varie, 4 agosto 2016
LE SETTE VITE E I TRE AMORI DI MARTA MARZOTTO
«Ogni volta che disegno una mela, penso al tuo sedere» (Renato Guttuso a Marta Marzotto) [1].
«Chi l’avrebbe mai detto che avrei visto il mio sedere esposto all’Ermitage?» [2].
Marta Vacondio, nata ad Albinea (Reggio Emilia) il 24 febbraio 1931, morta a Milano il 29 luglio 2016. Dama. Già moglie del conte Umberto Marzotto, della famiglia di industriali tessili di Valdagno [3].
Figlia di un casellante ferroviario e di un’operaia, il suo primo lavoro fu quello di mondina nei campi della Lomellina [4].
«Mi fasciavo le gambe per non graffiarmi con le foglie taglienti e non farmi pungere dalle zanzare» [5].
Da piccola, insieme al padre, vendeva il carbone e le rane nei ristoranti [6].
Frustrazione da bambina quando le impedirono di mangiare un topo cucinato per il fratello (secondo sua mamma l’avrebbe aiutato a non fare più la pipì a letto). «Io non facevo la pipì a letto, quindi niente sorcio. Alla fine mi fu concesso solo d’intingere un pezzo di pane nel sughetto» [7].
Ha raccontato che da ragazza era «troppo magra, longilinea, con qualcosa di selvatico e nulla di mediterraneo» [4].
«A quindici anni, già facevo sfilate ed ero molto corteggiata. Allora non si parlava di top model, ci chiamavano mannequin volanti. Ero alta, lunga, forse la ragazza più alta di Pavia... Ero poverissima, la povertà particolare del primo dopoguerra. Una volta qualcuno ci regalò un chilo di pane e io, mia mamma e mia sorella lo mangiammo, lo sbranammo in cinque minuti, fino a sentirci male. Abitavo a Mortara, per andare a scuola e poi per lavorare viaggiavo in littorina – così si chiamava – in terza classe. Umberto arrivò come l’angelo salvatore: aveva tutto quello che una ragazza può sognare, biondo, occhi azzurri, intelligente, colto, sportivo. Un nobile. E correva in auto. Ero sinceramente innamorata. Cercavo il mio posto al sole: non sapevo bene cosa volevo dalla vita, ma questo traguardo mi era chiaro. Uscire dalla mia condizione sociale, la condizione dei paria. E tuttavia di Umberto Marzotto mi innamorai: abbiamo fatto cinque figli insieme. Se avessi voluto il patrimonio dei Marzotto, un figlio solo sarebbe bastato, o no? Ci sposammo nel 1954» [3].
La secondogenita, Annalisa, morirà per fibrosi cistica nel 1987, a soli 29 anni [3].
«La Contessa Serbelloni Mazzanti vien dal mare ero io. Nel disegnarne il personaggio in Fantozzi, Paolo Villaggio si era ispirato a me. In famiglia lo sapevano e ridevano» [5].
Nonostante gli agi, prese una depressione da cui guarì trasferendosi a Roma. «A salvarmi non è stata la psicoanalisi: è stata Roma... Non era più la città della Dolce vita, ma quella di De Chirico, Sciascia, Moravia, Elsa Morante, Rossellini, Visconti. E naturalmente di Guttuso» [4].
«Guttuso lo conobbi l’anno in cui nacque il mio primo figlio, Vittorio. Fu l’anno in cui vinse il premio Marzotto: a una cena in casa di Rolly Marchi, che si occupava di vendere i suoi quadri. Eravamo seduti spalla a spalla. Vidi un quadro bellissimo ed esclamai: io questo lo voglio! E una voce bellissima alle mie spalle: daglielo, Rolly. Chissà, forse era un regalo. Ma Rolly me lo fece pagare. Com’era giusto. Passò tanto tempo. Tanti anni. Un giorno in cui Graziella Lonardi mi obbligò a telefonargli: voleva che glielo presentassi, per acquistare un suo quadro, in realtà, credo, per conoscerlo. Ma, prima, ricordo un emozionante incontro con Valerio Zurlini: una mezz’ora di magia, di conversazione brillante, effervescente. Poi scese la moglie, Mimise... Una doccia fredda. All’improvviso i due uomini cambiarono: due mummie. Uscendo, Valerio mi disse una cosa profetica: “Mimise, disse, non mi perdonerà mai di averti portato qui”. Dopo una settimana, ero a Cortina, lui mi fece avere il suo primo regalo: il ritratto della mia faccia, con i soli lineamenti» [3].
Guttuso abitava al palazzo del Grillo. Al piano superiore viveva la moglie. «Tra i due piani c’era una porta sempre sprangata perché la signora non poteva recarsi nello studio del marito dove, invece, aveva libero accesso Marta Marzotto, la sua famosa amante. I giovani amici con i quali giocava a carte avevano il compito di controllare la porta quando la coppia faceva l’amore» [6].
In vent’anni Guttuso le scriverà oltre 5mila lettere [8].
«Se il Padreterno ci avesse voluto fedeli, ci avrebbe fatto fedeli» (Marta Marzotto) [9].
Amante di Guttuso e ancora sposata con Umberto Marzotto, incontrò Lucio Magri: «La nostra fu una storia importante, che durò dieci anni. Diceva di amarmi. La verità è che amava solo se stesso» [3].
Magri lo conobbe a casa di Eugenio Scalfari, il giorno in cui nacque Repubblica (14 luglio 1976): «Fu di un’abilità diabolica, nell’accendermi. Chissà, psicologicamente, la castellana voleva prevalere sulla Castellina» [3].
