Aldo Nove, il Fatto Quotidiano 2/8/2016, 2 agosto 2016
NON CI MERITIAMO PIÙ NEMMENO ALBERTO SORDI
Perché oggi non abbiamo un Alberto Sordi che ci inchiodi alla nostra mediocrità? Lo stesso si può dire di Paolo Villaggio: Che fine ha fatto la maschera di Fantozzi, o quella di Fracchia? Svanite nel nulla, queste figure non solo di grandi attori erano anche espressione di una residuale coscienza della nostra condizione. Paradossale, estrema, a tratti infernale. Villaggio e Sordi incarnavano, ciascuno a modo suo, il nostro orrore quotidiano.
Il medico della mutua che ha come unico scopo quello di arricchirsi sulla pelle dei clienti. Il salariato che conduce un’esistenza subumana e su questa ci costruisce un’epica paradossale, cinica, di un’improbabile “altra felicità”: la felicità di chi accondiscende a un’esistenza meschina senza fiatare ma, anzi, assecondando chi gli dice di vivere nel migliore dei mondi possibili, e convincendosene.
La mia personalissima opinione è che la realtà abbia abbondantemente superato il verosimile per essere messa in scena, creando così quasi una sorta di “censura cognitiva” ancora prima che artistica: non sosteniamo più il paradosso pornografico che ha preso posto della realtà e così ce ne “distraiamo”.
Come durante il fascismo dominava il vacuo cinema dei “telefoni bianchi”, oggi (in un sistema dell’intrattenimento in crisi totale) stiamo molto attenti a non rappresentare troppo quello che succede oppure, dove il cinema è di “regime” (un regime subdolo quanto potente, lo diceva Pasolini cinquant’anni fa, oggi pervasivo in modo molto più squassante: da mutazione antropologica prima ancora che politica) si rappresenta con calcolata, studiatissima “reggibilità” (penso ad esempio al pur bravo Checco Zalone, “simpatica – sin troppo – canaglia”) o alla caterva di pellicole inutili sulle perenni coppie ricche in crisi con perenni relativi problemi in salsa agrodolce, da discount comunicativo. Non è certo un caso che quanto resta della critica sociale e della critica politica ricada infine sugli imitatori. Il “paese delle meraviglie” di Crozza è il circo in cui, attraverso la sua multiforme maschera, scorrazzano sul piccolo schermo gli animali che hanno preso posto di politici e quanto resta di una classe dirigente che da troppi anni non ha più alcuna credibilità. Ma non si tratta di rappresentazione artistica: piuttosto, di ultimo appello alle coscienze. Un appello delicatissimo perché rischia di essere immediatamente inglobato nello sciocchezzaio ottuso e fondamentalmente violento, spietato, che ha sostituito il potere e i relativi (non) valori.
In uno dei suoi film migliori (erano altri tempi davvero) Nanni Moretti diceva “Ve lo meritate Alberto Sordi!” L’espressione, diventata per un po’ quasi ideomatica, rifletteva la rabbia per lo squallore della medietà di un eroe di un cinema nazionalpopolare non certo portatore di valori.
Nel 2016, non ci meritiamo neanche più un Alberto Sordi. O un Paolo Villaggio. O un Ugo Tognazzi. Ci meritiamo lo specchio di una finzione nei confronti della quale non c’è più nulla da ridere. Restano rari squarci di realtà: qualcosa che solo in parte ci dice di noi. La controversa Grande bellezza di Sorrentino, ad esempio. E non è un caso che uno che la sa lunga, Giuliano Ferrara, chiosò quella pellicola come “troppo soft”, troppo “buona”. La realtà è ben diversa. Fa molto più schifo. E il cinema (che è fatto anche dei soldi che lo rendono possibile) non è più in grado di rappresentarla. E forse non ci interessa nemmeno più.
ALDO NOVE, il Fatto Quotidiano 2/8/2016