Fausto Biloslavo, Panorama 4/8/2016, 4 agosto 2016
NEI CELLULARI DEI TERRORISTI
Messaggi digitali d’amore mescolati ai piani per fare saltare in aria un grande magazzino sugli smartphone di una coppia di inglesi originari del Pakistan. L’ultimo estremista espulso dall’Italia che clicca «mi piace» su un profilo Facebook dello Stato islamico con tanto di bandiera nera. Uno degli assassini di padre Jaques Hamel che annuncia su Telegram, un sistema di messaggistica criptato, di voler «tagliare due o tre teste in una chiesa», e come faccina del suo profilo usa la foto del Califfo Abu Bakr al Baghdadi. E questo accanto a file porno, «selfie» di bevute poco musulmane, filmati di partite di calcio, avvenenti ragazze e sistemi di arruolamento e radicalizzazione in rete. Nei computer e smartphone dei terroristi islamici c’è di tutto.
Adel Kermiche, uno dei due diciannovenni che il 26 luglio hanno sgozzato l’anziano prete in una chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, su Facebook sembrava un giovane qualunque ma da giorni spediva audio inquietanti a una cerchia di 200 «amici» su Telegram, una specie di WhatsApp più cifrato. «Meglio l’Egira (cioè andare a combattere in Siria, ndr) o un attentato?» si chiedeva sul sistema di messaggistica. E poco prima di passare all’azione annunciava: «Prendi un coltello, vai in una chiesa e fai una carneficina. Tagli due o tre teste ed è finita».
Mohamed Lahaouiej Bouhlel, il terrorista al volante del camion-killer che ha spazzato via 84 innocenti sul lungomare di Nizza il 14 luglio, aveva salvato sul suo computer immagini di «cadaveri (delle guerre in Medio Oriente, ndr), combattenti che sventolano la bandiera nera dello Stato islamico, copertine del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, attaccato nel gennaio 2015, e foto di Osama bin Laden». Però aveva anche un secondo profilo Facebook, che gli serviva per adescare donne nei panni di abile ballerino di danze latino-americane. Il suo presunto complice Chokri Chafoud, che lo aizzava via sms a lanciarsi con il camion sulla folla, ha vissuto alcuni anni in Italia a Gravina di Puglia. Via computer o smartphone aggiungeva sulla sua pagina Facebook foto di belle ragazze, commenti spinti e immagini vacanziere a Soussa, in Tunisia, dove è nato.
L’ultimo estremista islamico espulso dall’Italia il primo agosto si chiama Farooq Aftab. È un pachistano di 26 anni: viveva a Vaprio d’Adda, poco lontano da Milano, e aveva frequentato la scuola pubblica italiana. Suo padre e suo fratello vivono a Londra. In rete, secondo i carabinieri del Ros di Milano, Farooq «condivideva l’ideologia dello Stato islamico e il costante interesse per i contenuti (particolarmente violenti e cruenti) di propaganda e di addestramento». A tal punto che ha cliccato «mi piace» su una pagina dell’Isis con tanto di bandiere nera. «Però ci sono elementi anomali e buffi: come la maglia dei Guns ‘n roses che indossa in una delle sue foto in rete. Un gruppo hard-rock americano, cioè il male assoluto per la mentalità islamica» dice a Panorama Giovanni Giacalone, studioso del radicalismo musulmano. «E ci ONLINEsono anche tracce lasciate su google nel gruppo della squadra di calcio femminile della sua cittadina, sport proibito per l’Isis».
Abderrahim Moutaharrik, il «pugile della Jihad» marocchino che saliva sul ring con la maglietta del Califfato ed è stato arrestato il 28 aprile a Milano, aveva ricevuto l’ordine dalla Siria di colpire in Italia attraverso un messaggio audio inviatogli via WhatsApp. «Ma sui social la sua vita era quella di uno sportivo normale» sottolinea Alessandro Burato ricercatore di Itstime, centro studi sulla sicurezza e il terrorismo dell’Università cattolica di Milano. «Pubblicava foto di incontri sportivi, immagini di battute di pesca al lago con il figlio, o al carnevale in piazza a Lecco».
Il tunisino Briki Lassaad, condannato lo scorso maggio a sei anni di carcere a Brescia, aveva seminato paura online con l’hastag «Islamic State in Rome» e le foto del Colosseo e di San Pietro come obiettivi. Nel mirino c’era anche la base Nato di Ghedi. Per prepararsi ad agire aveva scaricato il decalogo «Come riconoscere un kamikaze» utilizzato dalle forze speciali del Kuwait. E il manuale per i mujaheddin: «Come sopravvivere in Occidente».
