «Siamo arrivati a una porta e subito, appena entrati, siamo stati costretti a sedere sul pavimento, senza sapere perché. La situazione era confusa. Poi un colpo di fucile ci ha fatto sobbalzare e siamo stati costretti a scappare ancora nel buio e poi siamo stati fermati ancora. Un uomo armato mi ha costretto a dargli il mio orologio prima che potessi proseguire», racconta.
Se hai qualcosa di valore, ne vieni privato. E per ottenere il cibo bisogna barattare, Yarrow per esempio ha ceduto la sua cravatta. «Siamo stati messi in coda e costretti a sederci a terra ancora una volta, abbiamo dovuto scrivere su un foglio i nostri nomi, perché eravamo rifugiati e perché meritavamo il permesso di asilo. Un uomo armato ci urlava contro, ci ha ordinato di dividerci in gruppi di quattro o cinque e di entrare in una tenda minuscola. Non c’era spazio per distendersi», continua il giornalista. «Dovevamo stare seduti per entrarci tutti. Non c’era modo di riposare, lì dentro. Era possibile appisolarsi, ma con un senso di panico perenne, persino il sonno non dava riposo. Una security guard è venuta da me, mi ha preso il cellulare, urlando: “Lavori per i ribelli?”».
Qualche volta le location delle simulazioni possono creare un effetto ironico. Il Bank of America Black Executive Leadership Council ha realizzato una simulazione il 29 giugno scorso nell’hotel di lusso Ritz-Carlton di Charlotte, in North Carolina, organizzata dall’associazione no profit indipendente Crisis Assistance
Ministry, mentre l’anno scorso la Federai Reserve Bank di Cleveland ha fatto un incontro su housing, human capitai, and inequality, che comprendeva una simulazione di povertà, all’Omni William Penn Hotel, un cinque stelle a Pittsburgh.
Gli abitanti di E1 Alberto, cittadina messicana a 800 miglia a sud degli Stati Uniti, vivono grazie al parco divertimenti Eco Alberto. E fra piscine, volo dell’angelo, scivoli acquatici e kayak, i turisti possono simulare l’attraversamento clandestino della frontiera. Per 250 dollari possono seguire i passi del finto coyote – così vengono chiamati i trafficanti che guidano gli immigrati lungo le rotte illegali, per varcare il confine – correndo al buio fra le sterpaglie e strisciando dentro tunnel sotterranei, inseguiti dagli stunt che interpretano le pattuglie di sorveglianza.
«El Alberto era una comunità dimenticata, non alfabetizzata, motivo per cui oltre l’80% della popolazione emigrava negli Stati Uniti per un futuro migliore», si legge sul sito del parco. La Carninata nocturna, questo il nome dell’attrazione, «nasce con l’obiettivo di dimostrare ai giovani della comunità che cercando un futuro migliore si può rischiare la vita e che qui possiamo vivere bene con le nostre risorse».
Nemmeno la prestigiosa Università di Cambridge è sfuggita alle poverty simulation e alle relative polemiche. Lo scorso ottobre l’associazione no profit Giving What We Can ha organizzato la simulazione di due ore con drink a seguire, Slum in the cellars, che avrebbe trasformato «gli scantinati di Clare College in uno slum oppressivo e fatiscente». Una grandinata di tweet e commenti indignati ha portato gli organizzatori ad annullare l’evento. Sui social media sono più i commenti contrari a questi workshop che quelli a favore. È anche vero che se fino a qualche anno fa questi passavano inosservati, adesso stanno diventando sempre più diffusi, oltre che discussi, tanto da aver fatto fiorire un piccolo business. Le simulazioni della Ohio Association of Foodbanks (la cui missione è assistere le 12 organizzazioni dell’Ohio impegnate nell’aiuto alimentare ai poveri), per esempio, secondo Fortune, costano da 1.500 dollari in su, in base al numero dei partecipanti, alla durata e ai membri dello staff utilizzati. La Missouri Association for Community Action, invece, si è inventata persino il poverty simulation kit in vendita per 2.150 dollari.