Ha scritto: «Magri voleva la tavola apparecchiata con tovaglie preziose e ricamate e le stoviglie dovevano essere d’argento. Sono la sola persona di estrazione proletaria che lui abbia mai frequentato». Ruppero malamente, mentre Guttuso le faceva continue scenate di gelosia, durante le quali scagliava preziosi bicchieri Lalique contro le tele: «La gelosia si rivelò per Renato una straordinaria spinta creativa» [3].
Renato Guttuso che scrisse una preghiera per Marta Marzotto che iniziava con «Ave Martina» e finiva con «E liberaci dal Magri amen» [1].
Il presidente Pertini telefonava a Marta Marzotto tutte le mattine alle 7 e 45 in punto per chiacchierare. Frase ripetuta tutte le volte prima di riagganciare: «Marta, si ricordi che lei è amata da un grande pittore e adorata da un piccolo presidente» [7].
Laura Laurenzi, che con la Marzotto ha scritto la sua autobiografia Smeraldi a colazione (Cairo editore, 2016): «Alla scomparsa del pittore, gennaio 1987, lo scandalo artistico-cultural-politico è enorme: in un colpo solo la contessa perde i tre uomini amati in simultanea (Magri batte in ritirata, Umberto chiede il divorzio), e finisce quasi sul banco degli imputati: “Fui vittima di una campagna diffamatoria che dovrebbe esserci spiegata da uno studioso di storia del cannibalismo”» [8].
Paolo Conti: «Ma ridurre le tante vite di Marta Marzotto a una collezione di amori sarebbe stupidamente riduttivo. C’è la maternità, l’amore ricambiatissimo per i figli e i nipoti di sangue e acquisiti nel vasto cerchio degli allargamenti familiari. Le imprese economiche: la boutique sulla Costa Smeralda, la collaborazione con la catena Standa. Le amicizie cosmopolite, l’incontro con Hemingway e persino col dittatore Francisco Franco» [10].
«Hemingway? A tavola era già ubriaco. Aveva perso i freni inibitori, ruttava e scoreggiava» [4].
Dal suo divorzio da Umberto Marzotto, avvenuto negli anni Ottanta, ottenne alimenti annui per 400 milioni di lire [11].
«Marta da legare», che fu anche un suo marchio di abbigliamento [10].
Alla prima della Scala del 1992 indossava una giacca della Standa da 195mila lire [12].
Al matrimonio di Jaki Agnelli e Lavinia Borromeo s’è presentata con uno dei suoi famosi abiti da 7 euro (linea Vucumprà, colore turchese) [13].
Paolo Conti: «I gioielli, le pellicce clamorose, i caffetani dorati, i colbacchi variopinti considerati un must a Cortina nei suoi migliori anni, quelli della Prima Repubblica. Marta Marzotto è l’icona di quella stagione italiana e internazionale: la Costa Smeralda, gli attici su piazza di Spagna (soprattutto quello di Marta), i palazzi di Venezia e di Milano, le Dolomiti. Il lusso» [10].
Quando la notte non riusciva a prendere sonno, chiamava l’amica Sandra Carraro per fare le parole crociate [9].
Famose le sue feste in Sardegna: «Apparecchiava tutte le mattine per cento persone, senza inviti, si sapeva solo che all’una a Punta Volpe c’era la colazione, arrivavano da terra, mare, cielo» (Mara Malda) [3].
Nel 2003, a 72 anni, confessò di aver rinunciato al sesso: «Uso i miei anni per essere coccolata e gaté. Frequento uomini di ogni età, oggetti del desiderio di molte signore. Andiamo ai balli e in viaggio, spesso per mano. Faccio battute salaci. Ma niente sesso. Le mie amicizie affettuose sono meglio di qualsiasi storia con dentiera sul comodino. Nella mia vita ho avuto tre uomini meravigliosi. Ho volato, ora non mi va di camminare» [14].
«Tutti dicono che la vita si è allungata di trent’anni. No, s’è allungata la vecchiaia. Quando vado al cinema sono l’unica a esibire la carta d’argento. Le mie amiche, nate nel 1927, fingono d’avere 59 anni. Che cosa vuoi che ti dica, io invece trovo la vecchiaia così interessante, ma così interessante, che, se l’avessi saputo prima, mi sarei aumentata l’età» [7].
«Non baciate la Marzotto. Vi attacca le rughe» (Roberto D’Agostino) [3].
Silvia Truzzi: «Negli ultimi giorni in clinica “nonita” aveva trasformato la sua stanza in un suk: ha recuperato due enormi pacchi di braccialetti indiani per regalarli a tutte le infermiere, dottoresse e mogli dei medici. In camera ha fatto appendere le sue foto mentre bacia Sean Connery e Kevin Kostner. Non si è lamentata neanche una volta, raccontano i familiari» [5].
(a cura di Jessica D’Ercole e Luca D’Ammando)
Note: [1] Laura Laurenzi, Amori e furori, Rizzoli 2001; [2] Candida Morvillo, corriere.it 29/7; [3] Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei viventi, Marsilio 2009; [4] Marco Cicala, il venerdì 17/6; [5] Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 30/7; [6] Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano 17/3; [7] Stefano Lorenzetto, Visti da lontano, Marsilio 2011; [8] Laura Laurenzi, la Repubblica 30/7; [9] Maria Corbi, La Stampa 30/7; [10] Paolo Conti, Corriere della Sera 30/7; [11] Alessandro Penna, Oggi 15/12/2010; [12] Lina Sotis, Corriere della Sera 8/12/1992; [13] Laura Laurenzi, Il giorno più bello, Rizzoli 2008; [14] Luisa Pronzato, Sette 26/6/2003.