Lanfranco Vaccari, SportWeek 30/7/2016, 30 luglio 2016
CALCI E GINOCCHIATE: SOTT’ACQUA È LOTTA DURA
Lo scorso ottobre, dopo un allenamento, Mariya Koroleva tornò alla University of San Francisco per una lezione. Aveva mal di testa, una visione sfocata e nausea. Non riusciva a concentrarsi e tantomeno a studiare. Era un malessere già sperimentato un paio d’anni prima, dopo una competizione a Pechino. Andò a farsi vedere da Geoffrey Manley, primario di neurochirurgia e specialista di traumi cranici al San Francisco General Hospital. La diagnosi: commozione cerebrale. Dovette aspettare un mese prima di riprendere la preparazione in vista di Rio 2016, la sua seconda Olimpiade.
Anche se chi lo guarda in televisione vede solo un balletto aggraziato a pelo dell’acqua, sotto il nuoto sincronizzato è una battaglia. Gli atleti sono incollati l’uno all’altro, a una distanza che negli anni è diminuita dai 60-70 cm a 20. E nelle piroette in apnea per prendere posizione il rischio di beccarsi un calcio o una ginocchiata alla testa è altissimo. Bill Moreau, il direttore di medicina dello sport per il comitato olimpico americano, stima che almeno la metà dei praticanti che ha visitato abbia subito una commozione cerebrale.
È un infortunio in genere associato agli sport di contatto. Secondo le statistiche del Center for Disease Control, il numero dei casi denunciati è raddoppiato fra il 2002 e il 2012, fino a 3,8 milioni. Il football a livello liceale è responsabile di quasi la metà del totale. Poi vengono l’hockey su ghiaccio e il lacrosse maschili. Per le ragazze, le discipline più pericolose sono il calcio e, di nuovo, il lacrosse, con 33 incidenti ogni 10.000 sedute atletiche (sia in allenamento che in competizione).
Ma il dato che sta emergendo, e per il quale gli scienziati non hanno ancora una convincente spiegazione, è che le donne sono più esposte degli uomini alle commozioni cerebrali e registrano sintomi più gravi. Dawn Comstock, un’epidemiologa che si occupa degli infortuni nello sport, ha pubblicato l’anno scorso uno studio sul calcio a livello di highschool: i traumi cranici sono 1,5 volte più ricorrenti fra le ragazze. Shannon Bauman, una specialista in medicina sportiva che dirige un centro per le commozioni cerebrali a Barrie, Ontario, ha analizzato le conseguenze in 207 atleti e ha trovato che nelle donne sono quasi il 30% più acute (dai problemi cognitivi alle difficoltà di vista). Inoltre, le ragazze hanno tempi di recupero più lenti: solo il 12% si riprende entro due mesi, contro il 34% dei ragazzi, e più di un terzo denuncia ancora dei sintomi sei mesi dopo il trauma.
Il problema è capire perché. C’è probabilmente una componente fisiologica: il segmento testa-collo nelle donne ha il 25% in meno di massa; la circonferenza del collo è il 12% inferiore; i muscoli flessore ed estensore del collo sono il 50% meno forti; e l’accelerazione della testa dopo il contatto è il 44% più alta.
Una ricerca della University of Rochester School of Medicine avanza anche un’altra ipotesi, legata ai livelli di progesterone: se si abbassano improvvisamente durante la fase premestruale per un trauma cranico che inibisce la ghiandola pituitaria, i sintomi sono più intensi e i tempi di recupero più lenti.