Burato spiega che la maggioranza dei terroristi annidati in Europa, e generalmente in Occidente, «è composta, per la loro giovane età, da nativi digitali. Su computer o smartphone hanno foto, video, istruzioni e l’applicazione di A’Maq, l’agenzia di stampa del Daesh, ma anche contenuti simili a quelli dei loro coetanei». L’esperto spiega a Panorama che «i terroristi non sono alieni e postano spesso scene di vita quotidiana, che nulla hanno a che fare con le loro aspirazioni jihadiste. Immagini haram (proibite) di ragazze, di bevute, di sport. O scene che riprendono momenti banali come la prima colazione, nella voglia di mostrare se stessi ed esprimersi attraverso la mania dei social».
C’è dell’altro, secondo l’ex generale Michael Flynn, che ha comandato l’intelligence del Pentagono. Nell’analisi dei contenuti dei computer sequestrati allo Stato islamico «ci siamo accorti che l’80 per cento dei file conteneva pornografia».
Questo strano miscuglio di vita, sentimenti e piani d’attacco è venuto alla luce con la condanna all’ergastolo dello scorso gennaio inflitta da un tribunale londinese a Mohammed Rehman e sua moglie Sana Ahmed Khan, nati rispettivamente 25 e 24 anni fa in Inghilterra e di origini pakistane. Lei aveva un iPad rosa che usava per scambiare messaggi d’amore con lui, che le rispondeva affettuosamente: «Sei la mia caramellina». Peccato che nel frattempo, per il decimo anniversario della strage di Londra del 7 luglio 2005, i due stessero preparando un attentato contro un grande magazzino, sventato all’ultimo momento. Lo progettavano mescolando scambi amorosi ai filmati delle esplosioni di prova nel giardino, o chiedendo consigli via twitter sugli obiettivi. «La fuga d’amore imposta alla coppia dall’opposizione dei genitori di lei, e i messaggi affettuosi» osserva Burato «si mescolano nel mondo digitale e reale ai piani dell’attentato: è un misto tra soap opera e thriller».
A New York il pakistano Abid Naseer è stato condannato lo scorso novembre a 40 anni di carcere per un complotto scoperto grazie all’intercettazione delle email che spediva ai suoi referenti di al Qaida in Pakistan. Il terrorista usava un curioso codice, come se gli attacchi che avrebbero dovuto colpire l’Inghilterra e gli Stati Uniti fossero... un matrimonio: «La mia storia d’amore con Nadia si trasformerà presto in vita familiare» scriveva Naseer ai complici. «Tenetevi pronti per le nozze (cioè gli attentati sventati, ndr) dal 15 al 20 del mese».
In un computer, trovato nella spazzatura a Bruxelles dopo gli attacchi suicidi dello scorso 22 marzo, la cellula del terrore aveva creato una cartella chiamata banalmente «Target» (obiettivo). All’interno, foto della residenza del primo ministro, Charles Michel, e informazioni sulla Defense, il distretto d’affari di Parigi, e sul gruppo cattolico francese Civitas. Nel lap-top di Salah Abdeslam, unico sopravissuto alla strage parigina del 13 novembre 2015 al teatro Bataclan e poi arrestato a Bruxelles, sono stati trovati video di droni in volo, che nei suoi piani avrebbero dovuto sganciare bombe chimiche sulle città europee.
Gli ispiratori del terrore, che reclutano online e devono comunicare con cellule o lupi solitari in Occidente, utilizzano sistemi sempre più difficili da intercettare come Telegram, Darknet, Tor, Vpn ed email con doppia password. Oppure software che permettono d’ingannare il gps del telefonino registrandoti in un luogo diverso da quello dove sei per mascherare la tua vera posizione. L’ultima arma digitale sfruttata dai terroristi è Opera: un browser che serve a navigare in rete in maniera anonima, compatibile anche con il sistema Android dei cellulari.
Per fortuna tutto questo diventa inutile se, com’è accaduto in luglio, le forze curde appoggiate dagli Usa in Siria mettono le mani su un tesoro informatico. Durante l’offensiva su Manbij, porta d’ingresso dalla Turchia dei volontari dello Stato islamico da mezzo mondo, sono stati sequestrati computer con 10 mila documenti e dischi di memoria con 4,5 terabyte di dati. Una miniera d’informazioni sul Califffato, sui foreign fighter e sulle cellule in Europa. E quel materiale verrà condiviso con gli alleati nel mirino, compresa l’Italia.